Vita Chiesa
I sogni dei bambini nella grotta di Lourdes
di Pier Francesco Nesti
Hanno raccontato la loro storia con le lacrime agli occhi. Abbracciate al marito o più semplicemente a chi condivide con loro una storia di sofferenza (ma anche di speranza) e si è tuffato nel pellegrinaggio dei bambini e delle famiglie con lo stesso entusiasmo di quando erano loro a tenere per mano i propri genitori. Sono le mamme di Andrea, Jacopo Pietro e Christian, rispettivamente Federica, Debora e Cinzia, le cui testimonianze hanno sicuramente contribuito a cementare il gruppo dei genitori presenti a Lourdes durante l’incontro organizzato al campo giovani alla presenza di padre Guglielmo, responsabile della Cappellania del Meyer, e di monsignor Cesare Tognelli, assistente spirituale del pellegrinaggio.
Tre testimonianze ricche di significati e che hanno permesso a tutti i presenti di manifestare senza paure le loro emozioni, «la stella più veloce che c’è, la stella più brillante lassù», per riprendere le parole del brano, «Il treno», che ha fatto da colonna sonora ai giorni passati insieme a Lourdes. Ma anche con la «consapevolezza schiacciante – ha detto Federica – che si può fare». «Per seguire in prima persona il progetto del libro bianco – ha aggiunto – ho preso due mesi di aspettativa al lavoro. Ma l’ho fatto con entusiasmo, proprio perché volevo godermi in prima persona la crescita di qualcosa di importante e che si pone un obiettivo non di poco conto: la sacralità della vita umana». Concetti ribaditi dallo stesso padre Guglielmo che, insieme a don Cesare, ha accolto con entusiasmo l’idea di un terzo libro da riportare al Meyer con le foto, i pensieri, tutto quanto abbia contribuito a rendere davvero magici i giorni del pellegrinaggio.
Cinzia è andata addirittura oltre e ha provato a descrivere quel «senso delle cose» che, come ha sottolineato don Cesare, è sicuramente «il momento più difficile da affrontare». Circondata da un silenzio che probabilmente non poteva essere più rumoroso: «Qui ho trovato un’altra famiglia. Mio figlio Christian è la prova che le mie preghiere sono state ascoltate e personalmente mi considero una persona fortunata solo per il fatto di averlo avuto, indipendentemente da come si evolverà il suo stato di salute». Debora, invece, quando ha preso la parola, è sembrata quasi «cozzare» con la sua giovanissima età ma le mamme, si sa, hanno una grande forza dentro e un’ulteriore riprova è stata il messaggio che ha scritto e fatto leggere durante il viaggio di ritorno, in cui ringraziava tutti anche per «il più semplice dei ciao ricevuto ». Durante l’incontro, invece, ha spiegato i motivi che l’hanno portata a voler condividere con i partecipanti al pellegrinaggio il battesimo del figlio, celebrato dal vescovo di Prato, monsignor Gastone Simoni, durante la messa dell’accoglienza nella basilica di Santa Bernardette: «Ero venuta a Lourdes cercando una soluzione e adesso posso dire che il battesimo di mio figlio Jacopo Pietro è stato il regalo più bello che potessi ricevere». Già, il battesimo, un altro dei momenti più emozionanti, con le parole di monsignor Vasco Bertelli, assistente spirituale regionale dell’Unitalsi, a rafforzarne il valore: «Jacopo Pietro, due nomi su cui Gesù ha edificato la sua Chiesa. Con l’impegno di sentirci ancora di più fratelli e sorelle, proprio come è nello spirito di questa associazione».
Accoglienza e partecipazione, due concetti su cui l’Unitalsi poggia da sempre il proprio impegno, due concetti che a Lourdes sono di casa ma che dovrebbero esserlo anche nelle nostre abitazioni, nei luoghi in cui viviamo, giorno dopo giorno. Due concetti su cui si è soffermato il presidente regionale dell’Unitalsi, Roberto Torelli, durante la messa dell’accoglienza, quella che ha visto, oltre al battesimo di Jacopo Pietro, la «celebrazione» di chi si era recato a Lourdes per la prima volta e rappresenta a tutti gli effetti un virgulto da coltivare: «Quella che abbiamo di fronte quest’anno è un’accoglienza particolarmente importante. Perché ci fa capire che ci sono ancora persone che decidono di offrire il loro servizio nei confronti di chi soffre. Da parte nostra, c’è la constatazione che si tratta di un input significativo: adesso però sta a loro decidere se continuare il proprio cammino insieme all’associazione. Tutti insieme, infatti, possiamo fare molto, possiamo rappresentare tante piccole candele, come quella consegnata alla mamma di Jacopo Pietro, che possono portare un po’ di luce al mondo». Ma se c’è un messaggio che più di tutti ha sintetizzato lo spirito del pellegrinaggio dei bambini e delle famiglie è stato sicuramente quello di don Cesare a conclusione dell’incontro con i genitori: «Tutti insieme dobbiamo lavorare per far vivere i sogni di Federica ma anche di tutte le altre mamme che fanno parte della famiglia unitalsiana. In che modo? Riuscendo a collegare le storie di tanti con i sogni di tutti».
Il treno dei bambini, infatti, è una bellissima esperienza che l’Unitalsi porta avanti già da qualche anno ma «Piccoli testimoni di fede» è un progetto nato da pochi mesi grazie all’impegno di due genitori unitalsiani, Giulio e Federica, entrambi di Pistoia, che all’ospedale fiorentino sono dovuti ricorrere per le cure necessarie a loro figlio Andrea, destinato a far registrare un’altra tappa importante nelle prossime settimane. Cappellania del Meyer e Unitalsi, infatti, in questi mesi si sono attivate, con un impegno che praticamente è stato quotidiano, per realizzare un libro bianco che contenesse le speranze dei piccoli pazienti (ma anche delle loro famiglie e del personale sanitario) ricoverati a Firenze. Speranze che hanno «riempito» due volumi e che sono state affidate alla grotta di Lourdes durante una messa che ha toccato il cuore di tutti i presenti, con l’immagine di Maria davanti agli occhi e il rintocco delle campane, i canti animati dai «foulard blanc» degli scout e il silenzio impetuoso del fiume Gave a fare da cornice. «Oggi – ha detto monsignor Cesare Tognelli, assistente spirituale del pellegrinaggio – Lourdes e il Meyer sono la stessa cosa» mentre monsignor Italo Castellani, arcivescovo di Lucca, che ha presieduto la celebrazione, ha sintetizzato così l’emozione di quei momenti: «La storia di Maria è la nostra storia, la storia dei figli di Dio, quelli che oggi sono qui davanti alla grotta di Lourdes».
Il libro bianco è rimasto in Francia, consegnato alla presenza del presidente nazionale Unitalsi Salvatore Pagliuca e custodito con cura nella cappella del Salus, l’ospedale dell’associazione. Ma un terzo volume ha fatto ritorno a Firenze ed è quello che racchiude tutte le emozioni del pellegrinaggio. Presto sarà riportato al Meyer, consentendo così un ideale collegamento fra Lourdes e Firenze. Ma soprattutto fra Lourdes e chi, alla nostra città, ha affidato i propri sogni e la speranza in un futuro pieno di sorrisi. Quegli stessi sorrisi che la passata settimana, insieme al verde delle magliette del pellegrinaggio, hanno colorato la cittadina posta ai piedi dei Pirenei e hanno fatto capire, come ha sottolineato Francesco Uzzani, il responsabile del treno dei bambini, che «i piccoli testimoni di fede adesso sono piccoli missionari di fede».
LA STORIA: Riccardo, vent’anni e una partita con la vita ancora tutta da giocare
Se è la vita a farti un’entrata sbagliata, non sai come difenderti. E in un ragazzo poco più che maggiorenne, quello di rincorrere un pallone su un rettangolo verde è uno dei sogni più frequenti. Se poi a calcio uno ci gioca davvero, e gli riesce anche bene, un risultato negativo non fa paura, per rimediare a una sconfitta c’è sempre tempo, così come il tempo per vincere una partita non manca mai. O almeno così dovrebbe essere. Soprattutto quando si tratta di un match importante come quello che sta «giocando» Riccardo.
Originario di Agrigento, 20 anni ad agosto, Riccardo era a Lourdes con la mamma Giuseppina, per tutti Giusy, e incrociando i suoi occhi nei pochi giorni che abbiamo avuto la fortuna di passare insieme a lui, abbiamo capito che sta aspettando davvero il momento per segnare il gol decisivo. Lo abbiamo incontrato la mattina della partenza, nell’albergo che lo ha ospitato durante il soggiorno al santuario. Fuori pioveva, invece che a metà giugno sembrava di essere a ottobre. Ma dentro, seduti a un tavolino dell’hotel Compostele (quasi come se fosse un riferimento al «cammino» che ognuno di noi è chiamato a fare ), è bastato tuffarsi negli occhi di Riccardo per capire che sperare si può ma soprattutto si deve, che lottare si può ma altrettanto si deve, si deve eccome. Per lui era la prima volta a Lourdes, «un’esperienza bellissima, che non dimenticherò mai», queste le sue prime parole sul pellegrinaggio. Parole scontate potrà obiettare qualcuno. Che però non è mai stato a Lourdes e non ha vissuto in prima persona un’esperienza che ognuno di noi dovrebbe provare almeno una volta nella vita.
Riccardo, che attualmente è in cura al Meyer, vive a Firenze con la mamma e se ha conosciuto l’Unitalsi, il merito è soprattutto di due persone, anche loro «portatrici» di valori importanti: zia Caterina, la tassista di Milano 25, e Leonardo Gestri, che da poco tempo è presidente della sottosezione fiorentina dell’Unitalsi e con il quale abbiamo avuto la fortuna di passare qualche ora insieme a Lourdes: «A maggio – continua Riccardo – dovevo andare a Medjugorje ma non ce l’ho fatta. Così ho deciso di venire a Lourdes ed è stata un’emozione così forte essere qui che in cinque giorni ho fatto quattro volte il bagno alle piscine». Riccardo, due fratelli che lo aspettano ad Agrigento, ha la fortuna di avere accanto a sé un angelo custode: è sua mamma Giuseppina, una delle «mamme coraggio» (così l’ha definita l’arcivescovo di Lucca, monsignor Italo Castellani, insieme alla pistoiese Federica e alla piemontese, ma fiorentina d’adozione, Luisella) che hanno consegnato il libro bianco in occasione della Messa alla grotta. Una mamma che lo segue dovunque, che lo aiuta, che prega per lui e che aveva gli occhi lucidi – come d’altronde li aveva Riccardo – al momento di salutarci, con la promessa di rivederci presto a Firenze, anche perché per vincere questa partita il figlio ha bisogno di una squadra forte intorno.
Chi scrive non sa se ha le caratteristiche per farne parte ma se Riccardo deve fare gol, noi proveremo sicuramente a mettergli sui piedi il pallone buono. E il perché è lui stesso a spiegarlo: «Inizialmente non volevo venire, anzi dopo l’impossibilità ad andare a Medjugorje, ero dell’idea di tornare a casa. Invece, adesso sono molto felice e l’anno prossimo voglio tornare. Ho chiesto dove sono le sezioni dell’Unitalsi in Sicilia e appena ne avrò la possibilità, mi metterò sicuramente in contatto con una di queste». Poi, quando gli chiediamo se c’è qualcosa che si porterà dentro con più forza, non ha dubbi e risponde senza esitazioni: «La grotta. In questi giorni avevo continuamente voglia di fermarmi davanti a Maria. E anche stanotte (quella prima della partenza, n.d.r.), c’era sempre l’istinto di alzarsi dal letto e andare là ».