Vita Chiesa
I lavori nelle Congregazioni generali
“Perciò – ha aggiunto – le nostre analisi sono insufficienti se non scopriamo che dietro a tutte le ingiustizie della corruzione, e di tutte queste cose, sta un cuore non retto, una chiusura verso Dio e così una falsificazione della relazione fondamentale sulla quale sono basate tutte le altre”.
Il Presidente Delegato di turno, Cardinale Francis Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha pronunciato un breve discorso all’inizio della sessione mattutina. Successivamente, il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Arcivescovo Nikola Eterovic ha presentato l’attività del Consiglio della Segreteria Generale nel periodo successivo all’Assemblea precedente (Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, 1994), e la preparazione del Sinodo attuale.
Il Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Arcivescovo di Cape Coast (Ghana), Relatore Generale del Sinodo, ha letto la “Relatio ante disceptationem“. Riportiamo una sintesi del suo intervento.
La situazione del continente era fortemente ambivalente quanto paradossale e la rapida successione degli eventi come la fine dell’apartheid e il triste inizio del genocidio rwandese ben rappresentavano questo paradosso.
Tenendo conto di questa situazione paradossale in cui il male e la sofferenza sembravano prevalere sul bene e sulla virtù, il clima pasquale della I Assemblea Speciale per l’Africa ispirò un messaggio di speranza per il Continente.
Questo periodo post-sinodale ha raggiunto il suo quattordicesimo anno; e, mentre la situazione del continente, delle sue isole e della Chiesa presenta ancora alcune delle “luci e ombre” che motivarono il primo Sinodo, essa è anche notevolmente cambiata. Tale nuova realtà richiede un appropriato esame in vista di un rinnovato sforzo di evangelizzazione che esige un approfondimento di alcuni temi specifici importanti per il presente e il futuro della Chiesa cattolica nel grande continente africano.
La schiavitù e lo schiavismo, che il mondo arabo portò per primo sulla costa dell’Africa orientale e che gli europei, in collaborazione con gli stessi africani, nel XIV secolo incrementarono ed estesero a tutto il continente, hanno portato a un flusso migratorio forzato di africani. Oggi le migrazioni volontarie, dettate da vari motivi, dei figli e delle figlie dell’Africa verso l’Europa, l’America e l’Estremo Oriente, li pongono in una condizione di occupazione servile che esige la nostra attenzione e la nostra cura pastorale.
Il periodo successivo alla I Assemblea per l’Africa, vale a dire l’alba del Terzo Millennio, sembrava aver coinciso, nel continente, con un desiderio emergente degli stessi leader africani di un “Rinascimento africano”
I leader politici africani sembrano determinati a cambiare il volto dell’amministrazione politica nel continente; e hanno condotto un’auto-valutazione critica che ha identificato nel malgoverno le cause della povertà e delle sofferenze dell’Africa. Hanno quindi tracciato un cammino del buon governo e della formazione della classe politica, in grado di cogliere la parte migliore delle tradizioni ancestrali africane e di integrarla con i principi di governo delle moderne società. Hanno adottato un quadro strategico (NEPAD) per orientare le azioni e guidare il rinnovamento dell’Africa attraverso delle leadership politiche trasparenti.
Il rapporto radicale tra governo ed economia è chiaro; dimostra che un cattivo governo produce una cattiva economia. Ciò spiega il paradosso della povertà di un continente che è senz’altro uno dei più ricchi del mondo in potenzialità. La conseguenza di questa “equazione governo-economia” è che quasi nessun paese africano può rispettare i propri obblighi di bilancio, vale a dire i programmi finanziari nazionali pianificati, senza ricorrere ad aiuti esterni in forma di obbligazioni o prestiti. Questo continuo finanziamento dei bilanci nazionali facendo ricorso a prestiti non fa altro che accrescere un già opprimente debito nazionale. La Chiesa universale con quella Africana hanno messo a punto una campagna per cancellarlo nell’anno del Grande Giubileo.
Esistono inoltre fenomeni globali e iniziative internazionali, di cui occorre valutare l’impatto sulla società africana e su alcune delle sue strutture, che pongono nuove sfide anche alla Chiesa. Mentre l’importanza che viene data sempre di più al posto e al ruolo delle donne nella società è un felice progresso, l’emergere nel mondo di stili di vita, valori, atteggiamenti, associazioni, ecc., che destabilizzano la società, sono motivo di inquietudine. Essi minano le basi stesse della società (matrimonio e famiglia), ne riducono il capitale umano (migrazioni, spaccio di droga, traffico d’armi) e minacciano la vita del pianeta.
Nonostante il continente e la Chiesa nel continente non siano ancora usciti dalle difficoltà, possono però almeno in parte rallegrarsi per i loro successi e i risultati positivi e iniziare a ricusare le generalizzazioni stereotipate sui conflitti, carestie, corruzioni e malgoverni. I quarantotto Paesi che costituiscono l’Africa sub-sahariana presentano grandi differenze nelle situazioni delle loro Chiese, dei loro governi e della loro vita socio-economica. Di queste quarantotto nazioni, solo quattro, la Somalia, il Sudan, il Niger e parti della Repubblica Democratica del Congo, sono attualmente in guerra, e almeno due di queste lo sono a causa di interferenze straniere: la Repubblica Democratica del Congo e il Sudan. Va detto che vi sono meno guerre in Africa che in Asia. I mercanti di guerra e i criminali di guerra vengono sempre di più denunciati, processati e perseguiti.
La verità è che l’Africa è stata accusata per troppo tempo dai media di tutto ciò che viene aborrito dall’umanità; è tempo di “cambiare marcia”e di dire la verità sull’Africa con amore, promuovendo lo sviluppo del continente che porterà al benessere di tutto il mondo. I paesi del G-8 e i paesi del mondo devono amare l’Africa nella verità!. Generalmente considerata alla decima posizione nella graduatoria dell’economia mondiale, l’Africa rappresenta tuttavia il secondo mercato mondiale emergente dopo la Cina. Per questo motivo, come l’ha definita il summit del G-8 da poco concluso, è il continente delle opportunità. E ciò dovrebbe valere anche per le popolazioni del continente. Si spera che la ricerca della riconciliazione, la giustizia e la pace, che è eminentemente cristiana per il fatto di essere radicata nell’amore e nella misericordia, ristabilisca l’unità della Chiesa-Famiglia di Dio nel continente e che quest’ultima, in quanto sale della terra e luce del mondo, guarisca “il cuore ferito dell’uomo, in cui si annida la causa di tutto ciò che destabilizza il continente africano”. In tal modo il continente e le sue isole comprenderanno le opportunità e i doni dati loro da Dio.
Più tardi Paolo prosegue l’opera dei discepoli-apostoli di Gesù come predicatore dello stesso dono di salvezza in Gesù. Tuttavia, avendo ricevuto l’incarico di annunciare Gesù nelle particolari circostanze del suo incontro con il Signore risorto sulla via di Damasco, anche Paolo comprende che l’offerta di salvezza in Gesù da parte del Padre è l’atto di riconciliazione del Padre. Infatti, come egli stesso ammette: “Io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù” (1 Tm 1, 13-14).
Per Paolo, quindi, l’esperienza della salvezza ha rappresentato anche un passaggio dall’ostilità e l’inimicizia verso Cristo e la sua Chiesa alla fede in Cristo e alla fratellanza con la sua Chiesa. Questo passaggio dall’inimicizia alla fratellanza costituisce la riconciliazione ed è un’esperienza immeritata che solo Dio può suscitare in una persona. In questo, Paolo ha considerato se stesso un esempio per coloro che avrebbero creduto in Cristo (cf. 1 Tm 1, 16).
Quando Gesù si riferisce ai suoi discepoli come “sale della terra” e quando il Sinodo esorta i membri della Chiesa in Africa a essere “servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace” come “sale della terra”, sia Gesù che il Sinodo stanno facendo uso di un simbolo polivalente per esprimere i molteplici compiti ed esigenze dell’essere discepoli e dell’essere Chiesa (Famiglia di Dio) in Africa.
In un continente, alcune parti del quale vivono in situazioni di conflitto e di morte, la Chiesa deve spargere semi di vita: iniziative che generano vita. Essa deve preservare il continente e la sua popolazione dagli effetti distruttivi dell’odio, della violenza, della giustizia e dell’etnocentrismo. La Chiesa deve purificare e sanare le menti e i cuori da modi corrotti e malvagi e diffondere il suo messaggio evangelico generatore di vita per mantenere in vita il continente e il suo popolo”.
In questo Sinodo la terra e il mondo per cui i cattolici del continente e delle isole devono essere “sale” e “luce” come servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace è l’Africa dei nostri giorni.
Gesù Cristo, dopo essersi rivelato attraverso le Scritture come nostra riconciliazione, giustizia e pace, ora chiama e invia i suoi discepoli in Africa e nelle isole a spendere sé stessi, come sale e luce, per costruire la Chiesa in Africa come autentica Famiglia di Dio attraverso i ministeri della riconciliazione, della giustizia e della pace, esercitati nell’amore, come il loro maestro”.
AMERICA LATINA, ARCIVESCOVO RAYMUNDO DAMASCENO ASSIS, DI APARECIDA (BRASILE), E PRESIDENTE DEL “CONSIGLIO EPISCOPALE LATINO AMERICANO” (C.E.L.AM.). “Desidero suggerire in questo intervento alcuni punti, che potrebbero essere tema di dialogo di un possibile scambio fraterno tra le Chiese dei due continenti. In ambito episcopale, possiamo condividere con l’Africa la grande ricchezza che hanno significato i 54 anni di vita dell’organismo episcopale che rappresento, il Consiglio Episcopale Latino-americano – CELAM – come strumento di comunione episcopale e di servizio reciproco in seno al nostro episcopato. Si potrebbe, con l’incentivo della Santa Sede, invitare i Vescovi della Chiesa cattolica presenti in entrambi i continenti, per uno scambio di esperienze collegiali, pastorali e organizzative, che possono arricchire la missione della Chiesa. (…) Per quanto riguarda i seminaristi e i sacerdoti, penso anche che sarebbe possibile e reciprocamente arricchente, offrire seminari per una prima formazione sacerdotale in alcune delle Chiese particolari in America Latina, che hanno più risorse”.
NORDAMERICA. ARCIVESCOVO WILTON DANIEL GREGORY, DI ATLANTA (STATI UNITI D’AMERICA). “La Chiesa negli Stati Uniti d’America continua a trarre beneficio da quei popoli africani giunti di recente nel nostro paese come visitatori e nuovi residenti. Diversamente dal passato, quando gli uomini arrivavano incatenati come bestiame umano, oggi giungono a noi operai specializzati, esperti uomini d’affari e studenti che non vedono l’ora di costruirsi una vita nuova in una terra che essi considerano promessa. Molte di queste persone portano con sé una fede cattolica profonda e dinamica con la sua ricca eredità spirituale. Queste persone straordinarie ci sfidano a riscoprire le nostre tradizioni spirituali, spesso messe da parte per gli effetti della nostra ricerca orientata a ciò che è secolare”.
ASIA. ARCIVESCOVO ORLANDO B. QUEVEDO, O.M.I., DI COTABATO, (FILIPPINE), SEGRETARIO GENERALE DELLA “FEDERATION OF ASIAN BISHOPS’ CONFERENCES” (F.A.B.C.). “La Chiesa in Africa e la Chiesa in Asia stanno sollevando interrogativi analoghi di grande importanza (…). Secondo me la Chiesa in Africa sta esplorando le implicazioni teologiche e pastorali della Chiesa come famiglia di Dio. Noi, in Asia, guidati dalle Sacre Scritture e dal magistero vivo della Chiesa, riteniamo di essere stati condotti dallo Spirito Santo a studiare, nel contesto asiatico, la teologia della Chiesa in quanto Comunione e umile Servitore del Vangelo e delle popolazioni asiatiche. Questa ottica teologica ha aperto l’opzione pastorale del rinnovamento radicale in corso nella Chiesa in Asia, un’opzione più dell’essere che del fare. (…) La Chiesa in Africa e la Chiesa in Asia conoscono esperienze simili di dolore e di gioia. Il dolore: per le molte forze di una cultura di morte, che sia l’Ecclesia in Africa sia l’Ecclesia in Asia trattano con profonda preoccupazione, quali l’aumento della povertà e l’emarginazione dei nostri popoli, gli attacchi continui contro il matrimonio e la famiglia tradizionale, le ingiustizie nei confronti delle donne e dei bambini, la nostra propensione a favorire le armi di distruzione rispetto allo sviluppo integrale, la nostra incapacità di competere con i potenti in un ordine economico globale che non è guidato da norme giuridiche e morali, l’intolleranza religiosa invece di un dialogo della ragione e della fede. (…) D’altra parte, proviamo grande gioia e speranza nei movimenti di giustizia e di pace (…). Per la solidarietà delle persone di buona volontà provenienti da classi sociali e tradizioni religiose diverse, al fine di adoperarsi per un ordine sociale più giusto, più pacifico e più fraterno”.
AUSTRALIA. VESCOVO PETER WILLIAM INGHAM, VESCOVO DI WOLLONGONG, PRESIDENTE DELLA “FEDERATION OF CATHOLIC BISHOPS’ CONFERENCES OF OCEANIA” (F.C.B.C.O.). “Come in Africa, la Chiesa esiste in Oceania grazie a missionari eroici provenienti soprattutto dall’Irlanda, dalla Francia, dalla Germania e dall’Italia. La fede in Oceania vanta alcuni straordinari esempi di martiri e di santi, oltre a quelli che sono già stati canonizzati e beatificati, ma senza avvicinarsi alla gloriosa tradizione di santi e martiri che testimoniano la fede in Africa. (…) La Chiesa e i suoi organismi stanno facendo molto per aiutare le persone a ritrovare il proprio equilibrio in seno alle loro comunità e a gestire i rischi derivanti dalle calamità naturali. Possiamo e dobbiamo imparare gli uni dagli altri. Chiedo le vostre preghiere per Samoa e Tonga nel loro grande dolore dopo il recente terremoto e lo tsunami. (…) L’instabilità politica e i conflitti del Pacifico (es. Fiji, Isole Salomone, Papua Nuova Guinea) non sono paragonabili a quelli dei paesi africani, ma identificando il ruolo della Chiesa come Corpo di Cristo per costruire ponti di pace e di riconciliazione, possiamo imparare dai vostri leader della Chiesa in Africa. I vostri successi in quanto Chiesa che promuove sforzi di pace e di riconciliazione in Africa sono assai utili alla Chiesa del mondo”.
EUROPA – CARDINALE PÉTER ERDO, ARCIVESCOVO DI ESZTERGOM-BUDAPEST, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DELLE CONFERENZE EPISCOPALI EUROPEE (C.C.E.E.) (UNGHERIA). “Cristo è la luce del mondo. Egli illumina anche le tenebre della storia umana e nessuna oscurità, nessun odio, nessun male può vincerlo. È in lui la nostra speranza. Anche se la voce della Chiesa e la testimonianza di ciascun cristiano sembrano deboli, anche se essa spesso non appare in prima pagina dei grandi mezzi di comunicazione, questa voce sottile è più forte di ogni rumore, bugia, propaganda o manipolazione. Siamo testimoni della forza dei martiri. (…) Cari Confratelli! Noi altri, cattolici d’Europa, abbiamo imparato dalla nostra storia a seguire con attenzione anche la sorte dei cristiani africani ed abbiamo imparato anche a stimare la Vostra fedeltà, la Vostra testimonianza, e i martiri africani che danno la loro vita ‑ anno per anno in numero preoccupante – per Cristo e per la Sua Chiesa, così anche per noi. La Chiesa in Africa ha meritato la nostra gratitudine e la nostra profonda stima”.
ARCIVESCOVO LAURENT MONSENGWO PASINYA, DI KINSHASA (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO). “Occorre riconoscere che lo spirito e la dinamica della Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi hanno dato un nuovo impulso alla vita e alla missione della Chiesa in Africa. Non solo le Chiese locali hanno accolto con entusiasmo l’Esortazione post-sinodale ‘Ecclesia in Africa’, che hanno pubblicato e presentato, ma per giunta ne hanno seguito le direttive, le opzioni e gli orientamenti sia per convocare sinodi diocesani, nazionali o regionali, sia per organizzare congressi, simposi o seminari sul tema-chiave della Chiesa-Famiglia di Dio, o ancora per elaborare progetti, piani e programmi pastorali fondati su questo stesso tema. (…) La Seconda Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi è chiamata ad avviare la Chiesa e la società in Africa sul cammino del perdono, della riconciliazione e della pace, grazie alla giustizia nella verità”.
“Credo che noi, guide religiose e capi delle Chiese, abbiamo un compito e una responsabilità veramente unici: riconoscere e sostenere, quando lo riteniamo necessario, i suggerimenti che vengono dalle persone, come pure, per contro, respingerli quando contravvengono al rispetto e all’amore per l’uomo”.
“I capi religiosi africani” – ha affermato – “non devono preoccuparsi solo delle opere sociali, ma rispondere alle grandi necessità spirituali degli uomini e delle donne d’Africa, per conoscere e sostenere, quando lo consideriamo necessario, i suggerimenti del nostro popolo, e di rigettarli quando sono contrari al rispetto e all’amore dell’essere umano. E’ necessario rafforzare la coscienza delle persone perché la vita, la pace e la giustizia siano rispettati. Per cui i Capi della Chiese africane, con il potere di Dio Onnipotente e dello Spirito Santo, devono dare voce al linguaggio della Chiesa”.
Il Papa ha risposto con brevi parole all’intervento del Patriarca Ortodosso. “La sua presenza” – ha detto Benedetto XVI – “è una testimonianza eloquente dell’antichità e delle ricche tradizioni della Chiesa in Africa. (…) La fedeltà al Vangelo del vostro popolo continua a manifestarsi non solo dall’obbedienza alla sua legge di amore, ma anche, come lei ci ha ricordato, dalla perseveranza fra le persecuzioni e il supermo sacrificio del martirio per il nome di Cristo”.
“Sua Santità ha ricordato che la proclamazione del Vangelo non può essere separata dall’impegno a costruire una società che sia conforme alla volontà di Dio, rispetti le benedizioni della sua creazione e protegga la dignità ed innocenza di tutti i bambini. In Cristo sappiamo che la riconciliazione è possibile, la giustizia può prevalere, la pace si può conquistare. Questo è il messaggio di speranza che noi siamo chiamati a proclamare. Questa è la promessa che il popolo africano anela a veder realizzata ai giorni nostri”.
Successivamente hanno preso la parola i Padri Sinodali, dei quali riportiamo una sintesi dell’intervento di alcuni di essi.
CARDINALE ANGELO SODANO, DECANO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO. “Oggi vediamo più chiaramente l’enormità dei disastri provocati dal nazionalismo e dall’esaltazione del concetto di razza. (…) Come dimenticare che anche in Africa la furia omicida fra differenti gruppi etnici ha sconvolto interi Paesi? (…) Credo che dovremo ripetere a tutti, con maggiore insistenza, che l’amore alla propria Nazione (in concreto, al proprio popolo, alla propria gente) è certo un dovere del cristiano, ma dovremo anche aggiungere che la deviazione del nazionalismo è totalmente anticristiana. (…) Il Cristianesimo ha favorito l’aggregazione delle genti di una determinata regione, dando vita al concetto di popolo o Nazione, con una propria specifica identità culturale. Il Cristianesimo ha però sempre condannato ogni deformazione di tale concetto di Nazione, una deformazione che sovente cadeva nel nazionalismo o addirittura nel razzismo, vera negazione dell’universalismo cristiano. In realtà, i due principi basilari della convivenza umana cristiana sono sempre stati i seguenti: la dignità di ogni persona umana, da una parte, e l’unità del genere umano, dall’altra. Sono i due confini invalicabili, entro i quali possono poi evolversi i vari concetti di Nazione, a seconda dei tempi e dei luoghi. (…) Vorrei dire che le attuali 53 Nazioni africane avranno un grande avvenire, nel concerto delle 192 Nazioni che compongono oggi l’intera famiglia umana, se sapranno superare le loro divisioni e cooperare congiuntamente per il progresso materiale e spirituale dei loro popoli”.
CARDINALE POLYCARP PENGO, ARCIVESCOVO DI DAR-ES-SALAAM (TANZANIA), PRESIDENTE DEL SIMPOSIO DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’AFRICA E MADAGACAR (SECAM). “Il tema di questo Sinodo è oggi particolarmente urgente per la Chiesa africana. Al fine di sviluppare e approfondire tale tema, come ci è stato richiesto, problemi quali l’egoismo, l’avidità e la ricchezza materiale, le questioni etniche che sfociano in conflitto e altre istanze che sono all’origine della mancanza di pace in molte società africane devono essere affrontati coraggiosamente e apertamente, e accompagnati da specifiche direttive pastorali. Le guerre e i conflitti che affliggono il nostro continente dividono i nostri popoli, seminando una cultura della violenza e distruggendo il tessuto spirituale, sociale e morale delle nostre società. È triste dover riconoscere che alcuni di noi pastori sono stati accusati di essere coinvolti in tali conflitti o per omissione o per partecipazione diretta. In questo Sinodo dobbiamo avere il coraggio di denunciare, persino contro noi stessi, l’abuso del ruolo e della pratica del potere, il tribalismo e l’etnocentrismo, lo schieramento politico dei capi religiosi eccetera… La Chiesa africana non potrà parlare a una sola voce di riconciliazione, giustizia e pace se nel continente è evidente la mancanza di unità, di comunione e il dovuto rispetto nei confronti del SECAM da parte dei singoli Vescovi, nonché delle conferenze episcopali nazionali e regionali”.
ARCIVESCOVO FIDELE AGBATCHI, DI PARAKOU (BENIN). “I Padri Sinodali possano comprendere quindi, al di là degli aspetti pratici più volte sottolineati dall”Instrumentum Laboris’, come fondare esegeticamente e teologicamente la riconciliazione, la giustizia e la pace sull’unico Dio Trinità e sulla sua opera nella Rivelazione, dall’Antico Testamento fino alla venuta del Figlio dell’Uomo. Una simile impresa da parte dei padri sinodali aiuterebbe l’Africa ad assumersi la propria responsabilità storica di fronte al Vangelo che ha ricevuto e che ha il dovere di donarsi inserendosi prepotentemente nella dinamica della metanoia. Questa responsabilità la costringerebbe a liberarsi dalla paura. In effetti, l’Africa ha paura e vive di paura. Conservando gelosamente per sé le sue scoperte riguardo al mondo e alla natura, si lascia istintivamente andare alla sfiducia, al sospetto, all’atteggiamento di autodifesa, all’aggressione, alla ciarlataneria, alla divinazione, all’occultismo e al sincretismo, tutte cose che hanno contribuito a offuscare la ricerca del vero Dio per millenni. Quanto è dunque attesa su questo continente – madre di tutti gli altri – la diffusione ancor più radiosa della luce del Cristo morto e risorto! Il mio augurio per questo Sinodo è quello di un futuro pasquale e, dopo le sue sofferenze, di una resurrezione dell’Africa”.
VESCOVO MAROUN ELIAS LAHHAM, DI TUNISI (TUNISIA). “La specificità delle relazioni islamo-cristiane nelle Chiese del Nord Africa può arricchire le esperienze di dialogo che si trovano in altre parti (in Europa o nell’Africa sub-sahariana e riduce le reazioni di paura e di rifiuto dell’Islam, che hanno cominciato a manifstarsi in alcuni paesi. Sappiamo che la paura non è una buona consigliera. (…) Due proposte: Che il Sinodo per il Medio Oriente previsto nell’ottobre 2010 includa anche la Diocesi dell’Africa del Nord, soprattutto per il rispetto delle minoranze cristiane e i rapporti di dialogo con l’Islam. Un colloquio sull’Islam in Africa, che tenga conto della varietà delle esperienza africane, da Tunisi a Johannesburg”.
La Quattordicesima Congregazione Generale dell’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi per la Relatio post disceptationem (Relazione dopo la discussione), si è tenuta nel pomeriggio di martedì 13 ottobre, alla presenza del Santo Padre. Presidente Delegato di turno é stato il Cardinale Francis Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Erano presenti 223 Padri. Offriamo un ampio riassunto della “Relatio post disceptationem”, letta dal Relatore Generale, il Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Arcivescovo di Cape Coast (Ghana).
IL COMPITO DELLA SECONDA ASSEMBLEA: DISGRAZIE O SFIDE PER L’AFRICA?