Opinioni & Commenti
Il «fascismo 2.0» e la teoria della mangiatoia
Scorrendo gli annali del pensiero economico fra le due guerre mondiali ci si accorge dell’esistenza di una teoria che definirei, metaforicamente, la teoria della mangiatoia. Una nazione è una mangiatoia a cui non tutti possono indiscriminatamente alimentarsi. Il grano che essa contiene è limitato perché limitato è il territorio della nazione. I rimedi che la teoria suggerisce, ossia le politiche economiche che ne derivano, sono due. O si espande il territorio nazionale aggiungendogli quello di altri paesi da conquistare con le armi (imperialismo), oppure si espellono coloro che non sono popolo originario (xenofobia).
Se si guarda alla storia, si può constatare che Hitler usò entrambi i rimedi: da pastore transumante invase, armi in pugno, il suolo europeo e, allo stesso tempo, espulse gli ebrei («la razza ebraica: pidocchiosa, usuraia, assetata di sangue e di denaro» si legge nel «Mein Kampf») dalla sua Germania. Mussolini, da parte sua, occupò parti del territorio africano e con le leggi del ’38 rese difficile la vita agli ebrei. Se si guarda al presente il rimedio imperialistico è, ovviamente, impossibile. Sicché al «fascismo 2.0» non resta che il secondo rimedio, l’espulsione o il divieto di entrata dei non italiani sul suolo patrio: la xenofobia. Per chi crede nella teoria della mangiatoia insufficiente, per chi crede che non tutti possano sfamarvisi, l’accoglienza diventa un peccato mortale, gli accoglienti dei peccatori contro la patria e, come tali, essi vanno contestati come a Como.
Fortunatamente la teoria della mangiatoia è una teoria che tentenna ad ogni passo, come tentennano anche le sue politiche. Per rendercene conto, non basta la memoria storica delle distruzioni materiali che abbiamo patite. Occorre anche rileggersi i testi dove sono accumulate le macerie mentali che l’hanno precedute. Insomma, non solo storia dei fatti, ma anche e soprattutto storia del pensiero.