Cultura & Società
I terremoti della Passione
di Carlo Lapucci
Viaggiando capita non di rado di sentir raccontare di un luogo di orrida bellezza, d’una zona priva di vegetazione dove la roccia appaia sconvolta da un cataclisma tellurico, la pietra si presenti in un disfacimento, con ammassi informi e scogli nudi e irti, dirupi e forre senza piante né erbe. Facilmente di questi fenomeni naturali vi si dirà che leggenda vuole siano stati un tempo campi fecondi, boschi folti o prati verdeggianti, ma che, al momento della morte del Signore sul Golgotha, il terremoto che ne seguì e che estese la sua forza distruttiva su tutta la terra, devastò per sempre quelle plaghe che non ritrovarono poi la loro fecondità, la vegetazione rimanendo per sempre aride, orride e improduttive.
Vi sono luoghi di notevole estensione, ma anche semplici e modeste frane di pendici montane, o zone delimitate che vengono interpretate in tal modo dagli abitanti delle vicinanze, senza peraltro domandarsi quanto possa essere attendibile un simile rapporto.
Come è nostra consuetudine nell’analizzare il leggendario non ci interessa dimostrare la veridicità delle asserzioni che vengono enunciate dal testo leggendario, quanto capire quale sia il messaggio che quanti hanno celebrato tale leggenda abbiano prima percepito e quindi trasmesso ad altri attraverso la rappresentazione leggendaria.
Siamo convinti che la leggenda costituisca uno specifico nel mondo del pensiero e della comunicazione e, al momento che se ne determinino rapporti precisi di causa ed effetto, spiegazioni di tipo scientifico e analisi dei meccanismi capaci di soddisfare la ragione, essa cessa d’essere leggenda per diventare altro: storia, filosofia naturale, verifica empirica.
Sull’indicazione del testo evangelico la gente ha cominciato a collegare certi aspetti desolati e orridi del mondo con il fatto religiosamente più doloroso e umanamente più toccante che si conosca nel Cristianesimo: la morte di Cristo.
Il secondo tema sotteso a questa leggenda è di carattere morale: se le creature e addirittura la terra, la roccia che appare così amorfa, dura, informe, cieca si è mossa alla morte di Cristo, perché l’uomo può restare indifferente, ostile all’amore divino che lo chiama alla salute eterna? Può essere il cuore dell’uomo più ostinato dei macigni?
Questo pensiero trova dunque la via fantastica e rappresentativa nel sentimento delle cose e si apre un largo ventaglio di immagini nei vari luoghi della terra. Daremo un’occhiata a quelli più vicini, cominciando dal Monte della Verna (Chiusi), dove la tradizione indica uno di questi fenomeni come determinatosi nel momento della Passione.
La tradizione vuole che quando Cristo chiuse gli occhi con l’ultimo lamento, si fece buio sulla terra, il velo del Tempio si squarciò e un grande terremoto scosse la terra dalle fondamenta. Questo terremoto non fu avvertito solo in Palestina, ma tutti i luoghi santi ne furono sconvolti e ne mantengono ancora le tracce. Alla Verna tutta la montagna fu devastata: la cima della Penna franò creando uno spaventoso abisso e in tutto il monte s’aprirono orridi e voragini.
Il fatto che lo sconvolgimento del monte della Verna fosse avvenuto al momento della morte del Salvatore fu rivelato a San Francesco in orazione (I fioretti, LVI): «et allora gli fu rivelato che quelle fessure così maravigliose erano istate fatte miracolosamente nell’ora della passione di Cristo», (v. anche: Guida storica per il viaggio alla Valle-Ombrosa, Verna e Camaldoli, nella provincia del Casentino, III ed., Firenze, 1834.
A volerne fare una rassegna non si finirebbe più perché sono tanti i luoghi per i quali la leggenda si ripete: a volte modeste frane, orridi, zone sconvolte, come certe radure o gruppi di basalti dell’Amiata, mentre sulle Alpi si spiega con questa credenza la presenza di certi massi erratici di straordinaria grandezza, che si dicono affiorati in concomitanza del sacro evento.
Da segnalare comunque è un luogo singolare sulle montagne di Norcia dove si trova il Lago di Pilato sulle pendici del Vettore. Poco distante c’è l’Antro della Sibilla Appennina, altro luogo magico abitato da Fate. La tradizione vuole che anche questo luogo venisse sconvolto da un terremoto nell’ora della morte del Salvatore creando un laghetto, detto il Lago di Pilato. Le acque traboccarono poi rimasero a lungo rosse come sangue, la grotta della Sibilla rimase deserta e nella zona apparve una pianticella, mai vista prima, le cui foglie avevano forma di due mani congiunte e perforate dai chiodi. (v. A. Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, vol. II, Torino 1925, pag. 165).