Toscana

Identikit dell’Osservatorio

Pubblichiamo il testo della relazione il 5 giugno 2002 all’incontro della Delegazione regionale Caritas della Toscana. 1. L’atto di nascita dell’osservatorio Il suo “atto di nascita” (o la sua “carta di identità”) è riscontrabile nel paragrafo n.22 della nota pastorale della CEI “La Chiesa in Italia dopo Loreto”: “Se la vita che Dio trasmette mediante il ministero della Chiesa si esprime in pienezza nell’amore, è necessario che questo ministero ecclesiale, oltre ad essere pace ridonata a chi ha peccato, sia servizio riconciliato con la gente: ministero che si dirige a tutti, non solo a gruppi ristretti; ministero che ama la gente povera, ministero che è partecipazione alla storia delle persone, capacità di ascoltare ed insieme di aiutare tutti ad ascoltare, per far crescere nella verità e nella responsabilità; ministero che sa parlare il linguaggio che parla la gente, secondo una destinazione popolare della misericordia e della pedagogia di Dio. A questo proposito, è necessario prendere coscienza piena del rapporto indissolubile tra catechesi, sacramenti e azione caritativa. Dobbiamo inoltre acquisire un’adeguata competenza nella lettura dei bisogni, delle povertà, dell’emarginazione: un osservatorio permanente, capace di seguire le dinamiche dei problemi della gente e di coinvolgere direttamente la comunità ecclesiale in modo scientifico, non dovrebbe mancare in nessuna chiesa locale”. La proposta emerse da una delle commissioni di lavoro del convegno e venne fatta propria dai vescovi, che la rilanciarono all’intera comunità ecclesiale italiana. Leggendo bene il testo si può capire il significato autentico e profondo dell’idea originaria. La preoccupazione di fondo dei vescovi riguardava il “ministero” (servizio) “della Chiesa”, attraverso il quale Dio trasmette la vita al mondo. La motivazione era quindi squisitamente pastorale, nel suo senso più pieno del termine, e andava al cuore della missione della Chiesa. Questo servizio, dicevano i vescovi, “si esprime in pienezza nell’amore”. E venivano elencate con chiarezza le modalità ritenute necessarie per fare in modo che ciò si realizzasse: • ridonare pace a chi ha peccato • riconciliarsi con la gente • rivolgersi a tutti (non solo a gruppi ristretti) • amare la gente povera • partecipare alla storia delle persone • imparare ad ascoltare e aiutare a farlo • far crescere nella verità e nella responsabilità • parlare il linguaggio che parla la gente Per rendere possibile tutto questo, i vescovi ritenevano necessarie due condizioni: 1. “prendere coscienza piena del rapporto indissolubile tra catechesi, sacramenti e azione caritativa” 2. “acquisire un’adeguata competenza nella lettura dei bisogni, delle povertà, dell’emarginazione”. Ciò attraverso “osservatori permanenti” che rendessero le chiese locali (cioè le diocesi) in grado di: • seguire le dinamiche dei problemi della gente; • coinvolgere direttamente la comunità ecclesiale in modo scientifico. Consentitemi di dire che se le parole hanno un senso (e, data la fonte, non c’è alcun motivo per dubitarne) questo brano del documento costituiva indubbiamente un fatto molto importante per la Chiesa italiana. Al suo interno c’erano affermazioni molto significative, che individuavano le linee prioritarie della pastorale per gli anni successivi, ma che in qualche modo erano anche (se mi passate l’espressione) quasi una confessione pubblica: a nome della Chiesa italiana i vescovi riconoscevano che la Chiesa stessa era lontana dalla gente e non si rivolgeva a tutti, sentivano la necessità che la Chiesa rivolgesse particolare attenzione ai poveri e a tutte le persone in difficoltà, ascoltasse di più le persone e i fatti della vita, parlasse un linguaggio più semplice, educasse le persone alla verità e alla responsabilità. I vescovi ravvedevano anche la necessità di considerare in modo diverso il legame tra l’annuncio, la celebrazione delle liturgie e la testimonianza dell’amore di Dio (“azione caritativa”), riconoscendo che queste tre dimensioni si influenzano reciprocamente e che non possono fare a meno l’una dell’altra. Inoltre, affermavano la necessità che la Chiesa acquisisse “adeguata competenza” per conoscere e seguire permanentemente i problemi delle persone e le loro dinamiche, coinvolgendo la comunità ecclesiale “direttamente” e “in modo scientifico” (sono termini forti e impegnativi). 2. Alcuni riferimenti biblici e dottrinali Dal suo “atto di nascita” emerge chiaramente che l’osservatorio delle povertà venne concepito come uno strumento (non un fine !) funzionale al servizio della Chiesa (testimoniare al mondo l’amore di Dio), pensato per aiutare la Chiesa ad essere piú autentica, più fedele al disegno di amore di Dio. E’ questa un’affermazione che non deve stupire, anche se può sembrare un po’ altisonante o presuntuosa. Per motivarla meglio richiamo, senza alcuna pretesa di esaustivitá e senza pensare di insegnare nulla a nessuno, alcuni concetti di fondo sul Regno di Dio, sulla salvezza, sul senso e sulla missione della Chiesa: • il Regno di Dio è vivere secondo il progetto di amore di Dio, è vivere l’amore di Dio – la “salvezza” è vivere il Regno di Dio già su questa terra • la Chiesa è la comunità dei “salvati”, cioè di coloro ai quali è stato annunciato il Regno di Dio e che hanno accolto il progetto di Dio Mt 7, 21: “Non tutti quelli che dicono: “Signore, Signore !” entreranno nel regno di Dio. Vi entreranno soltanto quelli che fanno la volontà del Padre mio che è in cielo” Lc 6,46: “Perché mi chiamate: “Signore, Signore” e non fate quel che vi dico ?” • la Chiesa è segno e strumento di salvezza … Mt 5, 13-16: “Siete voi il sale del mondo. Ma se il sale perde il suo sapore, come si potrà ridarglielo? Ormai non serve più a nulla; non resta che buttarlo via, e la gente lo calpesta. Siete voi la luce del mondo. Una città costruita sopra una montagna non può rimanere nascosta. Non si accende una lampada per tenerla sotto un secchio, ma piuttosto per metterla in alto, perché faccia luce a tutti quelli che sono in casa. Così deve risplendere la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano il bene che voi fate e ringrazino il Padre vostro che è in cielo” Mc 9,49-50: “Chi non avrà sale in sé stesso finirà nel fuoco. Il sale è una cosa buona, ma se il sale perde il suo sapore come potete ridarglielo ? Cercate di avere sale in voi stessi, e vivete in pace tra voi!” Lc 14, 34-35: “Il sale è una cosa utile, ma anche il sale se perde il suo sapore come si fa a ridarglielo? Non serve più a niente, neppure come concime per i campi: perciò lo si getta via. Chi ha orecchi cerchi di capire!” … per tutti gli uomini … LG 9: “[il popolo messianico = la Chiesa] è pure da Lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (Mt 5, 13-16), è inviato a tutto il mondo” … perché l’amore è per tutti gli uomini, creati ad immagine e somiglianza di Dio Mc 16,15: “Andate in tutto il mondo e portate il messaggio del vangelo a tutti gli uomini” – v. LG 1; LG 13: “Tutti gli uomini sono chiamati a formare il Popolo di Dio” •l’amore è caratterizzato dalle relazioni che si vivono 1 Cor 13, 4-7: “Chi ama è paziente e generoso. Chi ama non è invidioso, non si vanta, non si gonfia di orgoglio. Chi ama è rispettoso, non cerca il proprio interesse, non cede alla collera, dimentica i torti. Chi ama non gode dell’ingiustizia, la verità è la sua gioia. Chi ama tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, mai perde la speranza” • Gesù annuncia e manifesta il Regno di Dio attraverso alcuni segni particolari e precisi (guarisce i lebbrosi, guarisce i malati, libera dagli spiriti maligni, ridona la vista ai ciechi: si rivolge a coloro che erano ai margini della società, gli esclusi, coloro che erano considerati peccatori) Lc 7, 18-23: “Anche Giovanni venne a sapere queste cose dai suoi discepoli. Chiamò allora due di loro e li mandò dal Signore a chiedergli: “Sei tu quello che deve venire oppure dobbiamo aspettare un altro?” Quando arrivarono da Gesù quegli uomini dissero: “Giovanni il Battezzatore ci ha mandati da te per domandarti se sei tu quello che deve venire o se dobbiamo aspettare un altro”. In quello stesso momento Gesù guarì molta gente dalle loro malattie e dalle loro sofferenze; alcuni li liberò dagli spiriti maligni e a molti ciechi restituì la vista. Poi rispose così ai discepoli di Giovanni: “Andate a raccontargli quello che avete visto e udito: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono risanati, i sordi odono, i morti risorgono, la salvezza viene annunziata ai poveri. Beato chi non perderà la fede in me” • in questo modo Gesù ci vuole dare un’indicazione molto precisa: tutti devono essere in grado di percepire l’amore di Dio, ma proprio per questo motivo chi ha più bisogno di essere amato sono le persone più sofferenti, più escluse, più in difficoltà Lc 1, 52: “Ha rovesciato dal trono i potenti, ha rialzato da terra gli oppressi” addirittura (LG 8) “la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo Fondatore, povero e sofferente, si premura di sollevarne l’indigenza, e in loro di servire Cristo” • su questo si basa l’amore preferenziale per i “poveri”, che, come afferma Giovanni Paolo II nella “Sollicitudo rei socialis”, “è (…) una opzione, o una forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l’uso dei beni. […] La nostra vita quotidiana deve essere segnata da queste realtà, così come pure le nostre decisioni in campo politico ed economico” (n.42). Per il papa la scelta preferenziale dei poveri non resta confinata nel campo dei sentimenti e delle scelte individuali ma, assunta fino in fondo, investe scelte strutturali di enorme portata. Scegliere di guardare il mondo con gli occhi dei poveri comporta una autentica rivoluzione, a tutti i livelli, implica il concetto di “caritá politica”: “La preoccupazione stimolante verso i poveri – i quali, secondo la significativa formula, sono «i poveri del Signore» – deve tradursi, a tutti i livelli, in atti concreti fino a giungere con decisione a una serie di necessarie riforme. Dipende dalle singole situazioni locali individuare le più urgenti ed i modi per realizzarle; ma non bisogna dimenticare quelle richieste dalla situazione di squilibrio internazionale […]. Al riguardo, desidero ricordare in particolare: la riforma del sistema internazionale di commercio, ipotecato dal protezionismo e dal crescente bilateralismo; la riforma del sistema monetario e finanziario mondiale, oggi riconosciuto insufficiente; la questione degli scambi delle tecnologie e del loro uso appropriato; la necessità di una revisione della struttura delle Organizzazioni internazionali esistenti, nella cornice di un ordine giuridico internazionali” (n.43). In questa prospettiva gli stessi vescovi italiani ci ricordano che “l’amore preferenziale per i poveri costituisce un’esigenza intrinseca del vangelo della carità e un criterio di discernimento pastorale nella prassi della chiesa” (CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n.47) • i “poveri” di Dio sono tutti coloro che vivono situazioni di sofferenza, di emarginazione, di esclusione, di schiavitù, di difficoltà (anche temporanea), tutti coloro che a causa del peccato (e delle “strutture di peccato” – v.SRS n.37) sono offesi nella loro dignità di essere viventi, non vivono una vita degna di essere vissuta, non sono “amati” o considerati (nelle relazioni a tutti i livelli, da quelle personali a quelle sociali, dagli individui o dalle istituzioni) SRS n.37: “A questa analisi generale di ordine religioso si possono aggiungere alcune considerazioni particolari, per notare che tra le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le «strutture» che essi inducono, i più caratteristici sembrano oggi soprattutto due: da una parte, la brama esclusiva del profitto e dall’altra, la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà. A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere, per caratterizzarli meglio, l’espressione: «a qualsiasi prezzo». (…) Se certe forme di «imperialismo» moderno si considerassero alla luce di questi criteri morali, si scoprirebbe che sotto certe decisioni, apparentemente ispirate solo dall’economia o dalla politica si nascondono vere forme di idolatria: del denaro, dell’ideologia, della classe, della tecnologia.” • è sull’amore per i poveri che verremo giudicati, è sul tipo di relazioni con i poveri che si misura la nostra capacità di vivere il Regno di Dio Mt 25, 31-46: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nel suo splendore, insieme con gli angeli, si siederà sul suo trono glorioso. Tutti i popoli della terra saranno riuniti di fronte a lui ed egli li separerà in due gruppi, come fa il pastore quando separa le pecore dalle capre: metterà i giusti da una parte e i malvagi dall’altra. Allora il re dirà ai giusti: “Venite, voi che siete i benedetti dal Padre mio; entrate nel regno che è stato preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Perché, io ho avuto fame e voi mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato nella vostra casa; ero nudo e mi avete dato i vestiti; ero malato e siete venuti a curarmi; ero in prigione e siete venuti a trovarmi”. E i giusti diranno: “Signore, ma quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere ? Quando ti abbiamo incontrato forestiero e ti abbiamo ospitato nella nostra casa, o nudo e ti abbiamo dato i vestiti ? Quando ti abbiamo visto malato o in prigione e siamo venuti a trovarti ?” Il re risponderà: “In verità, vi dico che tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me!” Poi dirà ai malvagi: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno che Dio ha preparato per il diavolo e per i suoi simili ! Perché io ho avuto fame e voi non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato nella vostra casa; ero nudo e non mi avete dato i vestiti; ero malato e in prigione e voi non siete venuti da me.” E anche quelli diranno: “Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, forestiero, nudo, malato o in prigione e non ti abbiamo aiutato?” Allora il re risponderà: “In verità, vi dico che tutto quel che non avete fatto a uno di questi piccoli, non l’avete fatto a me”. E andranno nella punizione eterna, mentre i giusti andranno nella vita eterna” • tutto questo porta allora ad affermare che per la Chiesa la povertà é profezia di Dio e non solo bisogno da colmare, la povertà è stile della Chiesa, la povertá è benedizione per la Chiesa Gv 9, 1-3: “Camminando, Gesù passò accanto a un uomo che era cieco fin dalla nascita. I discepoli chiesero a Gesù: “Maestro, se quest’uomo è nato cieco, di chi è la colpa? Sua o dei suoi genitori ?” Gesù rispose: “Non ne ha colpa né lui né i suoi genitori, ma è così perché in lui si possano manifestare le opere di Dio”.” ETC n.48: “l’amore preferenziale per i poveri e la testimonianza della carità sono compito di tutta la comunità cristiana, in ogni sua componente ed espressione” Intendiamoci bene: non si tratta di fare poesia sulla povertá, sulla malattia, sull’emarginazione, su chi sperimenta la sofferenza sulla propria pelle. Farsi interpellare dalla povertà (a livello locale, a livello regionale, a livello nazionale, a livello mondiale) significa invece mettersi in cammino per imparare a leggere i “segni dei tempi”, per imparare a cogliere la presenza di Dio nei fatti della vita, per imparare ad interpretare la storia in modo sapienziale (nel senso biblico del termine): sia la storia dei grandi eventi, sia la storia dei piccoli fatti quotidiani di ciascuno. Pensiamo all’esperienza di contatto con i “poveri” o della sofferenza vissuta personalmente. Se vissute con spirito di fede, hanno una forza purificatrice e liberatrice (“Sarete liberi davvero” – CNCA 1983), aiutano a rimettere in ordine la propria vita, aiutano a ristabilire la gerarchia dei valori e delle prioritá, aiutano a rompere le barriere della separazione, della divisione, del peccato. Tenendo presente che Dio é nei poveri, perché ha vissuto la Passione e la Croce. Questo non significa che bisogna cercare la sofferenza o farne l’elogio, o pensare che é bene che ci siano i “poveri”, ma che l’esperienza della povertá e della sofferenza abbia questo effetto é un dato di fatto. E ció non toglie neanche che vadano fatti tutti gli sforzi possibili per eliminare le sofferenze e le loro cause. Ogni azione in questa direzione (es: azioni, provvedimenti, leggi per la tutela dei piú deboli; ricerca scientifica per debellare gravi malattie; ecc.) è un modo, diretto o indiretto, di stabilire e di vivere relazioni di amore. La povertà, il disagio, la sofferenza, l’emarginazione, l’esclusione, la solitudine, ecc. non sono questioni di carattere assistenziale (o solo di carattere assistenziale). Sono questioni che riguardano il tipo e la qualità delle relazioni (dirette o indirette, spontanee o strutturate) tra le persone, i gruppi sociali, le comunità, i popoli. Sono questioni strettamente correlate alla capacità degli uomini (e delle donne) di vivere relazioni di amore, in conformità al piano di Dio, o relazioni di peccato. E oggi, in un’epoca in cui i confini della conoscenza si stanno dilatando (grazie soprattutto alle possibilità offerte dalla tecnologia e dai mezzi di comunicazione) e in cui non è più possibile dire “non ero informato”, siamo chiamati a vivere relazioni di amore proiettate nello spazio e nel tempo, nella coscienza che le nostre scelte in questa società e in questo tempo hanno (o avranno) ripercussioni anche su popoli apparentemente lontani da noi e sulle generazioni future. Tenendo conto di tutto ciò e riprendendo il filo della nostra riflessione odierna, si può affermare che l’osservatorio delle povertà, in ultima analisi, intende essere uno strumento di una Chiesa che, nell’ottica del progetto di amore di Dio, si pone nella prospettiva di riconsiderare le proprie priorità pastorali, a partire dalla lettura delle situazioni dei più poveri e dei sofferenti: “l’istituzione dell’osservatorio non può essere vista come l’aggiunta di una nuova ala alla pastorale ecclesiastica, con la conseguenza di ampliare l’edificio, ma anche di aggravare i carichi degli addetti alla manutenzione ordinaria. Sarebbe una visione superficiale e perciò indebita della pastorale. Viene piuttosto attivata una ricomprensione complessiva della pastorale ecclesiastica, che comporta, almeno nel medio periodo, una ristrutturazione globale dell’edificio e dunque un riequilibrio di impegni e di competenze”. … l’amore preferenziale per i poveri costituisce un’esigenza intrinseca del vangelo della carità e un criterio di discernimento pastorale nella prassi della chiesa” (don B.Seveso, L’osservatorio permanente nella pastorale della Chiesa, Relazione ad un incontro sull’osservatorio organizzato dalla Caritas Ambrosiana, Milano 29.1.1989 – ciclostilato in proprio) Volendo tradurre questi concetti in uno slogan, si potrebbe dire: “osservare la realtà per conoscere i poveri, osservare la realtà per aiutare oggi la Chiesa ad essere fedele al progetto di amore di Dio” (CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n.47) 3. Significato attuale Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, ritengo che non sia fuori luogo affermare che l’osservazione della realtà per conoscere i poveri e le loro situazioni sia oggi più che mai importante per la Chiesa, sia per motivi legati alla vita “interna” della comunità ecclesiale, che per motivi legati al rapporto tra la Chiesa e il mondo. Dal punto di vista “interno”, l’osservatorio appare importante: • perché: “senza voler farne la ricetta per tutti i mali, certamente, però, l’Osservatorio potrebbe essere un efficace e concreto stimolatore per un modo di essere chiesa commisurato alla realtà. – L’Osservatorio, ben utilizzato, aiuta la comunità cristiana ad andare oltre l’assistenza e la beneficenza (che pure meritano un sincero apprezzamento e rispetto) e offre stimoli alla crescita dello spirito di condivisione e di coinvolgimento, che sono così consentanei alla natura della chiesa-comunione. Ovviamente ciò richiede un uso dell’Osservatorio non solo aritmetico o sociologico, ma “sapienziale”, aperto a quella pienezza umano-cristiana che fa leggere dentro i numeri, nelle persona” (mons.B.Cocchi, intervento citato) L’amore preferenziale per i poveri e la testimonianza della carità sono compito di tutta la comunità cristiana, in ogni sua componente ed espressione” (CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n.48) • perché: “L’Osservatorio ci aiuta a percepire il povero come visita di Dio all’uomo, non il povero destinatario della mia visita a lui. Non sono io, uomo di Dio, uomo di Chiesa, che vado a visitare il povero, ma è il povero che viene a visitare me, è Dio che, tramite quella presenza, mi benedice.” (don E.Bacigalupo, L’osservatorio diocesano delle povertà e risorse. Obiettivi e caratteristiche pastorali, in “Orientamenti pastorali”, 3-4 (1993) – “L’Osservatorio non sarà mai un elaboratore di statistiche, ma piuttosto sarà il segno provvidenziale di un Dio che visita la sua Chiesa. La Chiesa dovrà interrogarsi a partire dai dati che emergono dall’Osservatorio: Chiesa, cosa fai? Chiesa, come agisci? Chiesa, come cambi? Chiesa, come rispondi? Chiesa, come sei strumento di comunione?” (don E.Bacigalupo, Ibid.) • perché può aiutare la comunità ad evangelizzare i poveri e, al tempo steso, ad evangelizzare se stessa: “Evangelizzare i poveri, testimoniare che sono amati da Dio e contano molto davanti a lui, significa riconoscere che le persone valgono per se stesse, quali che siano le loro povertà materiali o spirituali: significa dar loro fiducia, aiutandole a valorizzare le loro possibilità e a trarre il bene dalle stesse situazioni negative. Le comunità cristiane devono essere accoglienti verso i poveri, promuovendo la loro crescita umana e cristiana e aprendo loro spazi di testimonianza e di azione nella Chiesa e nella società. Essi sono in grado non solo di ricevere, ma di dare molto. Non solo vengono evangelizzati, ma evangelizzano. Ci arricchiscono di una più profonda comprensione ed esperienza del mistero di Cristo. Se sapremo evangelizzare i poveri e lasciarci evangelizzare da loro, daremo un contributo decisivo per una diffusa cultura della solidarietà, come la prospettavamo in un nostro testo degli anni ’80: “Con gli “ultimi” e con gli emarginati potremo tutti recuperare un genere diverso di vita. Demoliremo, innanzitutto, gli idoli che ci siamo costruiti: denaro, potere, consumo, spreco, tendenza a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Riscopriremo poi i valori del bene comune: della tolleranza, della solidarietà, della giustizia sociale, della corresponsabilità. Ritroveremo fiducia nel progettare insieme il domani, sulla linea di una pacifica convivenza interna e di un’aperta cooperazione in Europa e nel mondo. E avremo la forza di affrontare i sacrifici necessari, con un nuovo gusto di vivere.” (CEI, La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, Edizioni Paoline, Roma 1981, pp.4-6; CEI, Con il dono della carità dentro la storia, n.34) Dal punto di vista invece del rapporto Chiesa-mondo, l’osservatorio è importante per una serie di motivi: • perché può sostenere l’azione della Chiesa in vista di una maggiore giustizia sociale e nella difesa dei diritti dei più deboli “Il vangelo della carità impegna a diffondere e incarnare la dottrina sociale della chiesa, che è parte integrante della sua missione evangelizzatrice e del suo insegnamento morale. Dobbiamo avere sicura coscienza che il vangelo è il più potente e radicale agente di trasformazione e di liberazione della storia, non in contraddizione, ma proprio grazie alla dimensione spirituale e trascendente in cui è radicato e verso cui orienta. E’ quindi importante realizzare un genuino rapporto tra carità e giustizia nell’impegno sociale del cristiano, superando pigrizie e preconcetti che, anche da opposte sponde, introducono fra queste una fallace alternativa. Occorre rinnovare il forte richiamo del concilio perché “siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia” e “non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia” (Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, n.8). Ed è altrettanto necessario ricordare, sulla base dell’universale esperienza umana, “che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessi, se non si consente a quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni” (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, n.12). In realtà, la carità autentica contiene in sé l’esigenza della giustizia: si traduce pertanto in un’appassionata difesa dei diritti di ciascuno. Ma non si limita a questo, perché è chiamata a vivificare la giustizia, immettendo un’impronta di gratuità e di rapporto interpersonale nelle varie relazioni tutelate dal diritto. Il burocratismo, l’anonimato, il legalismo sono pericoli che insidiano le nostre società: spesso ci si dimentica che sono delle persone coloro ai quali si rivolgono i molteplici servizi sociali. Di più, la carità sa individuare e dare risposta ai bisogni sempre nuovi che la rapida evoluzione della società fa emergere. Con questa sua opera preveniente e profetica la carità si impegna – sia sollecitando le coscienze, sia usufruendo degli strumenti politici e istituzionali a ciò destinati – a far sì che i bisogni, quando siano autentici e quando la materia e la situazione lo consentano, siano riconosciuti come diritti siano tutelati dall’organizzazione sociale” (CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n.38 • perché è in atto un profondo processo di riforma del sistema di protezione sociale, che avrà un impatto ancora non del tutto prevedibile sulle loro condizioni dei più deboli e la cui evoluzione va seguita con molta attenzione; • perché con l’entrata in vigore della legge n.328/2000 prima e con la modifica del Capo V della Costituzione poi (che assegna alle Regioni competenza esclusiva in materia di politiche sociali) si possono creare per la Chiesa e per le realtà ad essa collegate concrete possibilità di contribuire al bene comune attraverso il lavoro di osservazione sulle situazioni di povertà e di disagio sociale (v. piano Regione Toscana • perché coloro che frequentano le nostre chiese non costituiscono più la maggioranza della popolazione (già spesso non si conoscono alcune situazioni di coloro che vanno a messa, figuriamoci quelle dei “lontani”). E se la Chiesa vuole essere fedele alla sua missione, non può non porsi il problema di conoscere la situazioni di vita, le difficoltà, le sofferenze delle persone (di tutte le persone) che vivono in un determinato territorio; • perché tutto questo si inserisce in un contesto sociale sempre più caratterizzato dalla globalizzazione dei fenomeni, che richiederà capacità di lettura e di analisi sempre più qualificate; In generale, attrezzarsi per osservare la realtà in modo sistematico e competente, appare oggi indispensabile: • perché “in una società piuttosto “statica”, anche le “categorie” dei poveri erano facilmente riconoscibili e i tipi di povertà abbastanza prevedibili. Oggi la realtà del disagio non solo assume molte forme, ma i ritmi dei mutamenti sociali, la tendenza a smantellare alcune forme di garanzie nel mondo del lavoro e la parallela introduzione dell’informatizzazione, la lievitazione di certe voci di spesa creano angosciose difficoltà anche in chi poteva ritenersi al sicuro da rischi. Per questo occorre un strumento che sappia cogliere agevolmente e celermente le mutazioni e, addirittura, suggerire in anticipo modalità per ridurre il rischio della subordinazione della persona alla schiavitù del consumismo, del mercato, della finanza, ecc. – la povertà non é una categoria definita e fissa per sempre (mons.B.Cocchi, Intervento conclusivo al 1° convegno nazionale degli osservatori delle povertà, Roma 25-27 novembre 1999) (pensiamo, ad esempio al fenomeno dell’Aids, ai fenomeni connessi con i flussi migratori, ad alcuni aspetti del disagio giovanile, ecc., o al fatto che sono nuovamente presenti nei nostri territori situazioni di povertà che si pensava superati una volta per tutte – es: le 50 famiglie della mia parrocchia); • perché un lavoro di osservazione condotto attraverso i punti di osservazione ecclesiali (centri di ascolto, Caritas parrocchiali, altri servizi quali mense, dormitori, ecc.) permettere di cogliere con puntualitá e particolare incisivitá i fenomeni di povertá “estrema” (che spesso sfuggono alle rilevazioni ufficiali – es: le persone senza fissa dimora, le vittime dell’usura, il disagio familiare, le vittime della tratta), le loro cause, le loro caratteristiche, le modalitá piú appropriate di approccio da parte della comunitá civile e della comunitá ecclesiale. In ultima analisi, si può affermare che l’osservatorio è uno strumento prezioso per la programmazione della pastorale diocesana. “L’Osservatorio può essere uno strumento pastorale di una Chiesa che pensa, che agisce e che ripensa, cioè che riflette su quanto ha fatto per rinnovare il proprio agire. E’ necessaria la fatica del pensare, il tempo e gli strumenti per pensare. Là dove c’è una Chiesa che ha come preoccupazione prioritaria quella dell’agire, non si fa l’Osservatorio. Esso non porta ad agire ma è fatto per pensare, per rinnovare l’agire dopo aver riflettuto” (don E.Bacigalupo, Ibid.) “Io direi che l’atteggiamento di osservazione è necessario e l’Osservatorio è uno strumento per rendere concreto l’atteggiamento di osservazione. (…) … se non c’è l’Osservatorio delle povertà, la scelta degli obiettivi in base a cosa si fa? Si affida la scelta degli obiettivi alle intuizioni? O alla preferenza degli operatori? Al sorgere delle emergenze? Al rilievo che l’informazione da ai problemi? Tutti questi possono essere dei metodi efficaci ma sicuramente non razionali di procedere, che oltretutto espongono al pericolo delle impressioni soggettive, della rincorsa alle emergenze, al rischio di non fare mai una programmazione che tocchi le radici dei problemi o comunque una programmazione di obiettivo corto che non si pone mai obiettivi a medio e lungo termine” (mons.G.Nervo, Intervento alla tavola rotonda nel corso del 1° convegno nazionale degli osservatori delle povertà, Roma 25-27 novembre 1999) 4. Prospettive prioritarie di lavoro • “l’Osservatorio é uno strumento utile per tutta la vita pastorale (…) Si deve auspicare che le risultanze dell’Osservatorio siano regolarmente messe a disposizione del Vescovo, dei Consigli Pastorale e presbiterale, degli Uffici pastorali, ecc. Occorre insistere sulla grande opportunità costituita dagli Osservatori per stimolare le Diocesi a non fermarsi di fronte alle prime immancabili difficoltà” (mons.B.Cocchi, intervento citato • l’osservatorio è uno strumento per il dialogo e il confronto con la società civile e per la sua sensibilizzazione “Gli elementi che si raccolgono hanno ampia risonanza nei mezzi di comunicazione e interessano i responsabili di vari settori della vita civile.E’ comprensibile che autorità municipali, sindacali, scolastiche, ecc. siano più immediatamente interessate a questi dati che ad una predica sulla carità” (mons.B.Cocchi, intervento citato) “Mi pare che l’Osservatorio delle povertà abbia la funzione, sia nei confronti della comunità cristiana sia di fronte alla società civile, di cogliere la rapida evoluzione della società e l’emergenza dei nuovi bisogni, e questo per non perdere il treno della storia. In questo campo la Chiesa può arrivare prima degli altri, perché ha un rapporto più diretto con la comunità. Ha più possibilità di rapporto diretto che non l’istituzione pubblica, che invece deve muoversi necessariamente con altri tempi. Ecco, le situazioni, i bisogni, le normative, cambiano molto rapidamente. Quello che era attuale ieri non lo è più oggi e lo sarà ancor meno domani. Allora, per non perdere il treno, io devo andare in stazione qualche minuto prima che arrivi. Nelle stazioni di campagna c’è ancora un campanello che inizia a suonare quando il treno è partito dall’ultima stazione e sta per arrivare. L’Osservatorio delle povertà può adempiere a questa funzione. Segnalare per tempo i bisogni emergenti. E questo sia alla comunità cristiana, sia alla comunità civile, perché di solito su questi bisogni la società civile ha delle responsabilità primarie: la Chiesa come testimonianza di carità, ma la società civile come risposta ai diritti dei cittadini. Allora io porto due esempi. Oggi il problema delle immigrazioni è uno dei primi problemi del nostro paese. Tutte le Caritas lo devono affrontare e lo Stato si trova ad affrontarlo in mezzo a tante discussioni e polemiche. Nel 1980 cominciavano ad arrivare a Genova i primi lavoratori africani. Arrivavano come marittimi, sbarcavano a Genova e lì rimanevano. Il centro per l’immigrazione S. Giorgio, che era sorto per gli emigranti italiani che andavano all’estero, fu il primo centro di accoglienza di queste persone. A Genova non esisteva ancora un Osservatorio delle povertà ma c’era una sentinella vigile. Era il direttore della Caritas, don Tubino, che si allertò subito e avviò subito una forte azione sul Parlamento e sul governo perché affrontasse tempestivamente il fenomeno con un pacchetto di risposte adeguate. Purtroppo non fummo ascoltati. E si pagarono poi le conseguenze. Alla fine la legge arrivò, ma con quasi 10 anni di ritardo! Ecco il servizio che può fare l’Osservatorio anche nei confronti della società civile. Secondo esempio. Il direttore della Caritas di Bari segnalava già da tempo che cominciava il flusso di albanesi verso la Puglia e allertava le autorità locali sull’inizio dell’esodo. Il governo comunista in Albania non era ancora caduto ma gli albanesi stavano già arrivando. Il direttore della Caritas era una sentinella attenta ma purtroppo non ascoltata. Un anno dopo ci fu l’invasione degli albanesi con tutte le conseguenze che portò in termini di problemi alla società civile. Perciò l’Osservatorio è uno strumento non necessario per la pastorale ma certamente necessario per la Caritas, che può consentire in questo modo il preavviso delle situazioni emergenti in modo da prepararsi qualitativamente ad affrontarle. E questo soprattutto in una società come quella di oggi, che cambia rapidamente” (mons.G.Nervo, intervento citato) • l’osservatorio può servire ad un lavoro di raccolta dati a livello nazionale (ad esempio, per la predisposizione del rapporto annuale delle povertà in Italia) “Si potrebbe persino studiare la possibilità di coinvolgere le Caritas Diocesane per una rilevazione, in breve tempo, estesa a tutto il territorio italiano su un solo problema (condizione dell’assistenza domiciliare dei malati cronici o terminali…, numero degli immigrati e degli “indigeni” che ricorrono ai nostri centri…). Questo servirebbe prima di tutto a dare un inquadramento più logico e concreto all’intervento “caritativo”, ma anche costituirebbe la prova che é possibile ed utile -per chi ancora non l’avesse fatto- organizzare un vero Osservatorio Diocesano. Dico solo: le Caritas, e quindi le diocesi, accumulano quotidianamente una grande quantità di dati, che potrebbero rimanere parzialmente o totalmente inutilizzati. Un Osservatorio li fa fruttare, li mette in circolo, li valorizza. In tal modo non solo qualifica l’intervento concreto verso quella precisa persona, ma arricchisce la conoscenza della situazione nel luogo dove agisce” (mons. B.Cocchi, intervento citato) 5. Identità, collocazione, metodo di lavoro A questo punto credo sia chiaro che l’osservatorio non è tanto un ufficio della diocesi ma una funzione, un metodo di lavoro della Chiesa, di tutta la Chiesa, immaginato dai vescovi non per agire immediatamente e direttamente ma per aiutare la Chiesa ad agire meglio, sulla base della conoscenza effettiva e ponderata della realtà (“l’Osservatorio é uno strumento per pensare prima ancora che per agire” (mons.G.Nervo, intervento citato)) E’ altresì chiaro che l’osservatorio non può essere identificato con un centro di ascolto (come invece ancora oggi talvolta si sente dire), anche se ai fini di un serio lavoro di osservazione dei fenomeni di povertà è fondamentale coinvolgere le realtà dove si rivolgono le persone in difficoltà (i centri di ascolto, i servizi parrocchiali, …), data la natura degli elementi conoscitivi in loro possesso. I loro dati hanno il pregio particolare di essere rilevati direttamente e di non limitarsi al solo aspetto quantitativo. Da questi è infatti possibile acquisire informazioni importanti sulla “qualità” delle situazioni (le cause , le dinamiche, i processi, …), altrimenti difficilmente rilevabili. Certo, i dati quantitativi rilevati presso queste realtà non possono esaurire l’universo di dati necessari all’osservatorio, che ha bisogno anche di informazioni di altro tipo (sui servizi, sulle leggi, sulle politiche sociali, …) e da altre fonti (enti pubblici, indagini ad hoc, testimoni privilegiati, …). Ma il coinvolgimento dei responsabili e/o degli operatori di questi servizi assume un’importanza fondamentale ai fini della lettura della situazione complessiva del territorio diocesano.. Tantomeno l’osservatorio può essere identificato con la la Caritas diocesana, né può essere suo strumento esclusivo o rimanere “confinato al suo interno: “L’Osservatorio é stato pensato come organismo diocesano a servizio della pastorale. E’ limitativo ritenere che riguardi soltanto la Caritas” (mons.B.Cocchi, intervento citato Per assolvere bene la sua funzione, è bene invece che sia “desiderato” e “sentito” dalle altre dimensioni (leggi “uffici”) della pastorale. Alla Caritas possono essere affidati alcuni aspetti del lavoro (es: la rilevazione dei dati sulle situazioni delle persone, la prediposizione dell’indirizzario aggiornato delle realtà di servizio presenti nel territorio, …). Ma la riflessione sui dati rilevati e l’elaborazione di proposte pastorali non può non coinvolgere tutti gli altri responsabili diocesani, perché la Chiesa che annuncia, che celebra e che vive la Parola di Dio è una, riunita intorno al Vescovo, e così viene (giustamente) percepita all’esterno. Anche se è necessario che il lavoro di raccolta degli elementi conoscitivi della realtà sia effettuato in modo serio e competente, è importante capire che realizzare o meno un osservatorio delle povertà e delle risorse non è un problema di risorse economiche (almeno in prima istanza). Da una rilevazione effettuata qualche anno fa dal gruppo nazionale sugli osservatori delle povertà costituito dalla Caritas Italiana risultò che solo l’11% dei direttori delle Caritas delle diocesi dove non esisteva l’osservatorio aveva affermato che il problema principale era quello della mancanza di risorse economiche. Questo dato appare verosimile, anche perché esistono validissime esperienze che, a parte le attrezzature, si basano esclusivamente (o prevalentemente) sul volontariato professionale o sul coinvolgimento di persone già normalmente impegnate a livello diocesano. I motivi principali sembravano invece essere quelli di tipo organizzativo e quelli dovuti a mancanza di volontà (58% delle riposte), che ritengo possano essere in qualche modo assimilati. 6. Conclusione Concludo brevemente citando il brano del Buon Samaritano, che compariva nel titolo del 1° convegno nazionale degli osservatori, per ricordare che è il diverso modo di “vedere” che determina il diverso comportamento dei protagonisti: “lo vide e passò oltre”, “lo vide … ne ebbe compassione … e si prese cura di lui”. Lc 10, 30-35: “Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico, quando incontrò i briganti. Gli portarono via tutto, lo presero a bastonate e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso passò di là un sacerdote; vide l’uomo ferito, passò dall’altra parte della strada e proseguì. Anche un levita del tempio passò per quella strada; anche lui lo vide, lo scansò e proseguì. Invece un uomo della Samaria, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione. Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino e lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo. Il giorno dopo tirò fuori due monete d’argento, le diede al padrone dell’albergo e gli disse: “Abbi cura di lui e anche se spenderai di più pagherò io quando ritorno”. “La carità operosa (…) implica una correttezza di percezione e incomincia da un giusto vedere”. (don B.Seveso, intervento citato)