Dal braciere – davanti all’altare maggiore – sale il fumo dell’incenso, a simboleggiare la preghiera che dal popolo sale verso Dio. Nel frattempo il coro – diretto dal maestro Riccardo Donati – intona l’antico inno del Te Deum, il «grazie» dei cattolici per l’anno appena trascorso. Venerdì 31 dicembre nella Cattedrale di Pisa l’Arcivescovo ha presieduto la solenne concelebrazione di ringraziamento, a conclusione dell’anno solare. Il 2010 della Chiesa pisana si è chiuso anche nel segno del santo patrono, con il presepe composto poco prima di Natale nel transetto del Santissimo Sacramento: alla fine della celebrazione sono stati in tanti a fermarsi davanti al grande allestimento che prende spunto dal ritorno di Ranieri in città. Nell’omelia monsignor Benotto ha ripercorso il cammino della Chiesa nell’anno appena finito, rilanciando il ruolo dei sacerdoti come figure di riferimento per la coesione sociale e la solidarietà con i più poveri.«È necessario nello scorrere del tempo fermarsi ogni tanto a riflettere – ha spiegato all’assemblea – per rinnovare il nostro grazie a Dio per i doni che ci ha elargito. Il tempo che ci è dato, le persone che ci sono vicine, le cose che sono a nostra disposizione, sentimenti, pensieri, volontà, tutto sia da noi affidato alla volontà di Dio, che con la sua Provvidenza ci accompagna e con la sua misericordiosa bontà ci sostiene e ci fa vivere». Capodanno è tempo di bilanci, di valutazioni… per il cristiano si tratta di fermarsi a verificare il cammino personale e di Chiesa. «Ognuno porta nel cuore la propria esperienza, il proprio fardello di preoccupazioni e di dolori, le gioie e le soddisfazioni… e ognuno non può non domandarsi: è stato davvero un buon anno, come ci auguravamo 12 mesi or sono?». Il 2010 è stato ancora una volta l’anno della crisi economica, accompagnata alla crisi politica e sociale, ai contrasti e alla mancanza di dialogo, alla carenza diffusa di passione per il bene comune: «la crisi – ha sottolineato monsignor Benotto – è soprattutto culturale, frutto di un sostanziale smarrimento antropologico». Il mito dell’uomo che trova da solo e nella sua individualità lo scopo dell’esistenza: una tentazione antica e pericolosa che conduce alla «solitudine, nella negazione delle relazioni umane e sociali, e a un vuoto interiore, nella pretesa di essere misura a se stesso senza alcun legame con Dio». Ma c’è nell’uomo anche «un bisogno sempre più forte di relazioni autentiche, una necessità sempre più disperata di apertura al dono e alla gratuità. Proprio in questa dinamica contraddittoria si manifesta la possibilità di una vera rigenerazione spirituale e della riacquisizione di quei valori che rendono piena e integrale la vita di una persona». La via è segnata e non si può pensare di prendere scorciatoie, né di percorrerla in solitaria: «ci vuole una nuova proposta educativa a tutto campo – ha suggerito l’Arcivescovo – e un’alleanza tra coloro che, a titolo diverso, sono chiamati a offrire il loro contributo per la crescita delle giovani generazioni. Si tratta di un autentico servizio d’amore che la Chiesa stessa desidera esercitare, con l’unica preoccupazione di un futuro bello e buono non solo per i giovani, ma per l’intera società nella quale viviamo. Un ulteriore aspetto della crisi che stiamo vivendo riguarda anche la fede; ritornano martellanti le parole di Gesù: quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà la fede sulla Terra?. Non è più il tempo di considerare la fede come realtà normale e scontata, come dato acquisito per tutti. La fede – lo sappiamo – è un dono che viene dal Signore, e ha bisogno di essere accolta come scelta di vita. Deve essere poi mantenuta, e la si mantiene solo se la si fa crescere. E cresce solo se viene comunicata e testimoniata da chi la professa». Tutti i credenti sono chiamati a incarnare la fede, a essere segno vivo e credibile per la società e per chi cerca Dio: «ci vogliono modelli autentici, che suscitino il desiderio di imitazione nella sequela di Gesù». Come nell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, siamo invitati a riconoscere e a mettere a disposizione i doni di ciascuno, per il bene comune: «bisogna pensare positivo e valorizzare l’esistente. Gesù invitò i discepoli a fidarsi di Dio e della sua potenza, dopo aver messo in gioco tutte le loro risorse. È quello che abbiamo cercato di fare – ha spiegato monsignor Benotto – a proposito della vita e della strutturazione territoriale della nostra diocesi, con l’istituzione delle Unità pastorali: invece di fermarci a lamentarci per ciò che non abbiamo, abbiamo voluto sottolineare e valorizzare al massimo i doni che già abbiamo e che tutti – nessuno escluso – siamo chiamati a custodire e a far fruttificare». A conclusione dell’omelia, l’Arcivescovo ha rivolto un pensiero particolare a quanti «con perseveranza e senza clamore, con generosità semplice e sincera si spendono per il bene del prossimo e per la crescita della comunità cristiana e civile: persone che – spesso ignote al mondo – sono sempre note a Dio, da lui amate e sostenute». Prendendo spunto dal messaggio di auguri pronunciato nei giorni precedenti dal sindaco di Pisa – presente alla cerimonia accanto ad altri sindaci del territorio, al presidente della Provincia e alle autorità civili e militari – monsignor Benotto ha ricordato «la rete di relazioni intessuta ogni giorno dai sacerdoti delle nostre parrocchie. Ringrazio il sindaco per questa testimonianza, e desidero rilanciare: quella dei preti è una presenza silenziosa, non altisonante, che nella quotidianità attiva e mantiene un’amicizia, un sostegno e una condivisione per colmare le distanze e accendere l’amore fraterno». Dopo la Messa le autorità presenti hanno ricevuto in dono dall’Arcivescovo una copia del messaggio di Benedetto XVI in occasione del 1 Gennaio 2011, 44ª giornata mondiale della pace.