Arte & Mostre
Il Beato Angelico ci aiuta a capire la Sindone
Per l’ostensione della Sacra Sindone del 2015, il Museo di San Marco di Firenze ha prestato al Museo Diocesano di Torino un’opera nata dalla stessa fede intensa che caratterizza il pellegrinaggio sindonico: il Compianto su Cristo morto del Beato Angelico. Realizzato tra la fine del quarto e l’inizio del quinto decennio del XV secolo, il dipinto appartiene al periodo in cui la Sindone cominciò a essere conosciuta fuori della Francia, e infatti fa vedere sotto il corpo del Salvatore un telo bianco finissimo che forse allude ad essa. Eseguito su tavola, il Compianto era in origine una pala d’altare, e sotto questo telo dobbiamo immaginare la tovaglia della mensa eucaristica, come sotto il corpo di Cristo raffigurato dobbiamo immaginare l’ostia e il calice di vino: il Corpus Christi sacramentale in cui la fede vede realmente presente il Figlio di Dio e di Maria. Celebre tra i teologi del Sacramento fu il domenicano Tommaso d’Aquino, la cui idea viene tradotta qui in immagine da un altro domenicano, famoso anche lui, frate Giovanni da Fiesole noto come Beato Angelico».
Chi era l’Angelico? Lo storico cinquecentesco Giorgio Vasari lo presenta come modello per «gli ecclesiastici»: un religioso di «somma e straordinaria virtù», «di santissima vita», «semplice uomo e santissimo ne’suoi costumi», «umanissimo e sobrio», il quale «non arebbe messo mano ai pennelli, se prima non avesse fatto orazione» e «non fece mai crocifisso che non si bagnasse le gote di lagrime». Sempre secondo il Vasari – tanto più attendibile in questo caso, quanto meno era abituato a parlare in simili termini, che deve aver attinto dalla tradizione interna del convento del frate -, l’Angelico soleva affermare «che chi faceva quest’arte, aveva bisogno di quiete e di vivere senza pensieri; e che chi fa cose di Cristo, con Cristo deve stare sempre».
Chi fa cose di Cristo, con Cristo deve stare sempre: ecco una chiave di lettura fondamentale. L’Angelico, che faceva solo soggetti sacri – «cose di Cristo» – stava sempre con Cristo. Membro del ramo riformato del suo Ordine – la così detta «Osservanza» – e presbitero, la sua santità è stata riconosciuta dalla Chiesa, che nel 1984 lo ha dichiarato formalmente e non solo popolarmente «beato». Dipingeva «cose» – eventi, persone, soprattutto la persona Cristo – in base all’intima conoscenza di chi cerca di ’stare sempre’ con il promesso Sposo del cuore umano, l’atteso delle nazioni, l’Agnello di Dio che è anche il Sole di Giustizia. Per capire l’Angelico, infatti, bisogna rientrare in queste categorie, in questo linguaggio esprimente nel contempo intimità e universalità, mitezza e grandezza. Per dare un giusto peso ai colori solari, alla bellezza purissima, agli sguardi carichi di brama mistica, bisogna riscoprire l’ardore e l’innocenza del contemplativo.
Nel caso del Compianto su Cristo morto, Angelico metteva la propria «innocenza» a servizio di uomini ritenuti colpevoli di gravi crimini. L’opera fu eseguita per una confraternita laicale, la Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio: specificamente per la loro chiesa presso una delle porte urbiche di Firenze, detta Porta della Giustizia perché al suo esterno venivano giustiziati i condannati a morte. Il pio sodalizio si dedicava al conforto spirituale dei condannati, che i confratelli scortavano dal carcere lungo la via cittadina conducente alla Porta della Giustizia, e poi – oltrepassata la Porta – al patibolo allestito a qualche centinaio di metri dalle mura. Mentre camminavano ai lati del condannato, i ’confortatori’ tenevano davanti agli occhi del condannato piccole tavolette dipinte con scene della Passione di Cristo, così che l’uomo che stava per morire non vedesse la folla inferocita ma solo Gesù, pure Lui giustiziato come un comune criminale fuori le mura della sua città.
L’unica sosta in questa via crucis era presso l’oratorio della confraternita nei pressi della Porta della Giustizia, il cosiddetto «tempio», demolito nel XIX secolo, dove il prigioniero ascoltava la Messa. Ed ecco sull’altare dell’oratorio il dipinto dell’Angelico, che fa vedere Gesù deposto da una croce a «tau» (con la forma cioè di una forca), a qualche centinaia di metri dalle mura di Firenze che l’artista ha raffigurato in maniera inconfondibile sullo sfondo, con una grande porta urbica aperta: proprio quella attraverso la quale il «povero Cristo» condannato doveva passare. Come sempre poi nell’arte angelichiana, una luce silenziosa avvolge figure ed oggetti, così che le mura raffigurate brillano, e Firenze sembra quasi una Gerusalemme celeste; l’immagine, in effetti, aveva la funzione non solo di confortare il condannato, invitandolo ad identificare le proprie sofferenze con quelle di Cristo, ma anche di riconciliarlo alla comunità – alla città – che l’aveva espulso e che stava per togliergli la vita, ma che nel dipinto viene presentata con una bellezza trascendentale.
Tra gli ultimi dipinti del lungo periodo di maturazione ed affermazione professionale dell’Angelico, il Compianto sul Cristo morto fu commissionato dal monaco benedettino Don Sebastiano di Jacopo di Rosso Benintendi il 13 aprile 1436 per conto della confraternita. La Compagnia di Santa Maria della Croce del Tempio era infatti gestita dai benedettini, e Don Sebastiano, ex-frate domenicano monacatosi, era il nipote della santa contemporanea raffigurata nel Compianto – la penultima figura a destra di chi guarda -, Beata Villana delle Botti, morta nel 1361 e venerata nella chiesa domenicana fiorentina di Santa Maria Novella. Donna sposata dalla vita dissoluta, Beata Villana s’era convertita a Cristo sulla cui passione amava meditare, e l’Angelico la rappresenta mentre contempla il Salvatore morto e pronuncia le parole che le escono dalla bocca: XP [IST]O YH [ES]U LAMOR MIO CRUCIFISSO- «Cristo Gesù, l’amor mio crocifisso».
*curatore della mostra del Compianto sul Cristo morto dell’Angelico a Torino, è Direttore dell’Ufficio d’Arte Sacra e dei Beni Culturali Ecclesiastici dell’Arcidiocesi di Firenze nonché Direttore del Museo dell’Opera del Duomo fiorentino.