Lettere in redazione
I vescovi sui negozi aperti nei giorni festivi
Gentile direttore, ritengo che la liberalizzazione degli orari dei negozi 24 ore su 24 per tutto l’anno creerà più problemi che vantaggi. Intanto molti piccoli negozi non reggeranno alla concorrenza della grande distribuzione e dovranno chiudere, ma c’é anche il rischio di problemi di ordine pubblico; immaginiamo un bar aperto fino all’alba con l’inevitabile strascico di proteste da parte dei residenti. Il presidente della Regione Toscana ha ricordato anche la dignità delle persone che lavorano in quel settore e il loro diritto ad una vita privata. Che senso ha tenere aperto un esercizio a Natale, Pasqua o il primo maggio? Non sono queste le liberalizzazioni di cui c’é bisogno; se non ci sono soldi da spendere durante la settimana, neppure ci sono durante la notte, o nei giorni festivi! Auspico che i nostri Vescovi possano pronunciarsi al riguardo cosi come fecero a suo tempo le Chiese cattolica e protestante della Germania. Adesso in quel paese la maggior parte degli esercizi commerciali sono chiusi già dal sabato pomeriggio.
All’argomento, su questo numero, dedichiamo un’intera pagina e soprattutto un bellissimo editoriale di Romanello Cantini. Non è la prima volta che lo facciamo. È già successo in passato, anche se allora si trattava semplicemente di aperture domenicali e non di liberalizzazioni, tema più vasto che non riguarda soltanto gli orari degli esercizi commerciali. Restando però al tema delle aperture dei negozi, posso garantire al nostro amico lettore che i vescovi sono intervenuti, a più riprese, e lo hanno fatto in modo deciso anche se dialogante.
Limitandoci alla nostra regione, posso fare gli esempi di monsignor Gastone Simoni a Prato e di monsignor Simone Giusti a Livorno. In due occasioni importanti per la città di Prato come l’8 dicembre e il 26 dicembre (festa del patrono Santo Stefano), Simoni, nel 2010, invitò i cristiani ad essere fermi sul «giorno del Signore». «Questo non significa essere fondamentalisti precisò il vescovo siamo per il dialogo ma allo stesso tempo convinti della necessità che la domenica, giorno di festa, sia fatta per ricordare la vera festa». Nel parlare poi di lavoro e anche di carità, nel senso di sostegno a chi ha perso una occupazione, mons. Simoni tornò nuovamente sulla questione delle aperture domenicali degli esercizi commerciali ricorrendo a una sorta di compromesso racchiuso in uno slogan: «Non tutte le domeniche e non tutta la domenica».
Monsignor Giusti, di recente, dopo aver ribadito che «la domenica è un giorno sacro da dedicare al riposo e alla famiglia», ha messo in guardia dal pericolo che «aumentare i giorni di apertura può significare anche incentivare un’economia dedita al consumismo e non al risparmio oculato, che al posto dell’etica mette al primo posto il soddisfacimento dei piaceri personali ed è causa per molte famiglie di ricorso al credito al consumo con tutte le conseguenze che ne derivano. Non si può negare che in questo periodo di crisi ci sia bisogno di incentivare ogni occasione di lavoro e incrementare i ritmi di lavoro, per molti rappresenterebbe una buona occasione per raggranellare qualche soldo in più e far fronte alle spese, ma ritengo doveroso anche il rispetto di questa giornata. Non possiamo sottomettere al profitto anche gli affetti ed il meritato riposo infrasettimanale». In ogni caso, se ci sono persone che non attribuiscono a questa giornata certi valori e sono disposte a lavorare, «si dia loro la possibilità di farlo», conclude Giusti, «magari lasciando libertà di adesione da parte sia dei commercianti che dei dipendenti».
Andrea Fagioli