Pisa

I PISANI AD HAITI

di Andrea Bernardini

Una sosta allo scalo di Port au Prince di «appena» cinquanta minuti. Giusto il tempo per «scaricare» le attrezzature necessarie ad allestire un ospedale da campo, far scendere alcuni medici volontari e «imbarcare» tredici italiani da portare a Guadalupe, da dove sarebbero partiti per Roma a bordo di un altro veivolo dell’aereonautica militare. L’equipaggio della 46ª protagonista della «missione» logistica ad Haiti, composto dal maggiore Stefano Pagani, dal capitano Lorenzo Viviani, un esperto di missioni umanitarie (è stato di recente anche in Pakistan), dal tenente Alessandro Parri, dai marescialli Angelo Armento, Alfonso Coppola, Roberto Cilvalli e Igino Gennaiotti, fa ritorno a Pisa nel tardo pomeriggio dello scorso martedì. Si tratta dei primi «testimoni» pisani della tragedia del popolo di Haiti. «Un’esperienza toccante – dice Stefano Pagani a “Toscana Oggi” – . Quando, prima di atterrare all’aereoporto, abbiamo sorvolato sul paese, abbiamo visto decine di incendi non ancora spenti e migliaia di edifici sventrati».Sono le prime «voci» pisane raccolte dopo giorni dal terribile terremoto che ha devastato il paese americano. A Port au Prince i militari pisani hanno potuto atterrare dopo due ore di attesa in volo («l’aereoporto è congestionato»). Prima di scaricare l’ospedale da campo, e di accompagnare all’esterno tre medici volontari (altri erano partiti con altro volo). Poi hanno provveduto a portare a Guadalupe tredici italiani che hanno deciso di abbandonare Haiti per tornare nella loro terra di origine: «tra loro anche tre bambini, una donna al quinto mese di gravidanza ed alcuni anziani».Poco dopo l’agenzia Ansa «batte» un lancio che riporta la testimonianza del professor Giuseppe Evangelista, a capo del Gruppo di chirurgia d’urgenza di Pisa. L’ospedale in cui operano lui ed altri venti colleghi volontari, allestito dalla Protezione civile, è in grado di curare un centinaio di persone al giorno. Al presidio medico arrivano soprattutto bambini. Le ferite più frequenti? I traumi da schiacciamento e un po’ tutte le lacerazioni. In molti casi, racconta il medico, i bambini arrivano all’ospedale da campo con arti già in cancrena, sì che l’equipe è costretta ad amputarli per evitare il peggio.