Vita Chiesa

I toscani verso Verona. La carica dei centodieci

di Mauro Banchini«Parliamoci chiaro: non dovrà essere, non sarà un convegno autocelebrativo». Mons. Giovanni De Vivo ha voluto assicurare con queste parole quei delegati toscani in procinto di partire per Verona che potessero avere qualche dubbio sulla natura del convegno ecclesiale. «Il convegno lo facciamo noi» ha assicurato, e la stessa presenza del pontefice è da vedere come una fortuna e un privilegio, non certo come un modo per ridurre il confronto dei tanti delegati in rappresentanza delle Chiese locali.

Ma proprio il fatto di essere tanti (a Verona dal 18 al 20 ottobre sono attese circa tremila persone) pone qualche oggettivo problema alla voglia di esprimere opinioni in un confronto necessariamente ristretto nei tempi. Si ipotizzano, infatti, almeno 600 persone per ciascuno dei cinque ambiti e in ogni ambito non più di sei gruppi di lavoro composti, dunque, da ben cento persone: ciò significa tempi a forte tasso di contingentamento, nell’ordine massimo di due minuti. Ecco perché i delegati toscani riuniti a convegno preliminare sabato scorso (Firenze, Convitto della Calza) proprio sotto la guida di mons. De Vivo, hanno … fatto i toscani e avanzato la proposta – che sarà portata nelle sedi pertinenti – di aumentare il numero dei gruppi in modo da avere presenze numeriche più compatibili con l’esigenza di una partecipazione autentica.

Alla Calza era presente una forte maggioranza di quei 110 delegati toscani che, con i loro vescovi, prenderanno parte al convegno. Tutte le diocesi, entro luglio, avevano inviato i loro contributi che adesso sono stati sintetizzati in una relazione di taglio regionale ed è su questa che, alla Calza, si è sviluppata la giornata di confronto: i delegati si sono riuniti sulla base dei cinque grandi ambiti di testimonianza (vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione, cittadinanza) su cui è articolato Verona che, come noto, invita a camminare attorno a orizzonti concreti di speranza, nella nostra veste di testimoni del Cristo risorto. E testimone toscano di speranza, applicata a un ambito difficile com’è quello della cittadinanza, è come noto il «sindaco santo» Giorgio La Pira.

Ciascuna Chiesa toscana, nel cammino verso Verona, ha cercato di coinvolgere a suo modo non solo il clero ma l’intero popolo di Dio. La diocesi di Arezzo, grazie alla presenza di «Rondine Cittadella della Pace», ha avuto il privilegio di accogliere uno dei cinque eventi nazionali. In tutta la regione non sono mancate tavole rotonde, corsi di aggiornamento, settimane teologiche, assemblee, iniziative particolari per coinvolgere fedeli, clero, cittadini attorno al grande tema della speranza (cento parrocchie di Firenze, solo per restare al capoluogo, hanno aderito ai «cartoncini della speranza» con un patrimonio di quasi novemila schede riconsegnate, compilate e analizzate). In generale – si legge con apprezzabile franchezza nella relazione di sintesi – «la valutazione che le diocesi hanno dato delle iniziative e del coinvolgimento ha messo in luce la maturità, la schiettezza e lo spirito critico con cui le diocesi stesse sono solite guardare al loro lavoro, evitando trionfalismi». Fra i suggerimenti, utili non solo in vista di Verona: superare lo sbilanciamento verso la pastorale dei bambini scegliendo quella degli adulti come modello e spazio privilegiato; partire dalla parola di Dio, conoscere e frequentare i contenuti profondi del Vangelo per trovare stili di vita conformi; mostrare maggiore attenzione alla lettura dei segni dei tempi; abituarsi a leggere la realtà socio-culturale; puntare su una chiesa «missionaria» più che su una chiesa «statuaria»; evitare il rischio dell’attivismo a scapito del «supplemento d’anima»; ripensare e rinnovare la parrocchia; valorizzare la partecipazione dei laici; sapersi accogliere in modo reciproco. Non è solo che l’assaggio perché quando si passa ai cinque ambiti la relazione regionale fornisce indicazioni, riflessioni, input che non mancano di interesse sulla base di quella che mons. Giovanni De Vivo ha sottolineato fin dall’apertura: la preoccupazione maggiore di Verona, e del dopo Verona, dovrà essere quella di «tenere fisso lo sguardo su Gesù».

È questa la grande speranza che i 110 toscani in partenza per la città dell’arena vogliono manifestare. Lo faranno, ovviamente, da toscani e lo faranno portando il ricordo vivo di un sindaco che lo sguardo lo teneva talmente fisso, su Gesù, da non staccarlo neppure un momento da terra: dalla vita quotidiana di uomini e donne che abitano un mondo sempre più bisognoso di speranza autentica.

Nella «sintesi» regionale preoccupazioni e segni di speranza«In cammino verso Verona» tenendo fisso lo sguardo su Gesù. È l’invito che mons. Giovanni De Vivo, Vescovo di Pescia, ha rivolto sabato scorso, a Firenze, ai rappresentanti toscani al Convegno Ecclesiale ormai alle porte. Nel corso della mattinata, è stata presentata la sintesi dei contributi che le Diocesi Toscane avevano inviato dopo un anno di preparazione al Convegno Nazionale e che verrà ora inoltrata al Comitato preparatorio. In generale, emerge un quadro di preoccupazione e di pessimismo sia in ordine al Convegno (si teme l’autocelebrazione, il bisogno di «trovare soluzioni», l’insignificanza del contributo dei singoli o delle Diocesi in un’assemblea così numerosa) sia nella più vasta realtà ecclesiale (rischio di chiudersi nello spazio rassicurante delle proprie comunità, paura del giudizio del mondo, tentazione dell’attivismo sociale a scapito della spiritualità). Non mancano tuttavia segni di speranza: le comunità diocesane si sono esercitate a leggerli nella società in cui vivono ed a ripartire da essi per formulare prospettive per il futuro.

I presenti hanno poi approfondito il documento regionale, suddividendosi in gruppi corrispondenti ai cinque ambiti della testimonianza proposti dalla traccia di riflessione «Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo».

La discussione sul primo ambito, la vita affettiva, ha fatto emergere la necessità di recuperare le relazioni, da privilegiare rispetto alle strutture; si è posta al centro dell’attenzione la famiglia da non idealizzare, ma da accogliere nel suo divenire per arginare la deriva morale e spirituale in corso. Sul versante del lavoro, preoccupano l’incidenza della disoccupazione, il lavoro nero, la precarietà che condiziona le scelte di vita, e si denunciano gravi carenze circa la sicurezza nei luoghi di lavoro. Ciò condiziona anche la dimensione della festa, il cui valore è da recuperare anche solo sul piano antropologico.

La consuetudine della Chiesa ad accogliere le fragilità umane, ha permesso di individuarne di nuove nel mutato scenario sociale: fragilità dell’identità culturale, quelle sopra citate relative al lavoro, la fragilità delle famiglie e delle altre agenzie educative, come pure quella istituzionale. È importante, a tale proposito, quantificare e valorizzare le realtà associative che operano in ambito ecclesiale e sociale. Si tratta di formare un laicato maturo, capace di farsi carico delle situazioni ordinarie della vita in un dialogo aperto con le istituzioni. L’ambito della tradizione, come pure quello della cittadinanza, hanno posto in evidenza il ruolo imprescindibile ed ambivalente dei mezzi di comunicazione sociale, in quanto «produttori di cultura» e «generatori di senso». Solo liberando la coscienza critica della persona essi contribuiranno a dilatare gli spazi per un effettivo esercizio della cittadinanza, anziché schiacciare l’uomo sul ruolo passivo di «consumatore».

Da questi gruppi di lavoro è emerso l’invito a ripartire dalla parrocchia (e dalla Diocesi) come comunità che vive su un territorio e non solo come «comunità di culto», per quanto la liturgia sia un momento fondante per la comunità ecclesiale. A fronte di una «ipertrofia» della dimensione sacerdotale della vita cristiana, si deve purtroppo registrare il venire meno di quella profetica e di quella regale (l’assunzione di atteggiamenti coerenti e di responsabilità).

Anche per questo nel prossimo Convegno Ecclesiale non conterà tanto la quantità di idee che riusciremo a far passare, quanto piuttosto ciò che di profetico potremo cogliere dai vari contributi a beneficio delle nostre comunità.Silvia Mancini