Opinioni & Commenti
Il doppio «no» all’eutanasia e all’accanimento terapeutico
Innanzitutto il messaggio del Papa ai partecipanti al meeting europeo della «World medical association» tramite il vescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita. Di fatto Francesco ha ribadito il Magistero della Chiesa in materia di «fine vita» con particolare riferimento all’accanimento terapeutico a cui è «moralmente lecito rinunciare» a favore delle cure palliative. A molti è apparsa (o voluta apparire) come una «svolta». Giornali di diversa estrazione politica sono usciti con lo stesso titolo. A dimostrazione che non è vero che questo è un Paese che si divide su tutto. Magari si unisce per strumentalizzare il Papa e fare pressing sul Parlamento perché approvi così com’è il disegno di legge sul consenso informato e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento.
E pensare che per dire «no» all’accanimento terapeutico e al tempo stesso all’eutanasia, Francesco ha citato Pio XII e il Catechismo della Chiesa cattolica. Niente di nuovo, dunque. Le questioni sul «fine vita» hanno sempre interpellato l’umanità. La differenza è che oggi possono assumere «forme nuove per l’evoluzione delle conoscenze e degli strumenti tecnici resi disponibili dall’ingegno umano». Occorre pertanto «un supplemento di saggezza», anche perché «argomenti delicati come questi vanno affrontati con pacatezza, in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise».
Inaspettatamente, un contributo alla riflessione è arrivato anche dalla trasmissione di Rai Uno Che tempo che fa con Fabio Fazio che ha intervistato Sandra Gesualdi, come si sa figlia di Michele, ex ragazzo di Barbiana, sindacalista e presidente della Provincia di Firenze, da alcuni anni affetto da Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) che gli ha tolto la parola e lo sta progressivamente debilitando. Sandra è diventata la voce di suo padre e con lui lotta perché si arrivi a una legge sul «fine vita». Ma non era scontato che in un programma del genere, di fronte a tre milioni e mezzo di telespettatori, si ripetesse più volte il doppio «no» all’accanimento terapeutico e all’eutanasia.
Ed è proprio da qui che bisogna partire, senza dimenticare che nel caso della malattia «le cure palliative sono motivo di speranza», ma che resta «insostituibile l’esperienza di essere amati», come ha scritto don Paolo Bargigia prima di morire. In questo caso è stato Matteo Renzi a entrare nel dibattito sul «fine vita» citando proprio le parole del prete fiorentino morto di Sla nell’agosto scorso. «Quello che salva dalla disperazione – a giudizio di don Paolo – è poter affrontare la malattia con i familiari, gli amici e i medici che fanno uscire dalla solitudine e mostrano il valore insostituibile e unico della persona. Non può mancare da parte di chi sta intorno ai malati questa attenzione, questa tenerezza». È quindi un altro punto di partenza. E per dirla con il Papa, «della persona vivente possiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte».