Cultura & Società
Il Chianti potrebbe non essere una riserva di nativi in estinzione
Il parroco don Alessandro Andreini lancia l'allarme a proposito del rischio di cancellazione della prima classe della Scuola primaria a Panzano in Chianti per l’anno scolastico 2023-24 (e non solo)
Non sarebbe per niente facile o comodo trovarsi oggi nei panni degli amministratori locali dei comuni della bellissima regione tra Siena e Firenze che dà il nome a uno dei vini più conosciuti al mondo. Essi, infatti, si trovano stretti tra due prospettive tra loro confliggenti. Se, da un lato, promuovere la cittadinanza attiva dei residenti, mettendo al centro la scolarizzazione, la socialità, la promozione culturale, sportiva e ricreativa, i collegamenti con i grandi centri, la piena alfabetizzazione e l’integrazione degli abitanti giunti da altrove. Oppure, dall’altro, permettere o favorire l’insediamento di location sempre più esclusive che attirano in Chianti quel mondo amato e celebrato dai social che vive al costo medio di non meno di 1500-2000 euro al giorno. Dal punto di vista meramente economico, i conti sono presto fatti: la prima ipotesi costa, e molto. La seconda frutta, forse molto di più. Ma non è senza costi, ovviamente, sociali, umani, culturali e perfino spirituali.
Chi, infatti, soggiorna sulle colline chiantigiane per due, tre o sette giorni e appartiene a quell’altissima fascia di reddito ha ben precise richieste: una sistemazione almeno a quattro stelle, cibo superlativo, vini e alcolici di massima qualità, viste mozzafiato, accessi rapidi e comodi. Talvolta, ne ha fatto esperienza chi scrive, ha anche bisogno di un momento di carattere religioso, forse collegato all’idea che la nostra Italia sia un paese ancora molto cattolico o alla bellezza artistica o paesaggistica delle pievi e delle chiese che punteggiano lo skyline chiantigiano: matrimoni esclusivi, celebrazioni in cappelle private, benedizioni. Spesso accompagnati dall’esplicita preoccupazione che l’ambientazione sia la più classica e suggestiva possibile, magari con messe in latino e accompagnamenti musicali sofisticatissimi.
Non è chi non capisca che tali presenze risultano estremamente remunerative per coloro che lavorano nel settore del turismo, il cui indotto è davvero ingente e variegato. E le stesse amministrazioni locali non possono certo ignorare o, addirittura, ostacolare questi flussi che portano lavoro per tutti, dai proprietari degli alberghi, ai produttori di vino, olio e altri prodotti tipici, e fino a chi si occupa dei giardini, delle pulizie o della guardiania, ma l’elenco è ben più ampio. Per altro, negare i “servizi religiosi” prima elencati risulterebbe un vero e proprio boicottaggio nei confronti di questo meccanismo assai redditizio per tante persone.
Si dirà, tornando all’interrogativo iniziale, che è possibile trovare una via media e che i proventi di questo turismo in massima parte stagionale potrebbero essere proficuamente utilizzati per promuovere la cittadinanza attiva di cui parlavamo. Una necessità che riguarda, per altro, proprio molti di coloro che operano per rendere il Chianti quel luogo accogliente e mozzafiato che emerge dalle recensioni su Booking, Airbnb e via dicendo. Si tratterebbe, facendo una fantasia, di svestire l’abito festivo dei mesi dalla primavera all’autunno, dei locali e localini aperti, delle feste, delle cooking-classes e del wine or oil tasting, per indossare quelli forse un po’ meno colorati di un lavoro di cittadinanza attiva, ovvero di scolarizzazione, promozione umana e sociale, socializzazione e realizzazione di centri di incontro, studio, conoscenza reciproca, cura del territorio, assistenza attiva degli anziani e delle persone con disabilità o disagio, progetti per le giovani generazioni, formazione professionale specifica, forse anche tempo per una ricerca interiore considerata troppo spesso una ruota di scorta della vita… Certo, visto che l’anno è composto di solo quattro stagioni, si tratterebbe di un tempo purtroppo breve e solo “invernale”, ed è qui che si pone effettivamente il problema: se il Chianti indossa troppo a lungo gli abiti della festa e recita la parte del territorio unico e inconfondibile, pittoresco e fuori dal tempo, fa davvero fatica, nei restanti tre mesi, a essere qualcosa di diverso e a promuovere davvero la fin troppo citata cittadinanza.
Se, per fare un solo esempio, ai residenti provenienti dall’estero bastano poche decine di parole italiane per lavorare nove mesi e guadagnare abbastanza per tutto l’anno – magari senza neppure aver sviluppato il senso di responsabilità di esigere un lavoro regolare, e avendo spesso anche a che fare con persone che volentieri accettano questo accordo non scritto… –, nessuno sentirà mai il bisogno di apprendere più a fondo la bella, ma non facilissima lingua di Dante, Manzoni e Mario Luzi. Insomma, si rischia davvero di trasformare il nostro territorio in una di quelle “riserve” amatissime dai turisti, ma invivibili per coloro che vi abitano. Prova ne siano, purtroppo, le molte famiglie giovani che decidono di trasferirsi definitivamente, e non di rado a malincuore, nei centri più grandi.
Non si tratta, indubbiamente, di un fenomeno che riguarda il solo Chianti o la sola Italia. Secondo i dati dei più attenti osservatori internazionali, ogni anno sono decine di milioni le persone che abbandonano le campagne per dirigersi verso le città. L’inurbamento ha cifre enormi in Cina, ma la stessa protesta dei gilets jaunes francesi non era altro che il grido della vastissima provincia transalpina dove diventa sempre più difficile condurre una vita civile degna di questo nome. Sembra, insomma, praticamente impossibile contrastare tale movimento globale.
Per il nostro Chianti, tuttavia, data anche la sua non impossibile distanza dai centri urbani maggiori – Siena e Firenze, ma anche Valdarno e Val di Pesa –, facilmente superabile attraverso una più efficiente e capillare rete di trasporti, un tentativo meriterebbe di essere fatto.
Esso potrebbe prendere avvio da un “patto” tra residenti e ospiti, ma anche con quei cittadini facoltosi che hanno scelto il Chianti come loro seconda o, non di rado, prima casa: una presa di coscienza collettiva della necessità di mantenere vivo un territorio e i suoi residenti, anche con il sostegno convinto e continuato delle amministrazioni locali. Ai visitatori della stupefacente basilica della Sagrada Família, a Barcellona, a fronte del notevole costo del biglietto d’ingresso – € 36 – viene svolto un ragionamento di questo tipo: voi non siete dei semplici turisti o visitatori, ma degli sponsor di questo cantiere ancora in attività. Non potrebbe essere un concetto da promuovere con i turisti e i visitatori che affollano le nostre colline?
Certo, bisogna che un cantiere ci sia… Ecco, allora, alcuni punti di forza sui quali agire: scuole, associazioni del territorio, aziende agricole, operatori del turismo, centri culturali, comunità cristiane, centri Caritas, progetti creativi di formazione professionale. E ancora, non ultimo, un lavoro giusto per tutti – non solo legale, ma anche non eccessivo, tale da garantire alle persone del tempo per vivere, non solo per riposare… –, enti di tutela del patrimonio artistico, culturale e paesaggistico e, soprattutto e sempre, amministrazioni locali sempre più consapevoli del rischio del costituirsi della “riserva” e che mantengono viva l’attenzione su ogni aspetto che potrebbe accelerare il processo di degrado.
Come sarebbe, appunto, la mancata attivazione della prima classe della Scuola primaria di Panzano: un vulnus difficilmente sanabile e che aprirebbe una falla davvero ingestibile nella faticosa costruzione di una comunità attiva e partecipe. Una comunità composta di cittadini sovrani, come amava chiamarli don Lorenzo Milani, pienamente in grado, insomma, dal punto di vista linguistico, ma non solo, di esercitare il loro diritto di voto e di cittadinanza attiva. C’è davvero molto da lavorare e nemmeno un minuto da perdere: mettiamo in atto un’alleanza per la cittadinanza, e facciamolo subito, mentre ancora ci è dato di poter dire con forza: non siamo nativi, ma cittadini!