Il 31 agosto, secondo il calendario liturgico dell’ordine dei Servi di Maria, la comunità cristiana di Sansepolcro ha celebrato la memoria del beato Andrea, noto anche con il cognome Dotti. La Diaconia dell’Attesa che vive nel convento dei Servi di Maria e la parrocchia della Cattedrale hanno organizzato un programma di iniziative liturgiche e culturali per presentare alla città la figura del beato il cui culto fa approvato da Pio VII esattamente duecento anni fa: il 29 novembre 1806. Il beato Andrea è uno dei cinque personaggi morti fra il 1304 e il 1320 nella diocesi di Città di Castello che a quel tempo comprendeva tutta l’Alta Valle del Tevere ad esclusione dei centri di Anghiari e Umbertide. Si tratta di quattro uomini e una donna subito venerati come santi dal popolo: il francescano beato Ranieri da Sansepolcro nel 1304, l’agostiniano beato Angelo da Sansepolcro attorno al 1306, i servi di Santa Maria beati Andrea e Ubaldo da Sansepolcro nel 1315, la laica Margherita da Città di Castello, legata all’ordine dei domenicani, nel 1320. Una fioritura di santi straordinaria che interroga sia l’attenzione degli studiosi sia la coscienza dei cristiani. Chi sono questi santi? Di loro sappiamo ben poco e spesso cominciano ad essere documentati dopo la morte, quando il popolo cristiano ne chiede l’intercessione e li venera come santi. La loro storicità è indubbia, ma i documenti che li riguardano ci informano poco della loro vita; in alcuni casi ci dicono che cosa fecero, ma nulla su come pregassero, come predicassero, come esercitassero la carità. Nulla di particolarmente eclatante, come vorrebbe la nostra curiosità, ma il discernimento del popolo cristiano li ha subito riconosciuti come santi. Sono i santi del quotidiano: hanno saputo dare una forte testimonianza di coerenza evangelica, sono stati capaci di instaurare relazioni autenticamente evangeliche con quanti, confratelli o laici devoti, sono stati loro accanto; si sono saputi mettere al servizio del prossimo senza lasciare nessun’altra traccia nella storia all’infuori della loro santità. Una traccia che sfugge al nostro desiderio di «fatti concreti» ma che è sopravvissuta nei secoli. Una testimonianza presto colta dai contemporanei che alla morte di questi personaggi – molto spesso eremiti o frati mendicanti – li hanno dichiarati santi e sono accorsi a pregare sulla loro tomba per chiedere quei miracoli che la loro grande fede avrebbe certamente ottenuto da Dio. La memoria dei nostri santi ci fa riscoprire tutto questo e ci spinge a vivere la fede nella quotidianità della nostra vita e nell’ordinarietà del nostro servizio.A.C.