Opinioni & Commenti
Il costo della «casta», problema etico e non solo economico
di Romanello Cantini
Mario Soldati, che frequentava De Gasperi nel suo Trentino, ha raccontato che una volta un impiegato andò a chiedere al nostro presidente del consiglio un aumento di stipendio. De Gasperi gli chiese quanto prendeva. E alla risposta escamò: «Accidenti! Tu guadagni più di me». Oggi il presidente del consiglio italiano non ha paura di guadagnare meno di uno statale qualsiasi. Con i suoi diecimila euro al mese guadagna un terzo più di Zapatero e di Sarkozy, il doppio di Putin, quattro volte il capo del governo del Brasile.
Francesco Bartolotta ha anche ricordato che quando nel gennaio 1949 i consiglieri regionali trentini, dopo quelli siciliani, decisero di darsi una indennità, De Gasperi si indignò. Telefonò al presidente della giunta regionale per protestare e telegrafò al commissario di governo per chiedergli se era possibile annullare la decisione. Oggi che anche un consigliere regionale naviga sui diecimila euro al mese, per non parlare della Sicilia dove ne guadagna il doppio, bisogna solo sperare che De Gasperi guardi Dio e non l’Italia.
Siamo il paese noto in Europa per avere il più alto debito pubblico e le più alti stipendi per i politici. I parlamentari italiani guadagnano il quaranta per cento in più dei parlamentari inglesi e tedeschi e il doppio di quelli francesi. Gli europarlamentari italiani si distinguono per guadagnare sui diecimila euro mensili, mentre gli inglesi si contentano di settemila, i francesi di cinquemila, gli spagnoli di tremila per non parlare dei polacchi a cui ne bastano seicento. I partiti si prendono dallo Stato ad ogni campagna elettorale cinquecento milioni di euro (mille miliardi di vecchie lire), cioè una cifra almeno cinque volte superiore a quanto i partiti avrebbero rubato con Tangentopoli, anche secondo i calcoli più pessimisti e una cifra che è di tre volte superiore a quanto ottengono i partiti dallo stato in Francia e di trenta volte superiore a quanto ricevono negli Stati Uniti.
Scriviamo queste cose che ormai tutti conoscono all’indomani di una manovra finanziaria che ha tolto soldi anche laddove arrivano in casa duemila euro portati a fatica da due persone. Si è alleggerito per esempio il borsello delle famiglie, soprattutto se numerose, tagliando le agevolazioni fiscali per i figli a carico, gli asili nido, le spese mediche, i contributi assistenziali e l’istruzione e dando una discreta spinta per far cadere diverse di esse sotto la soglia di povertà.
Il costo della politica invece è una delle poche cose che le forbici di Tremonti non hanno nemmeno sfiorato, visto che non si possono prendere sul serio misure come quella di riservare i voli di stato solo alle più alte cariche e l’altra che non riduce le auto blu, ma solo la loro cilindrata (fino a 1600). Non si è accennato a fare nemmeno mezzo passo intorno alle cose in cui in teoria tutti o quasi tutti sembrano d’accordo ormai da anni, come la riduzione di quasi mille parlamentari che solo l’Italia in tutto l’universo mantiene o la riforma di un sistema bicamerale perfetto che forse ci copia solo qualche paese africano, o la revisione di un sistema di province che ci costa quattordici miliardi (ventottomila miliardi di vecchie lire) all’anno.
E il problema del costo della politica non è solo un problema economico. Tocca l’etica. C’era una volta in cui si faceva politica per dovere, come i donatori di sangue, e lasciarla dopo un certo numero di anni era un sollievo. Quando una carica politica invece rende ricchi non si può abbandonarla mai perché si rinuncia non a un servizio, ma ad uno status e per arrivare e restare in una classe sociale privilegiata, vista la posta in gioco si possono usare tutti i mezzi e violare tutte le regole.