Lettere in redazione

Il dramma dimenticato dei cristiani perseguitati

E’ positivo che siano comparsi sul n°12 di Toscanaoggi (alle pag 2 e 3) gli articoli di Corrado e Cantini (Cristiani perseguitati dall’Iraq alla Terrasanta) sullo attuale stato di persecuzione e di collegata non reciprocità cui sono sottoposte le comunità cristiane in medio oriente. Nella comune percezione, il cittadino italiano cristiano avverte un atteggiamento di remissività nella risposta di troppe strutture, civili e religiose, di fronte a questo problema.Sembra prevalga il concetto di «meglio non parlare, per evitare guai maggiori». Se così è, questo non è condivisibile. E che dire poi della (sempre come percepita) assenza di comunicazione da parte dei cristiani verso le comunità non cristiane presenti in Italia? La mia domanda non vuol essere provocatoria, ma esiste una qualche «RadioMaria» che trasmetta 15 minuti al giorno in lingua araba? Romano Contiindirizzo email

Toscanaoggi è da sempre attenta alla situazione delle comunità cristiane nel mondo e pubblica spesso notizie di persecuzioni o violenze di cui sono vittime i cristiani, che non trovano spazio sui grandi mezzi di informazione italiani. E i problemi non riguardano solo i paesi islamici. In molti stati dell’India, ad esempio, le cose vanno ancora peggio. Sul discorso della «reciprocità» occorre però fare una precisazione. Per le diplomazie e i governi è un concetto importante: se lo stato «X» non permette il libero ingresso delle nostre merci – ad esempio – abbiamo tutto il diritto di comportarci allo stesso modo con le loro. È un principio sacrosanto che purtroppo viene spesso accantonato per ragioni puramente economiche. Come si spiega altrimenti il silenzio dei «grandi» del mondo su quanto avviene in questi mesi in Tibet o in Sudan? Ma per un cristiano, quando si tratta di rapportarsi nella vita di tutti i giorni con uomini e donne di altre fedi, la «reciprocità» è un concetto totalmente fuorviante. La mia «compassione» per i bisogni di un fratello non può mai essere subordinata a quello che i suoi connazionali o correligionari abitualmente fanno verso i cristiani. Quanto alla «radio islamica» non mi risulta che in Italia sia diffusa, al di là di qualche tentativo via web. E a dire il vero non ne sento la necessità. Meglio che si integrino ascoltando le nostre. Tenga però presente che l’uso della lingua araba, comune a tutti gli islamici, permette anche a chi è in Italia di seguire network televisivi o siti web provenienti da paesi islamici.

Claudio Turrini