Dossier

I rischi e le speranze di un’autentica rivoluzione

di Francesco Dal CantoProfessore associato di diritto costituzionale nell’Università di PisaCon l’imminente abolizione della leva militare e con il conseguente venir meno dell’obiezione di coscienza, il servizio civile sta vivendo una fase di profondo riassetto, se non proprio ripensamento. Per comprendere il futuro che si prospetta, può essere utile fare qualche passo indietro.Il servizio civile viene disciplinato per la prima volta in Italia con una legge del 1972, che regolamenta un fenomeno progressivamente diffusosi, pur contra legem, a partire dagli anni sessanta, e in forza della quale si consente al giovane chiamato alle armi di sostituire alla leva militare, per motivi di coscienza, un servizio di tipo diverso, da svolgere in diversi ambiti di impiego.

Dopo alcuni infruttuosi tentativi di riforma (si ricorda il noto rinvio alle Camere dell’allora Presidente Cossiga, effettuato a Parlamento già sciolto), la disciplina del 1972, ritenuta anche dalla stessa Corte costituzionale eccessivamente “punitiva” per l’obiettore, viene sostituita da una legge del 1998, che riconosce al giovane un vero e proprio “diritto” all’obiezione di coscienza e parifica in tutto e per tutto la sua posizione giuridica a quella del militare di leva. La scelta tra servizio militare e servizio civile, peraltro, non si configura ancora come una vera e propria alternativa, in quanto il servizio civile continua a qualificarsi quale soluzione derogatoria rispetto a quella ordinaria, rappresentata dalla leva, nel senso che l’arruolamento rimane il presupposto logico e giuridico affinché tale alternativa possa effettivamente realizzarsi, attraverso appunto l’istituto dell’obiezione di coscienza.

In questo quadro si inserisce la legge del 2000, di riforma del servizio militare, in forza della quale, in armonia con i modelli di difesa della maggior parte dei paesi europei, si ridisegna completamente la logica e l’assetto delle forze armate italiane e in particolare si prevede il progressivo passaggio ad un esercito formato pressoché interamente da “professionisti”, con contestuale e graduale riduzione della leva militare, fino alla sostanziale abolizione di quest’ultima, il 1° gennaio 2007 (ma, proprio in questi giorni, la Camera ha approvato un testo nel quale tale data viene anticipata al 1° gennaio 2005). Appare evidente come tale soluzione si ripercuota pesantemente sull’istituto dell’obiezione di coscienza al servizio militare, il quale, avendo come suo presupposto l’esistenza dell’obbligo militare, è destinato a venire anch’esso meno. Proprio per scongiurare tale rischio e per non disperdere il patrimonio maturato con l’esperienza del servizio civile a partire dai primi anni settanta, anche su sollecitazione di vasti settori della società civile, lo Stato è corso ai ripari e ha introdotto, nel 2001, una disciplina del servizio civile “volontario” del tutto sganciata dalla previsione dell’obbligo militare.

Tale normativa, completata l’anno successivo con un decreto legislativo del Governo, prevede in realtà un doppio regime. E’ innanzi tutto disciplinata la lunga fase transitoria, tuttora in corso, nella quale il servizio civile, in attesa della soppressione della leva, viene definito nei termini di una effettiva alternativa al servizio militare, nel senso che ogni giovane chiamato alle armi può dichiarare liberamente se opta per il servizio militare o per quello civile; e ciò a prescindere dai motivi di tale scelta, e quindi senza che quest’ultima sia condizionata da una preventiva dichiarazione di obiezione di coscienza. Per inciso, tale nuova configurazione segna in modo definitivo il venir meno della finalità originaria del servizio civile (che già nei fatti, in verità, si era nel tempo assai stemperata), cioè quella di una contestazione ideale e radicale del sistema di difesa armata.

La stessa normativa prevede poi la regolamentazione della fase a regime, pienamente operante a partire dalla soppressione della leva militare, con l’istituzione del “servizio civile volontario”, della durata di dodici mesi, al quale sono ammessi uomini e donne cittadini italiani di età compresa tra diciotto e ventotto anni. Il nuovo servizio civile, gestito a livello centrale dall’Ufficio nazionale incardinato sotto la Presidenza del Consiglio, viene svolto presso quegli enti che, iscritti ad apposti albi, abbiano presentato specifici progetti di impiego dei giovani. Tra il giovane in servizio civile e l’ente si stipula un contratto, nel quale vengono stabiliti i reciproci obblighi, compreso quello relativo al riconoscimento di un assegno personale di entità pari al trattamento economico previsto per i militari volontari in ferma annuale.

Fin qui, la successione delle tappe che il servizio civile ha percorso in Italia in oltre trent’anni. Venendo ora a qualche considerazione su ciò che ci possiamo aspettare nel prossimo futuro, occorre muoversi innanzi tutto con una certa cautela. E’ infatti difficile prevedere se il servizio civile volontario, una volta definitivamente esauritosi il bacino dell’obiezione di coscienza, potrà effettivamente corrispondere alle numerose richieste provenienti dai tanti settori, dall’ambito sociale a quello ambientale o culturale, per i quali la risposta delle istituzioni non è tradizionalmente sufficiente, e che pertanto vivono anche grazie al generoso contributo di quei giovani che, per un certo periodo della loro vita, scelgono di servire in questo modo il proprio paese.

Ad oggi è possibile soltanto esprimere una motivata speranza e segnalare un possibile rischio. Cominciando da quest’ultimo, è evidente che il successo della “scelta” del servizio civile dipenderà, da una parte, dalla serietà con la quale gli enti coinvolti sapranno richiamare i giovani proponendo loro occasioni vere e realmente formative di solidarietà; dall’altra, e soprattutto, da quanto lo Stato, dopo aver approvato la legge sul servizio civile, si adopererà per farla effettivamente funzionare, finanziando adeguatamente il Fondo previsto dalla stessa, dalla cui consistenza dipende il numero dei giovani che possono annualmente essere “reclutati”. E infine la speranza, che induce ad un certo ottimismo. Il nuovo servizio civile, ovviamente a patto che siano scongiurati i rischi appena indicati, potrà contribuire decisamente all’opera di “ridefinizione” del concetto di patria, e di difesa della stessa, che da qualche tempo è in corso nel nostro paese, soprattutto grazie ad alcuni importanti interventi dei due supremi organi di garanzia. E’ di pochi giorni fa l’ennesimo invito del Presidente della Repubblica Ciampi a rivalutare il volontariato come palestra per i giovani che intendono diventare cittadini coscienti e attivi, nella consapevolezza che, citando da un suo recente discorso, “il vero patriottismo è forza che spinge alla solidarietà”. Ed è di pochi giorni fa anche un intervento della Corte costituzionale che, respingendo il ricorso presentato proprio contro la legge sul servizio civile dalla Provincia di Trento (che rivendicava un maggior ruolo per le autonomie territoriali nella organizzazione di quest’ultimo), ha ribadito come lo stesso debba invece continuare ad essere inquadrato all’interno delle competenze statali in quanto “forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della patria”. Dovere che, per la Consulta, chiama ogni cittadino “ad agire non solo per imposizione di una autorità, ma anche per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa”. In altre parole, i due organi di garanzia sembrano condividere l’idea secondo la quale il dovere costituzionale di difesa della patria si appresta a divenire il valore costituzionale all’interno del quale inquadrare in futuro ogni forma di impegno volontario e solidaristico promosso e organizzato dallo Stato e finalizzato alla costruzione del bene comune. Idea nuova di patria, forse svecchiata, da intendere non più, o non soltanto, come un confine da presidiare con le armi, ma come un insieme condiviso di valori comuni, da preservare e da far crescere con la passione e il contributo volontario di tutti.

Un’idea di patria all’interno della quale il nuovo servizio civile non può che candidarsi ad un ruolo di protagonista.