Cultura & Società
I mesi, le settimane, i giorni e la mutazione dell’idea del tempo
Ormai non si sa come il mondo globalizzato (se arriverà mai ad esserlo) vorrà gestire il problema del tempo, regolando in modo nuovo i ritmi della vita e della società, riscrivendo le regole delle scansioni cronologiche dei vari periodi: anno, stagione, mese, settimana, giornata.
Una lotta sorda si sta svolgendo tra il tempo della terra e quello del mercante. Nel nuovo criterio di produzione legato all’industria, alle macchine, ai cottimi, alla catena di montaggio, la velocità costituisce il mito e il tempo è danaro. Il contadino invece si rifaceva all’attività produttiva della natura: tra la semina del grano e la sua raccolta intercorrono nove mesi, periodo che nessuno può accorciare.
Il problema non è il fatto che il mondo attraversi questa metamorfosi radicale, fenomeno del resto insito nel panta rei universale, ciò che preoccupa è che la riflessione collettiva così attenta a ogni altra minima variazione, mostri incoscienza del grave pericolo e incoraggi, acceleri l’alterazione del fondamentale equilibrio di stratificazioni millenarie di sistemi naturali, psicologici, mentali, simbolici che hanno irrimediabilmente una ripercussione sull’idea che l’uomo ha di se stesso, del mondo e dell’ordine cosmico in cui finora si è sentito radicato e da cui da qualche tempo ha cominciato a sentirsi avulso, se non estraneo e in deciso contrasto.
Il tempo è uno dei pochi impercettibili elementi fondamentali dei quali la ragione è incapace di dare conto, e neppure d’offrire una traccia della sua natura. A percepirlo si arriva per le vie pascaliane del cuore, del sentire, attraverso l’allusione, l’analogia, concretizzandolo in forme naturali, rituali o simboliche, legate ad esempio ai fenomeni astronomici.
Dice Agostino a proposito di cosa sia il tempo: «Se nessuno me lo domanda, io lo so, se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più». Eppure la concezione misteriosa e incomunicabile del tempo forma la rete di palesi ed oscure connessioni che collegano e danno senso a tutti i fenomeni naturali, spirituali, psichici e metafisici che altrimenti sfuggono, riducendo le esperienze a una sorta di mosaico incoerente.
La deriva appare oggi inesorabile: dopo il giorno toccherà alla settimana, al mese, all’anno e non saranno più i cicli naturali astronomici, meteorologici e altri legati ai fenomeni naturali minori a segnare le cadenze vitali, ma parametri astratti, schemi concettuali che porteranno la vita sempre più lontana dal cuore pulsante della Natura e delle Terra. L’ora delle cose sarà estromessa e sostituita da quella che sarà l’ora della mente. Già si è cominciato a cercar di sostituire la categoria Prima di Cristo e Dopo Cristo con qualcosa di meno «santo».
I periodi di ferie obbligati affollano a intermittenza i luoghi di villeggiatura e rendono periodicamente le città quasi deserte: tutto è disposto su una linea retta uniforme piena di eventi artefatti, estemporanei, feste fittizie, clamori, musiche, svaghi, distrazioni: una festa continua, nevrotica, pure di grande monotonia come una serata in discoteca dove non a caso per divertirsi si ricorre a droga, alcol e altro pur d’allontanarsi da quello stano piacere e fuggire nello stordimento.
Pare che l’ideale sia di fare una globale Las Vegas, mentre il fine di tutto è l’omologazione degli esseri umani, in modo che, facendo fare a ognuno quello che fanno tutti, si facilita la funzione del lavoro e, costringendoli a consumare quello che consumano tutti, si agevolano i consumi e le produzioni. La finalità assoluta, la meta pura da raggiungere, il santo ideale non è che il sacro profitto. Si tratta in un’entità quasi astratta, un idolo attuale al quale si associa un’enorme ricchezza, potere, benessere che la metafisica contemporanea identifica nella felicità che poi, anche per chi la raggiunge, è labile e illusoria.
Il primitivo aveva immaginato il tempo come un universo soprannaturale parallelo a quello materiale, ma a questo concatenato, di scansioni vive, per cui ogni periodo era governato da un ente divino: gli anni avevano la loro individualità, come le stagioni avevano una forza che le governava e così i mesi erano vere e proprie divinità preposte all’esplicarsi delle forze vitali, e poi le settimane e poi i giorni che nel cristianesimo hanno preso ciascuno il proprio patrono soprannaturale nei vari santi.
I proverbi ci ricordano questa idea elementare del tempo che si sviluppava per periodi stabilendo la concomitanza tra due eventi naturali:
Dunque questa idea diversa del tempo, con la sua circolarità, con la ripetizione sempre diversa di uguali fenomeni, implicava anche una concezione differente della vita e della morte e quindi anche una visione metafisica: l’eternità e la trascendenza come realtà dalle quali il tempo discendeva, un ordine celeste del quale l’ordine terrestre era una più modesta replica.
L’uomo, nella sua esperienza terrena, non aveva altro da fare che unirsi al coro delle creature, che esultano nella vita mutando negli anni, si perpetuano, gioiscono e soffrono, ripetono ciò che fecero avi e proavi, appassiscono e muoiono, mutano come crisalidi per sbocciare poi come il seme dal buio della terra nella luce eterna.
La forza della religione costituiva un baluardo rassicurante contro l’incertezza, il mistero, l’angoscia, la morte. La straordinaria energia che si sprigiona dal pensiero, dalle opere, dall’arte degli antichi, riposa in gran parte in questa visione, baluardo a difesa dell’atollo della vita dallo spaventoso oceano del tempo, che, a ben guardare, in questa visione s’identifica col nulla.
Di fronte agli spazi infiniti, di leopardiana memoria, così come dagli abissi del tempo, evocati dal poeta, la mente non può che vacillare e l’animo perdersi in un’idea meschina di se stessi. Dante ci dà una delle più vive immagini del tempo, descrivendone proprio l’assenza: al primo entrare, l’Inferno gli appare aria sanza tempo tinta:
Il tempo coincidendo col movimento, è, a quanto dice questo magnifico verso, il colore del mondo, ciò che fa percepire e distinguere la realtà degli eventi, che altrimenti sarebbero confusi, ciechi, bui come tutto quanto accade nel mondo infernale. La sua assenza è la vera, tremenda condanna dei peccatori, tale da non poter essere neppure immaginata, coincidendo con l’assenza della vita col suo colore.
LA CORONA DEI MESI
Questa antichissima rappresentazione ripete sul piano della poesia quello che sono le serie di dodici figure, ciascuna rappresentante un mese dell’anno, nell’arte figurativa. La composizione, attraverso mutazioni e adattamenti, allunga le sue radici in chi sa quale epoca e deriva probabilmente da riti magici di propiziazione. Fino a poco fa si pensava ai mesi come a elementi dotati d’individualità, personalità, volontà, quasi semidei, guide delle condizioni climatiche, delle coltivazioni e dei raccolti. Del resto le storie che riguardano i mesi costituiscono una piccola mitologia in cui Gennaio ruba i giorni a Febbraio e si vendica della merla, Marzo beffa la vecchia, o il pastore, Marzo è pazzo, Aprile gentile, Maggio amoroso, ecc.
Com’è noto la rivoluzione francese elaborò un nuovo calendario destinato a soppiantare quello tradizionale legato alla religione, ai Santi, a una concezione considerata superata del tempo. Anche se ebbe breve durata il calendario repubblicano, concepito dalla bizzarra mente di Fabre d’Eglantine, interruppe queste esili tradizioni considerate allora in contrasto con la ragione e col progresso.
Perduta la dimensione magica o religiosa, mantenendo i mesi gli elementi personali e l’individualità, la rappresentazione ha assunto la forma di gara tra i dodici su chi sia superiore agli altri.