Vita Chiesa
I nuovi peccati? Non sono una novità
La Chiesa l’ha fatto, lo fa e lo farà sempre, l’aggiornamento della vita morale, in positivo e in negativo, tanto nella vita privata quanto nella vita sociale o comunitaria. E, questo, perché? Perché gli Apostoli, e successivamente i vescovi e, ancora subordinatamente i sacerdoti, hanno ricevuto direttamente da Gesù Cristo il potere di «rimettere i peccati» come quello di «non rimettere», espresso bene nel greco (crateo) che vuol dire «ritenere», tuttavia due verbi contrari con effetti corrispondenti. Questo potere o potestà appartiene alla Chiesa, come dogmaticamente si evince da Matteo 16, 18-19; da Matteo 18,18 e – come afferma il Concilio di Trento (can 3, sess XIV) in modo precipuo da Giovanni 20, 22-23. Ho detto successivamente, perché i vescovi sono unici e veri successori degli Apostoli: questi hanno la «pienezza del Sacerdozio» che ricevono, sacramentalmente, nel giorno della loro consacrazione; ho detto subordinatamente ai sacerdoti (parroci o non parroci) perché il sacerdozio ci viene ordinato dal vescovo, ma sempre derivato dall’unico Sacerdozio che è quello di Cristo Signore, che comporta il potere di celebrare l’Eucarestia e quello di rimettere i peccati (confessione o penitenza).
Una domanda comunque don Sensini in genere la rivolge, a chi va a confessarsi da lui: «Alle persone che vengono abitualmente per fare un elenco di peccati, spesso chiedo se hanno fatto anche qualcosa di buono, se hanno contribuito a rendere migliore la vita delle persone vicine. È un modo per ricordare che non basta evitare i peccati, la conversione è qualcosa di più profondo». In questo senso, dice don Francesco, negli ultimi anni si nota qualche cambiamento in chi si rivolge al confessore: «Nel prete si cerca la capacità di capire, di intuire, di andare alle radici dei problemi. Si chiede non solo di essere ascoltati, ma di ricevere una parola di vita, che aiuti a fare chiarezza e dia la forza per andare avanti».
Il Papa chiede ai sacerdoti più spazio all’ascolto: tutti coloro che si occupano della cura delle anime, scrive, «hanno l’obbligo di provvedere che siano ascoltate le confessioni dei fedeli a loro affidati» e di mostrarsi «sempre e pienamente disposti» ad amministrare il sacramento della penitenza «ogniqualvolta i fedeli ne facciano ragionevolmente richiesta». La «mancanza di disponibilità ad accogliere le pecore ferite per poi ricondurle all’ovile», scrive Giovanni Paolo II, «sarebbe un doloroso senso di carenza di senso pastorale» nei sacerdoti: vescovi, parroci e rettori di chiese e santuari, aggiunge il Papa, «devono verificare periodicamente che di fatto esistano le massime facilitazioni possibili per le confessioni dei fedeli», soprattutto attraverso «la presenza visibile dei confessori nei luoghi di culto durante gli orari previsti, l’adeguamento di questi orari alla situazione reale dei penitenti, e la speciale disponibilità per confessare prima delle Messe» e anche durante le celebrazioni.