Vita Chiesa
I segni della Quaresima: le opere di misericordia purificano il cuore
Il tempo di Quaresima è iniziato già da più di una settimana, ma il Vangelo di Matteo (6,1-18) che abbiamo ascoltato al Mercoledì delle Ceneri rimane una guida per continuare il nostro cammino di conversione e penitenza, per correggerlo e approfondirlo ulteriormente. Gesù parla di un luogo segreto, in cui è possibile un incontro personale tra noi e Dio, un luogo a cui le tre pratiche dell’elemosina, della preghiera e del digiuno rinviano. Se ci pensiamo le tre pratiche ci rimandano ad altrettante relazioni vitali per noi: con gli altri, soprattutto i più bisognosi, con Dio e con i beni che sostentano la nostra vita. Gesù stesso è stato tentato in questi tre ambiti: il potere, il dominio sugli altri riguarda l’elemosina, una lettura letterale e fondamentalista della Parola di Dio riguarda la preghiera, trasformare il pane in pietra riguarda il digiuno. La tentazione di Gesù manifesta quale sia la messianicità che Gesù sceglie obbedendo alla volontà del Padre, in opposizione a quella propostagli da Satana e che gli uomini (a cominciare da Pietro e dai discepoli) desiderano attribuirgli. Per questo Cristo ha vinto il tentatore per noi: «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato » (Eb 4,15). La Chiesa ogni anno si unisce al mistero di Gesù nel deserto con i quaranta giorni della Quaresima (cfr. Catechismo dela Chiesa Cattolica n. 540).Particolarmente efficace come penitenza interiore che purifica il nostro cuore, «copre una moltitudine di peccati » (1 Pt 4,8) e ci rende misericordiosi «come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36) è la pratica dell’elemosina che la tradizione della Chiesa ha specificato con le opere di misericordia, quelle corporali e spirituali. Ricordiamo quindi le sette opere di misericordia spirituale – consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste e pregare Dio per i vivi e per i morti – e le sette opere di misericordia corporale: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati e seppellire i morti.Le opere di misericordia sono azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica 2447): istruire, consigliare, consolare, confortare sono opere di misericordia spirituale, come pure perdonare e sopportare con pazienza. Le opere di misericordia corporale consistono segnatamente nel dare da mangiare a chi ha fame, nell’ospitare i senza tetto, i forestieri, nel vestire chi ha bisogno di indumenti, nel visitare gli ammalati e i prigionieri, nel seppellire i morti. Tra queste opere, fare l’elemosina ai poveri è una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di giustizia che piace a Dio: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto» (Lc 3,11). «Piuttosto date in elemosina quel che c’è dentro, e tutto sarà puro per voi» (Lc 11,41). «Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?» (Gc 2,15-16).Le opere di misericordia risvegliano in noi l’esigenza e la capacità di rendere viva e operosa la fede con la carità. Papa Francesco ci ricorda in una sua catechesi: «attraverso questi semplici gesti quotidiani possiamo compiere una vera rivoluzione culturale, come è stato in passato. Se ognuno di noi, ogni giorno, ne fa una di queste, questa sarà una rivoluzione nel mondo!» (Udienza generale in Piazza San Pietro, mercoledì 12 ottobre 2016).Ricordiamo che in ognuno di questi «più piccoli» a cui facciamo misericordia, è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore». (San Giovanni della Croce, Parole di luce e amore, 12)Ritornano nel cuore le parole di Gesù riportate da Matteo nel cap. 25 che possiamo definire il «testamento di Gesù»: ogni volta che diamo da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete, che vestiamo una persona nuda e accogliamo un forestiero, che visitiamo un ammalato o un carcerato, lo facciamo a Lui (cfr. Mt 25,31-46). Questi gesti sono «opere di misericordia corporale», perché soccorrono le persone nelle loro necessità materiali ma ci sono però anche altre sette opere di misericordia dette «spirituali», che riguardano altre esigenze ugualmente importanti, soprattutto oggi, perché toccano l’intimo delle persone e spesso fanno soffrire di più.Ma cosa significa «fare misericordia»? La parola misericordia deriva il suo nome dal dolore e dalla compassione per il misero. Tutt’e tre le parole sono incluse in quel termine: miseria e cuore. Quando il tuo cuore è toccato, colpito dalla miseria altrui, ecco, allora quella è misericordia. Per andare più a fondo e comprendere cos’è dunque la misericordia occorre che ci rivolgiamo a Gesù crocifisso ed entriamo più in profondità nel suo mistero di Amore che lo unisce al Padre nel suo sguardo sull’umanità e sulla creazione.La misericordia è la dimensione indispensabile dell’amore, è come il suo secondo nome e, al tempo stesso, è il modo specifico della sua rivelazione e attuazione nei confronti della realtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l’uomo. In altre parole, noi parliamo dell’amore misericordioso perché esiste, tra amore e misericordia, uno stretto vincolo di parentela, e tuttavia una differenza, che è molto reale. Essa si fonda sulla presenza, nel mondo e in mezzo agli uomini, del peccato. La misericordia è la forma assunta dall’amore per affrancare l’uomo dal peccato e sottrarlo al male. «La croce è come un tocco di amore eterno sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo». (San Giovanni Paolo II, Dives in misericordia nn.7-8).Praticare l’elemosina, compiere opera di misericordia corporale e spirituale sono azioni semplici e concrete ma che ci introducono nel mistero di amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. La volontà di Dio, la visione che Dio ha del mondo è una visione di amore: Dio è Amore (1 Gv 4,8); il suo desiderio è la comunione delle persone: la vita divina e la vita dell’umanità. Il Figlio venendo nel mondo rende visibile la comunione, vincendo il peccato e cioè la radice della ribellione, della disobbedienza, dell’inimicizia, dell’egoismo, della violenza. Morendo per rimanere nella comunione salva l’umanità perché la comunione con il Padre è ora comunione con gli uomini peccatori non accusandoli o giudicandoli ma offrendo loro perdono e salvezza. Nella sua discesa agli inferi Cristo ristabilisce la comunione con Adamo ed Eva… e con i peccatori.Credere allora significa amare e si impara ad amare solo lasciandosi amare. Solo facendo esperienza della misericordia usata nei nostri confronti, gustando nel profondo il dono di Dio, diveniamo capaci di opere di misericordia. Ricordiamo la promessa del Signore: «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono. La tua gente riedificherà le rovine antiche, ricostruirai le fondamenta di trascorse generazioni. Ti chiameranno riparatore di brecce, e restauratore di strade perché siano popolate». (Is 58, 9-13).Alla promessa ascoltata dal profeta fanno eco le parole di Gesù: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che nei cieli» (Mt 5,15-16). Queste opere buone sono soprattutto le opere della carità: esse devono risplendere «davanti agli uomini», dunque devono essere luminose e visibili. Ma la loro visibilità dev’essere accompagnata da una sorta di trasparenza, che non ferma l’attenzione su di sé, ma invita gli uomini a prolungare lo sguardo verso Dio, «perché rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (cfr. Evangelizzazione e testimonianza della carità n. 21). Anzi, per assicurare questa trasparenza chi compie le opere buone deve, in certo senso, tenerle segrete persino a se stesso: «non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra» (cfr. Mt 6,l-6).*Vescovo di Massa Carrara PontremoliDelegato della Conferenza episcopale toscana per il servizio della carità