Lettere in redazione
Il fallimento dell’intera classe politica
L’incarico a Monti come Presidente del Consiglio la successiva prima manovra economica del suo governo tecnico certificano, se ce ne fosse stato il bisogno, il fallimento di una intera classe politica che ci ha governato negli ultimi 25 anni. A prescindere delle opinioni che ognuno può avere sulla persona di Monti e sull’attività del suo Governo, ciò che stupisce è la reazione della stessa classe politica a questi due fatti.
Nessuno che si sia dimesso, di nessuno schieramento politico, nè laici nè cattolici, nessuno che abbia voluto lasciare spazio a persone nuove e diverse: si vuole invece ancora condizionare la vita del Governo ricattandolo e paventando nuove elezioni alle quali si intende far partecipare le stesse persone che attualmente siedono in Parlamento. Non un passo indietro, dunque per ammettere la responsabilità della situazione difficile nella quale si trova adesso il Paese.
Un perpetuarsi, inoltre, di vecchie logiche e di interessi di parte di fronte alla manovra presentata dal Governo e soprattutto una difesa spasmodica dei propri emolumenti, del finanziamento ai partiti e dei propri privilegi. Nemmeno un passo avanti, dunque, nei confronti dei larghi strati della popolazione, specialmente di quelli più deboli e più poveri, anche in una situazione così drammatica dal punto di vista economico.
Dunque nè un doveroso passo indietro e nemmeno un altrettanto doveroso passo in avanti da parte della nostra classe politica: un semplice arroccamento sulle proprie posizioni nel completo disinteresse del futuro del Paese.
Credo che questo atteggiamento la dica lunga sulla qualità umana e ideale della classe politica che ci ha governato così a lungo: un invito dunque a riflettere bene nel momento nel quale saremo chiamati, prima o poi, a votare nuovamente.
Quanto successo a metà novembre, con le dimissioni di Silvio Berlusconi e il rapido varo di un esecutivo di «tecnici», supportato da un’amplissima maggioranza parlamentare, sembrava preludere ad una stagione nuova della vita politica nazionale, in cui di fronte ad una crisi senza precedenti le principali forze politiche accettavano di fare «un passo indietro» per un periodo di pacificazione che permettesse misure coraggiose per fronteggiare la crisi economica e la speculazione finanziaria e ci traghettasse verso nuove elezioni, dando anche tempo al Parlamento di varare una nuova legge elettorale. Da questo percorso si è subito sfilata la Lega, pronta a dissotterrare i vecchi slogan della secessione contro «Roma ladrona», come se non avesse governato per otto degli ultimi dieci anni. Anche l’Idv, che pure aveva votato in un primo momento la fiducia a Monti, ha fatto presto dietrofront, convinta di poter lucrare consensi tra gli scontenti. Adesso si sentono «stonature» anche tra le file di Pd e Pdl. Le difficoltà che incontrano i leader dei partiti a gestire questa nuova fase sono reali. Obiettivamente non è facile essere oggi alleati di quella parte politica che finora si è aspramente combattuta. Per di più sostenendo misure impopolari che finora nessuno aveva avuto il coraggio e la forza di varare. Ma proprio in momenti come questi si misura la «statura» di un vero leader. Dal popolo di «nominati» in Parlamento, invece, non c’è molto da aspettarsi.
Claudio Turrini