Lettere in redazione

Ici e immobili della Chiesa, com’è andata a finire?

Nei mesi scorsi si è parlato molto del «regalo» che la maggioranza di centro-destra voleva fare alla Chiesa cattolica esonerandola dal pagamento dell’Ici, tassa che invece noi cittadini dobbiamo pagare senza eccezioni. Non ho letto da nessuna parte – ma può darsi che sia colpa mia – se questo ingiusto provvedimento è stata davvero approvato dal Parlamento e come pensino di far fronte i Comuni alle minori entrate previste. Possibile che tutte le proteste siano scomparse improvvisamente?

Lettera firmata Carrara (Ms) Non sto qui a ripercorrere tutta la vicenda, della quale ci siamo occupati più volte. Quel che è certo è che non si tratta affatto di un «regalo» alla Chiesa cattolica, ma della necessaria chiarificazione di una norma, in vigore dal 1992 (quando fu istituita l’Ici) e che rischiava di essere stravolta – e solo per i beni di enti ecclesiastici – da una sentenza della Cassazione. La norma «riparatrice», prima inserita nel decreto 163 («Misure urgenti in materia di infrastrutture»), che fu lasciato decadere dal Parlamento, è stata definitivamente approvata con una migliore formulazione il 30 novembre scorso, all’interno del decreto 203. All’articolo 7, comma 2bis, si ribadisce che l’esenzione prevista dalla legge del ’92 (quella istitutiva dell’Ici) per le attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, culturali e ricreative degli enti no profit, «si intende applicabile alle attività indicate… a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse». In altre parole, i Comuni non potranno pretendere il pagamento dell’Ici su immobili gestiti direttamente da enti no-profit (diverso è il caso in cui li affittino o li diano in comodato ad altri enti), purché siano adibiti ad una delle attività elencate e non farà saltare questa esenzione il fatto che si paghino, in una qualche forma, delle rette. Dire che d’ora in avanti gli alberghi o i negozi della Chiesa non pagheranno più l’Ici è una sciocchezza. Se gestisce alberghi veri e propri dovrà pagarla, se invece si tratta di ostelli, pensionati o case per ritiri, continuerà a non pagarla (purché li gestisca direttamente). Si continuerà a pagare anche per le case o i negozi dati in affitto. Per evitare che questa norma chiarificatrice potesse dar adito a contenziosi per il passato, la Finanziaria 2006, al comma 133 precisa che l’esenzione decorre dall’entrata in vigore del decreto 163 e che i versamenti effettuati anteriormente non saranno restituiti o rimborsati. Non è vero però che le polemiche siano improvvisamente finite. Tutt’altro. È di lunedì scorso l’approvazione di due mozioni in consiglio comunale a Firenze, ancora frutto di disinformazione e demagogia. Nella prima, presentata dallo Sdi, e fatta propria dalla maggioranza di centro-sinistra, si chiede l’abrogazione della nuova norma sulle esenzioni Ici, mentre nella seconda, voluto dalla sinistra radicale di «Unaltracittà», ma poi approvata con 13 voti favorevoli, 11 contrari e due astensioni, si arriva a chiedere alle «istituzioni religiose» di «versare un contributo volontario pari all’importo dell’Ici cancellata dalla finanziaria per non rischiare altri tagli alla spesa sociale», che la De Zordo stima in 600-800 mila euro, non si sa bene sulla base di cosa, visto che il Comune non ha ancora dati in proposito. E di nuovo si tira in ballo il Convitto della Calza, come esempio di «albergo» che godrebbe di questo ingiusto «regalo». Eppure è già stato spiegato più volte che il Convitto della Calza, che tra l’altro utilizza i proventi della struttura ricettiva per l’assistenza ai sacerdoti anziani – quindi per una finalità sociale che dovrebbe stare a cuore a tutti –, ha sempre pagato regolarmente l’Ici e continuerà a pagarla anche in futuro.

Claudio Turrini

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