Vita Chiesa

I sigilli al saio di Francesco

DI ANDREA FAGIOLI

San Francseco, noi siamo qui, pellegrini alla Verna, dinanzi a questo tuo umile abito che continua a parlare. Il tuo saio è eloquente per noi e per il mondo di oggi. Quel cappuccio staccato, quelle maniche che non ci sono più, quello strappo all’altezza del costato, aperto da forbici che hanno sparso reliquie in tutto il mondo, continuano a parlare». Il saio delle stimmate parla ai vescovi, «pastori di un gregge spesso disorientato e smarrito». Parla a chi ha scelto la strada religiosa che si richiama alla povertà. Parla agli uomini e alle donne di oggi, «frantumati dall’onda lunga di un pensiero debole, che ha finito per distruggere e neutralizzare ogni valore ed ogni desiderio di ascesa». Parla ai giovani, «che hanno bisogno di essenzialità e di aria pulita».Poche parole, quelle pronunciate dal vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro Gualtiero Bassetti prima di incidere la ceralacca sulla teca che conserva la preziosa e povera veste francescana, «tessuta di lana bianca e scura greggia», tornata alla Verna dopo quasi otto secoli. Poche parole per dire a San Francesco, in sintonia con il Papa, che il mondo ha ancora bisogno di lui.

In mezzo a una nebbia autunnale, che aumenta anziché diminuire il fascino misterioso del sacro scoglio francescano, i vescovi della Toscana sono saliti alla Verna per la loro periodica assemblea ma soprattutto per rendere omaggio alla memoria del poverello d’Assisi nella solennità di San Giuseppe. Una «concomitanza significativa», come non ha mancato di sottolineare l’arcivescovo Alessandro Plotti nel corso dell’omelia durante la solenne concelebrazione nella basilica al cui interno si trova la Cappella delle reliquie, dove con molta probabilità il saio delle stimmate rimarrà in via definitiva sempre che sia favorevole, dopo quello dei frati, il parere di una commissione nominata dalla Soprintendenza ai beni ambientali, artistici e storici.

Tre gli «elementi comuni» tra Giuseppe e Francesco individuati, «senza forzature», dall’arcivescovo di Pisa e presidente della Conferenza episcopale toscana: la povertà nel nascondimento e nell’umiltà; la fraternità che si fa famiglia; l’amore per Gesù Cristo. «Guardando quel saio – ha detto Plotti – siamo colpiti dall’essenzialità e siamo chiamati a sfrondare le nostre esigenze. Il benessere, purtroppo, ci ha costretti a usare i beni in modo esasperato». «Viviamo in un mondo sfilacciato e per questo – ha proseguito il presidente della Cet affrontando il secondo elemento comune – c’è bisogno di fare famiglia, di aggregarsi, di riscoprire il senso d’appartenza».«Infine, ma dovrebbe essere il primo punto, l’amore per Cristo. Giuseppe è il custode di Gesù, lo accompagna in tutte le tappe della sua crescita umana. L’itinerario di Francesco, al pari di quello di Giuseppe, è – a giudizio dell’arcivescovo di Pisa – un itinerario di partecipazione al mistero di Cristo e le stimmate non sono altro che il segno più evidente dell’amore per il suo Signore. Tutti siamo chiamati alla santità. Ispiriamoci dunque – ha concluso Plotti – ai grandi modelli che la Chiesa ci offre».

Alla Verna, il 19 marzo, oltre al Ministro provinciale dei minori Maurizio Pietro Faggioni, al Guardiano Fiorenzo Locatelli, a numerosi frati, ai fedeli di Chiusi, alle autorità locali e alla soprintendente Anna Maria Maetzke, erano presenti anche i coniugi Barbolani, discendenti del conte Alberto, che non hanno voluto mancare alla solenne cerimonia per rimettere i sigilli a quel saio che il loro avo, nel castello di Mantauto, nell’autunno del 1224, ebbe la «sfrontatezza» di chiedere al serafico Francesco e che poi i fiorentini, nel 1503, ottennero «come trofeo di vittoria» portandolo dapprima al Monte alle Croci e poi in Ognissanti dove sarebbe rimasto per 430 anni, dal 1571 al 2001.

Nel castello dei Barbolani, nei pressi di Anghiari, è comunque rimasto un pezzetto di quella stoffa che gli esperti, pur senza fare la prova del carbonio 14 per non tagliare altre parti, datano con certezza al XIII secolo. Ne sono prova anche le tracce di polline e una piccola foglia che furono trovate tra le maglie del saio.«Davanti a questi abiti ruvidi e lacerati – come scrivono i vescovi toscani nel loro messaggio – pensiamo a Francesco povero e consumato dall’amore, uomo nuovo, fratello verso il quale continua a volgersi l’ammirazione di tutti: davvero continua a realizzarsi quanto il Cristo gli disse dopo le stimmate: “Ti ho fatto mio gonfaloniere!… Ti ho fatto mia immagine viva!”». Risuona così «attualissima» la preghiera che nella Festa delle stimmate Giovanni Paolo II, il 17 settembre 1993, pronunciò nel luogo del prodigio: «Francesco, il mondo ha nostalgia di te quale icona di Gesù Crocifisso. Ha bisogno del tuo cuore aperto verso Dio e verso l’uomo, dei tuoi piedi scalzi e feriti, delle tue mani trafitte e imploranti».

I vescovi toscani lo hanno voluto ribadire proprio con la loro presenza alla Verna. Ognuno di loro ha poi firmato il documento che comprova la «chiusura» del saio, ma soprattutto ne conferma l’autenticità e il significato di reliquia ribadendo che «è l’abito testimone del momento misterioso e bruciante in cui Francesco fu segnato dalle ferite della passione di Cristo: le stimmate».

La scheda:le vicende del saio delle Stimmate

«Alto appena un metro e venticinque centimetri, ma con oltre due metri di circonferenza, il saio detto «delle stimmate» si presenta senza le maniche, con il cappuccio staccato e mancante della parte intorno al cuore dalla quale sono state tratte piccole strisce di stoffa a mo’ di reliquia. Del saio si ha notizia da molti secoli. A riferirne in particolare è fra Mariano da Firenze. La tradizione vuole che Francesco, pochi giorni dopo le stimmate, il 14 settembre 1224, riprendesse «con fra Leone la via di Santa Maria degli Angeli credendosi ormai vicino alla morte».

Attraverso il percorso più breve («la cresta dei monti che dividono il Casentino dalla Val Tiberina»), Francesco si fermò al castello dell’amico conte Alberto Barbolani, a Montauto, nei pressi di Anghiari. «Ospite dunque del conte Alberto, questi, vedendolo tanto malandato in salute, e temendo di non lo riveder più… e messo a parte in qualche modo da fra Leone del prodigio avvenuto poco prima alla Verna, pensò di chiedergli in ricordo il suo abito, ricordo del resto, che San Francesco aveva dovuto concedere più volte nella sua vita alla devozione dei popoli. Così egli, anche questa volta non si potè rifiutare, e il conte Alberto spedì nella sera stessa un suo famiglio al Borgo San Sepolcro a provvedere il panno per il nuovo abito da farsi, che, con l’aiuto di un sarto, la mattina appresso era già pronto».

Il saio fu custodito nella cappella del castello fino al 1503 quando fu portato a Firenze, prima al Monte alle Croci e poi in Ognissanti, dov’è rimasto fino a che sono rimasti i francescani e quindi portato alla Verna una volta trasferiti i religiosi. Il 19 marzo scorso, alla presenza dei vescovi della Toscana, sono stati rimessi i sigilli alla teca che conserva il saio e che era stata aperta un anno fa per una ricognizione conservativa.

Il coraggio della pace. Messaggio dei Vescovi toscani(La Verna 19-03-2002)Le fotoSul saio delle stimmate i sigilli della Chiesa