Opinioni & Commenti

I mille volti e le mille minacce contro l’essere umano

di Giuseppe SavagnoneCostituisce una delle più significative acquisizioni della cultura contemporanea il concetto di «qualità della vita». Esso significa che l’importante non è solo vivere, ma vivere bene e che la vita è più della pura e semplice sopravvivenza biologica. Ma già duemila anni fa Cristo diceva di essere venuto nel mondo perché gli uomini avessero la vita, e l’avessero in abbondanza. Dove è chiaro che quella cui si riferiva non era la pura e semplice funzionalità organica, bensì una piena realizzazione delle potenzialità e delle attese più profonde dell’essere umano.

Da questo punto di vista, la Giornata della vita potrebbe essere una celebrazione della convergenza tra le domande degli uomini e delle donne del nostro tempo e la risposta che la Chiesa, in nome del suo Signore, propone, oggi come ieri, a chi è disponibile ad ascoltarla. Ma troppo spesso il messaggio cristiano viene frainteso e ridotto – talvolta anche per il modo in cui è presentato – a una difesa della vita biologica nel suo nascere o nel suo tramonto.

In realtà, la vita a cui i credenti consacrano la propria attenzione è la vita nel suo concreto svolgersi tra quell’inizio e quella fine, nelle mille situazioni in cui essa è minacciata da un drammatico impoverimento che la rende meno umana. Certo, il rispetto della dignità di una persona comincia dal riconoscimento del suo diritto alla sussistenza fisica. Utilizzare il concetto di «qualità della vita», come spesso oggi si fa, per distinguere tra vite che valgono la pena di essere vissute e vite che possono essere eliminate, significa pretendere di mettersi al posto del Creatore e voler decidere al posto suo. A noi esseri umani, consapevoli della nostra finitezza, non spetta stabilire quali vite «valgano la pena» di essere vissute e quali no, ma fare il possibile perché tutte abbiano la propria piena realizzazione.

Perché è certo che non ci può bastare averle salvate dalla morte, per dire che abbiamo rispettato i loro diritti. E in troppi casi questo rispetto è, di fatto, tragicamente negato. A questa nostra società opulenta, la Giornata della vita ricorda che ci sono vite che non riescono a raggiungere il minimo del loro sviluppo fisico per mancanza del nutrimento indispensabile. Che, mentre noi viviamo in una condizione di relativa sicurezza, ci sono in tutto il mondo decine di guerre che si trascinano da anni, condannando intere popolazioni a un angoscioso stato di precarietà.Per non parlare delle vite spezzate o umiliate che si trovano fra noi. Le vite dei disoccupati e dei senzatetto. Quelle degli immigrati, specie se lontani dalle proprie famiglie. Quelle dei portatori di handicap, condannati a una storia di solitudine e di esclusione. Quelle delle persone che si trovano ai margini della società, e non sempre per propria colpa: le prostitute, soprattutto le straniere, spesso trascinate sul marciapiede a forza di inganni e di violenze; i detenuti, che il sovraffollamento delle nostre carceri costringe talora a vivere in condizioni disumane.

Queste e tante altre situazioni la Giornata della vita vuole evocare, per scuotere l’assuefazione di chi scambia la «qualità della vita» con la maglietta firmata o con la villa a mare. Ma non è solo un richiamo. È anche e soprattutto una prospettiva. Perché forse è qualità della vita anche il saper uscire dall’angusta ottica del consumismo imperante, per essere inquietati, almeno una volta, dall’angoscia degli altri.

Della vita non si fa mercato. Messaggio del Consiglio permanente della Cei per la Giornata per la vita