Lettere in redazione

I giovani, la morte e la fede

Caro Direttore,sono uno studente del quinto anno del Liceo «Machiavelli-Capponi» di Firenze. Le scrivo perché anche oggi entrando a scuola abbiamo respirato un’aria di morte. Stanotte una ragazza che frequentava il terzo anno è morta dopo una notte di coma irreversibile. La sera prima stava andando in discoteca, era in macchina con altri ragazzi. Il guidatore andava così forte che non si è fermato ad una rotonda e la macchina si è schiantata contro un albero.

La nostra scuola era già stata protagonista di grandi fatti di morte: tre anni fa, una ragazza che frequentava l’ultimo anno si è suicidata gettandosi da una finestra del terzo piano. Può immaginare il clima che abbiamo respirato nei giorni e mesi seguenti, pensi che questa ragazza era nella classe accanto alla mia. Oggi abbiamo rivissuto quel momento: le facce meste dei professori, i visi persi nel vuoto degli alunni, l’assenza fisica o psichica dei suoi amici più cari e dei parenti.

Il Signore sta parlando alla mia generazione e lo sta facendo con forza. Ci sta parlando attraverso la sofferenza più estrema, attraverso la morte. Non molto tempo fa altri ragazzi sono morti o rimasti gravemente feriti a causa di incidenti stradali e la loro storia si è dovuta intrecciare obbligatoriamente con la nostra fede di cristiani. Sto scoprendo sempre di più che questo mondo non può darci niente. Non può darci amicizie vere perché la parola d’ordine del mondo è “ESSERE” e se non sei nessuno o non appari, rimarrai sempre solo. Non può darti la felicità perché non dura più di 30 secondi. Non può darti la consolazione perché la sera quando arrivi a dormire ti ritrovi solo; solo coi tuoi problemi insormontabili, solo perché i tuoi genitori si stanno separando, solo perché nessuno ti ama.

Non pensa anche lei che per noi cristiani sia pronta una nuova missione, cioè quella di ricominciare una nuova evangelizzazione? Tanti Santi hanno viaggiato in tutto il mondo per annunciare il Cristo Risorto, ma forse per il nostro tempo è necessario partire, non dall’Africa o dall’Asia, ma da casa nostra, dalla nostra via, dalla nostra parrocchia. È necessario far conoscere alla mia generazione che c’è un Dio che li ama, che è arrivato a morire per ognuno di noi, ma che è Risorto e ha distrutto la Morte. Posso assicurarle che queste persone stanno aspettando solo noi.

Scandicci (Fi)

Quando muore un compagno di scuola o per incidente stradale, troppo spesso determinato dall’alta velocità e anche da un certo sprezzo del pericolo, o per suicidio, che resta pur sempre inspiegabile nelle sue motivazione profonde, emergono quasi di necessità le considerazioni che tu fai, caro Marco, ed è positivo, se si uniscono ad un appello pressante a non buttare via la vita che è sempre potenzialità di futuro, di gioia, di pienezza, anche su un piano solamente umano.

Il fatto è che molti giovani non sanno dare – e in questo non sono aiutati – un senso alla propria vita che spinge e aiuta a tracciare e a percorrere, pur nelle difficoltà, un cammino che porti ad una realizzazione. E allora il vuoto predomina e la vita sembra inutile e si può mettere in gioco con ogni sorta di sballo. Questa è purtroppo la condizione di tanti giovani che però, anche inconsciamente, si aspettano e desiderano una parola di speranza. E qui la «buona novella» del Vangelo può aiutare e va pronunziata e soprattutto testimoniata. Tu dici giustamente che oggi di evangelizzazione necessitano anche i Paesi di antica tradizione come il nostro. E nella scuola i primi evangelizzatori devono essere i giovani credenti. È quell’apostolato d’ambiente, di cui già parlava Paolo VI.

Senza cartellini – «io sono cattolico» – ma con il saper stare con gli altri con qualcosa in più che colpisce e fa pensare.

Alberto Migone