DI CHIARA DOMENICIQuella del giovane Doudou Djeng è una storia molto triste: in Italia da tre anni come venditore ambulante per sostenere la famiglia in Senegal, è morto giovedì scorso per una grave forma di leucemia. Ma la cosa più triste è che accanto a sé non ha potuto avere la sua famiglia: sua moglie, la sua bambina, che non aveva nemmeno conosciuto e suo fratello che, donandogli il midollo osseo avrebbe anche potuto salvarlo. «A impedire tutto questo racconta don Luigi Zoppi, sacerdote salesiano a Livorno è stata la burocrazia italiana. Il caso di Doudou lo aveva segnalato l’ospedale labronico alla nostra casa di accoglienza Tre ponti che apre le porte ai malati terminali e ai ragazzi in condizioni di disagio. Lo abbiamo accudito per più di un anno, con la collaborazione dell’ospedale di Firenze e di Genova, ma la malattia si aggravava e lui aveva bisogno di avere la famiglia accanto a sé. Per questo da luglio avevamo iniziato a raccogliere la documentazione necessaria per far venire la famiglia in Italia. Prima la prefettura di Livorno, poi il ministero a Roma, poi l’ambasciata italiana a Dakar. Ma le centinaia di Euro in telefonate e fax non sono servite a niente. Prima perdevano i documenti, poi si dimenticavano gli appuntamenti per il colloquio con la famiglia, poi c’è voluto quasi un mese per il rinnovo dei passaporti; ci passavano da un ufficio all’altro rimandando di giorni, di settimane, i nulla osta per l’entrata in Europa, così Doudou è peggiorato e poi è morto senza poter avere il conforto dei suoi cari. Sembra impossibile conclude don Zoppi che nel nostro paese, dove le leggi dovrebbero sostenere in primis la dignità umana, sia potuto accadere una cosa simile. Conoscere questo ragazzo è stata una grande ricchezza. Era musulmano, ma spesso abbiamo pregato insieme, uniti dalla fede nell’unico Dio. Mi chiedo chi abbia sulla coscienza la morte di questo ragazzo».