Lettere in redazione
Il dibattito all’interno della stampa cattolica
Egregio direttore, seguo, senza grande entusiasmo, quanto fornisce il quotidiano cattolico «Avvenire». In particolare, le lettere che vengono pubblicate sono quasi sempre prive di senso critico, e poco propositive; generalmente di censura verso reali o presunti antagonisti della ortodossia della Chiesa cattolica. Molte lettere non fanno altro che esprimere piena condivisione verso la direzione del quotidiano e attacchi virulenti verso coloro che non sono ben allineati; in particolare quei cattolici che, avendo assimilato tutto l’insegnamento del Concilio, intendono assumersi le loro responsabilità laicali. Non conosco la situazione per quanto attiene ai vari settimanali delle diocesi; voglio sperare che ci sia più riflessione e confronto, e pure dialettica. Considero un dovere, inderogabile, non tacere in merito a questioni vitali per l’insieme della società, e che su di esse si concentrassero gli scambi epistolari dei lettori della stampa cattolica. Enuncio alcuni argomenti che non ho mai visto fossero affondati nelle lettere al direttore di «Avvenire», il quotidiano dei vescovi italiani. Perché nessuno dice qualcosa, e, meno ancora ricerca le responsabilità, per le troppe morti sul lavoro? Ed in merito ai suicidi nelle carceri italiane, dove non c’è possibilità di vivere e di riscattarsi, trascorrendo il tempo senza alcun interesse, ed in ambienti così disumani. Quando vogliamo considerare che anche i reclusi sono delle persone, figli di Dio? E per le situazioni drammatiche in cui versano tantissime famiglie italiane, rimaste prive di quel bene essenziale che è il lavoro non leggo osservazioni, proposte di interventi da parte delle Istituzioni pubbliche, e neppure apprezzamento per quanto ha già fatto e cerca di fare il cardinale Dionigi Tettamanzi nella Chiesa ambrosiana, in particolare con il Fondo di solidarietà per le famiglie. Vorrei tanto poter dialogare in relazione a temi cruciali, anche per gareggiare alla ricerca delle soluzioni migliori. In ogni caso, non possiamo dirci cattolici, criticare altri e non riflettere in merito ai tanti drammi che colpiscono molte persone e famiglie, che, magari, vivono accanto a noi.
Ho l’impressione, caro Delfrate, che questa lettera sia stata mandata anche ad altri settimanali cattolici e non solo a noi. Forse il suo intento è quello di aprire un dibattito all’interno della stampa cattolica. Se così fosse non capisco perché non l’abbia mandata anche al direttore di «Avvenire». Comunque sia, mi prendo volentieri la briga di rispondere alla sua provocazione. E lo faccio con un’altra provocazione: ha mai letto «Avvenire»? A giudicare da alcune affermazioni direi proprio di no. Altrimenti saprebbe che al «morire di lavoro», il quotidiano cattolico (smettiamola di definirlo il «quotidiano dei vescovi»!) ha dedicato e dedica con straordinaria intensità articoli di cronaca, editoriali, pagine di approfondimento. Parlare poi di un disinteresse per le condizioni delle famiglie italiane colpite dalla crisi e per l’azione di solidarietà della Chiesa ambrosiana è persino ridicolo. È l’esatto contrario della realtà, che supera qualunque presunta fantasia censoria: solo «Avvenire» ha dato piena rilevanza non solo all’azione della diocesi di Milano ma a quelle di decine e decine di altre diocesi e dell’intera Chiesa italiana attraverso la straordinaria esperienza del «Prestito della speranza». Ha anche condotto, praticamente da solo tra i quotidiani nazionali, la battaglia per impedire l’ingiusto e assurdo innalzamento delle soglie di invalidità.
Mi chiedo, poi come faccia a sostenere che mancherebbe attenzione alla questione dei suicidi nelle carceri: «Avvenire» è praticamente in campagna informativa permanente su questo tema. E gli viene riconosciuto da tutti, persino dai radicali. Se il vero problema è la chiarezza di «Avvenire» sui valori base non negoziabili vita, famiglia, libertà religiosa ed educativa meglio dichiararlo, ma non si può cercare di sostenere le ragioni di un eventuale dissidio su questo punto cruciale con argomenti non fondati. Se poi lei si riferisce esclusivamente alle «Lettere al direttore» (ma non mi sembrerebbe così), il discorso andrebbe spostato sui lettori più che sul giornale. A meno che non si pensi a particolari forme di censura che, glielo garantisco per quanto ci riguarda, ma glielo potrei garantire anche per «Avvenire», non esistono. Il dialogo nei giornali cattolici (quotidiano nazionale e settimanali diocesani) è sempre bene accetto, nei limiti del rispetto reciproco e senza pregiudizi. Dialogare all’interno della comunione ecclesiale è naturale e semplice, basta volerlo.