Opinioni & Commenti
Il diritto non è un’accozzaglia di regole bensì il vestito buono di una società
di Umberto Santarelli
Presentando, più di mezzo secolo fa, la terza edizione del suo «Elogio dei giudici scritto da un avvocato» Piero Calamandrei avvertì i suoi lettori che quest’elogio era rivolto «non alle leggi ma alla condizione umana del magistrato: a quest’ordine di asceti civili, condannati, in una società sempre più sprezzante dei valori morali, alla solitudine, all’isolamento, in certi periodi anche alla miseria ed alla fame, e tuttavia capaci di rimanere con dignità e discrezione al proprio posto anche in tempi di generale rovina, per cercar di introdurre nelle formule spietate delle leggi la comprensione umana della ragione illuminata dalla pietà». Chi ha letto il libro si rammenta di certo con quale forza e con quanta finezza questo grande giurista seppe svolgere il cómpito difficilissimo che s’era dato.
Quel che non bisogna mai dimenticare è che il diritto è non un’accozzaglia di regole scritte per combinazione e destinate ad esser obbedite alla lettera; ma il vestito che ogni società si cuce addosso dopo averlo tagliato a misura dei proprî valori (che son ben altro che i mille possibili capricci d’ogni persona). Ma quest’ordine regge, e riesce a governare la società, se ciascuno è disposto davvero a conformare i suoi comportamenti, non tanto alle singole norme scritte, quanto ai valori (anche etici, non solamente giuridici) su cui l’intero ordine giuridico è fondato.
L’esperienza italiana di questi anni ce ne offre una conferma indiscutibile. Si cominciò negli anni di «Mani pulite», quando un gruppo di giudici (di Milano, ma non solamente di lì), rendendosi conto che le cose della Repubblica stavano andando come non dovevano andare, fecero semplicemente il loro dovere, chiedendo a politici e amministratori pubblici di render conto dei loro comportamenti, che furon giudicati secondo l’ordine del diritto.
Moltissimi applaudirono con convinzione; altri (quelli che erano stati trovati con le mani nel sacco e i loro compari) lì per lì stettero zitti, perché non avevano nulla da dire. Ma prepararon la vendetta, che oggi siamo in grado di valutare chiaramente. Hanno detto d’esser solamente perseguitati da giudici faziosi;e lì per lì qualcuno ci ha perfino creduto. E hanno fatto di tutto per cercar di non render conto del loro operato, perdendo tempo per far maturare la prescrizione dei loro delitti. Si sono avvalsi delle funzioni pubbliche che stavano esercitando per prolungare a dismisura i processi.
Qualcuno si domandava se per caso, in mezzo a tanta disinvoltura nel gestire la cosa pubblica, anche ai magistrati si fosse attaccata la malattia di farsi belli col sol di luglio. La risposta l’unica che i magistrati posson dare è stata data pochi giorni fa, quando un giudice, accusato d’aver fatto gli affari suoi in processi che erano stati affidati al suo giudizio, è stato condannato in primo grado a quindici anni di reclusione insieme ad altri (non magistrati) imputati d’aver concorso con lui a vario titolo.
Non stiamo vivendo una bella stagione: basta sfogliare i giornali per rendersene conto al di là d’ogni ragionevole dubbio. Né si può dire che le pratiche delittuose appartengano a una sola delle parti politiche, o dimenticare che purtroppo anche dei magistrati sono accusati di comportamenti delittuosi di cui dovranno render conto davanti ai loro colleghi, come tutti gli altri cittadini.
Malgrado tutto e per grazia di Dio Piero Calamandrei séguita a aver ragione.