Italia

I poveri non credono più alle promesse dei ricchi

DI PATRIZIA CAIFFAUn impegno a rilanciare la lotta alla fame nel mondo attraverso una serie di azioni: tra queste, l’obiettivo di dimezzare, come già previsto (ma mai realizzato) dal precedente vertice del ’96, il numero degli affamati nel mondo entro il 2015 (da 800 a 400 milioni di persone); promuovere una «alleanza internazionale» contro la fame composta da governi, organizzazioni della società civile e privati; sviluppare le esportazioni attraverso una riforma del commercio agricolo mondiale, assicurare la difesa dei diritti umani, riaffermare il ruolo delle donne e invitare i Paesi a destinare lo 0,7% del Pil per gli aiuti allo sviluppo. Sono alcuni dei punti contenuti nel documento finale del vertice della Fao tenutosi in questi giorni a Roma, nel quale viene dichiarata anche una moderata apertura agli organismi geneticamente modificati, come richiesto da alcuni Paesi, mentre l’Europa inizialmente era contraria.Nel corso del vertice, disertato dai principali capi di Stato e di governo, sono state ricordate le promesse non mantenute finora e rilanciato l’impegno per la lotta alla fame e alla povertà. In parallelo si è svolto, al Palazzo dei Congressi di Roma, il Forum delle organizzazioni non governative sulla sovranità alimentare, che ha visto riuniti oltre 600 delegati di organizzazioni della società civile di 92 Paesi, per discutere di diritto al cibo e accesso alle risorse, all’acqua, alla terra. Le proposte dei partecipanti sono contenute in un documento presentato all’attenzione del vertice della Fao.

Tra le raccomandazioni del documento, la richiesta di una moratoria sull’uso degli ogm, il diritto alla sovranità alimentare per vendere all’interno del proprio Paese i prodotti nazionali, il rispetto dei diritti umani (in particolare delle popolazioni indigene), l’elaborazione di un Codice internazionale di condotta sul diritto ad una adeguata alimentazione. Abbiamo raccolto alcuni pareri tra i delegati al Forum delle ong.

Cibo, prima dei computer. «Ci sono delle priorità: prima dei computer forse è meglio dar da mangiare a tutti». Questo il commento di Sergio Marelli, presidente del Comitato italiano organizzatore del Forum delle organizzazioni non governative a Roma, alla proposta del presidente del Consiglio, in apertura del vertice Fao, di dare un software di contabilità alle amministrazioni statali dei Paesi in via di sviluppo, da rendere obbligatorio a tutti i governi che vorranno ricevere gli aiuti. «È l’antitesi della cooperazione e della solidarietà internazionale – afferma Marelli –, forse andrà a profitto di qualche multinazionale dell’informatica ma sicuramente non è ciò di cui hanno bisogno i Paesi poveri». In merito alla proposta del governo italiano di aumentare all’1% del Pil gli aiuti dei Paesi ricchi, Marelli dice: «Benissimo, basta che non siano altisonanti dichiarazioni a cui non corrispondono mai dei fatti. Bisogna ricordare che ogni giorno muoiono di fame 24.000 persone. E visto che l’Italia finora dà solo lo 0,13% sarebbe già buono arrivare allo 0,7% del Pil fissato dalle Nazioni Unite». Africa, promesse ingannevoli per l’agricoltura locale? «La difficoltà di vendere i nostri prodotti sui nostri mercati è in buona parte la causa della fame e della povertà nei nostri Paesi». Per l’Africa la priorità è allora «proteggere l’agricoltura per poter vendere sui nostri mercati». A parlare è il senegalese Ndiogou Fall, presidente della Roppa, la rete delle organizzazioni contadine dell’Africa dell’Ovest, che rappresenta 35 milioni di persone in 10 Paesi africani. Fall dice di «non credere più alle dichiarazioni»: «Siamo abituati a dichiarazioni e statistiche che nulla hanno a che fare con la realtà. In Africa è evidente solo la povertà». E cita alcuni esempi concreti: «Chi produceva arachidi quest’anno diventerà ancora più povero perché non potranno più essere vendute a causa degli olii vegetali che arrivano dall’Occidente, invadendo i nostri mercati e minando la nostra economia. Per la stessa ragione in Mali, Costa D’Avorio, Niger, Benin, i coltivatori di cotone si impoveriranno ancora di più. Il cotone sovvenzionato in Europa e negli Stati Uniti viene infatti a competere con i nostri prodotti, che costano di più a causa delle scarse tecnologie e della mancanza di aiuti. E la fame e la povertà aumentano». Fall non si meraviglia della diserzione al vertice Fao dei capi di governo, anche da parte dei Paesi poveri: «È un messaggio chiaro indirizzato ai governi del Nord: ciò che dite non ci interessa fino a quando non proteggerete i nostri mercati. Tutti gli sforzi sono invece orientati nell’occupazione dei mercati nei Paesi del Sud e tutte le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio rispondono a questo obiettivo. È per questo che si vogliono sostenere le infrastrutture e lo sviluppo, per mettere in ogni villaggio un Mac Donald e vendere i prodotti del Nord. Ma noi non possiamo accettarlo».

America Latina. Dalla Bolivia il grido dei campesinos. In Bolivia la maggior parte della popolazione indigena, di etnia quechua, vive dei proventi delle piantagioni di coca, che viene usata per il mate e per gli usi e le tradizioni locali. Ma con il pretesto della lotta al narcotraffico il governo, con appoggi internazionali, ha militarizzato il Paese, distruggendo le piantagioni e reprimendo le lotte delle organizzazioni sindacali indigene. Numerosi sono stati i contadini uccisi durante gli scontri. È la situazione descritta da Leonida Burita, della Federation nationale de muheres campesinos de Bolivia «Bartolina Sisa», delegata al Forum delle ong e un po’ disorientata in una città come Roma: «Nel mio villaggio non c’è nemmeno la luce elettrica e io cucino con la legna», racconta. Nel febbraio scorso ha passato un mese durissimo nelle carceri boliviane per aver partecipato alle marce di protesta dei campesinos. «Ci equiparano ai narcotrafficanti, senza rendersi conto che la coltivazione della coca è il nostro unico mezzo di sostentamento – dice. Noi siamo disponibili alle conversioni delle piantagioni in mais, patate, grano, ma non ci danno gli aiuti per uno sviluppo alternativo».

Asia, le proteste dei pescatori dello Sri Lanka. La pesca è la principale fonte di sostentamento dello Sri Lanka, ma i 15.000 pescatori rappresentati dalla National fishery solidarity vivono in condizioni di grande povertà perché mancano politiche nazionali di sostegno a questa attività. Mariam Luckmini, racconta il lavoro dell’organizzazione a cui appartiene, impegnata nella protezione dei piccoli pescatori, che subiscono anch’essi gli effetti della globalizzazione dei mercati. Anche Mariam ha poca fiducia nelle dichiarazioni di principio: «Credo più nelle proteste organizzate dei poveri, per cui la nostra unica risorsa rimane l’empowerment, ciò dare potere ai poveri creando dei leader capaci di portare avanti le rivendicazioni sociali».IL PAPA AL VERTICE DELLA FAO: «LA SOLIDARIETÀ ISPIRI OGNI FORMA DI COOPERAZIONE»Il sito della Fao