Benedetto XVI
I discorsi per la XX Gmg a Colonia
Con profonda gioia mi trovo oggi per la prima volta, dopo la mia elezione alla Cattedra di Pietro, nella mia cara patria, la Germania. Con viva emozione ringrazio Dio che mi ha concesso di iniziare le visite pastorali al di fuori dei confini dell’Italia proprio con la visita alla Nazione che mi ha dato i natali. Vengo a Colonia in occasione della XX Giornata Mondiale della Gioventù, che da tempo il mio Predecessore, l’indimenticabile Papa Giovanni Paolo II, aveva programmato e predisposto. Sono sinceramente grato a tutti voi qui presenti per la calorosa accoglienza che mi è stata riservata. Il mio deferente saluto va innanzitutto al Presidente della Repubblica Federale, Signor Horst Köhler, che ringrazio per le cortesi parole di benvenuto rivoltemi a nome di tutti i cittadini della Repubblica Federale di Germania. Estendo questo mio rispettoso e grato pensiero ai Rappresentanti del Governo, ai Membri del Corpo diplomatico e alle Autorità civili e militari. Con affetto fraterno saluto poi il Pastore dell’Arcidiocesi di Colonia, il Cardinale Joachim Meisner. Insieme con lui saluto gli altri Presuli, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e quanti prestano la loro preziosa collaborazione alle diverse attività pastorali nelle Diocesi di lingua tedesca. Desidero in questo momento abbracciare col pensiero e con l’affetto tutti gli abitanti dei diversi Länder della Repubblica Federale di Germania.
In questi giorni di più intensa preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù, le Diocesi della Germania e, in particolare, la Diocesi e la Città di Colonia si sono animate per la presenza di tanti giovani, provenienti da diverse parti del mondo. Ringrazio quanti hanno offerto la loro competente e generosa collaborazione per l’organizzazione di questo evento ecclesiale di portata mondiale. Il mio pensiero riconoscente va alle parrocchie, agli istituti religiosi, alle associazioni, alle organizzazioni civili ed ai privati cittadini per la sensibilità dimostrata nell’offrire una calorosa e adeguata ospitalità alle migliaia di pellegrini qui convenuti dai vari continenti. La Chiesa che vive in Germania e l’intera popolazione della Repubblica Federale Tedesca possono vantare una vasta e consolidata tradizione di apertura alla mondialità, come testimoniano, tra l’altro, le tante iniziative di solidarietà, in particolare a favore dei Paesi in via di sviluppo.
Con questo spirito di sensibilità e di accoglienza verso quanti provengono da tradizioni e culture diverse, ci apprestiamo a vivere in Colonia la Giornata Mondiale della Gioventù. L’incontro di tanti giovani col Successore di Pietro è un segno della vitalità della Chiesa. Sono felice di stare in mezzo ai giovani, di sostenerne la fede e di animarne la speranza. Al tempo stesso, sono certo di ricevere anche qualcosa dai giovani, soprattutto dal loro entusiasmo, dalla loro sensibilità e dalla loro disponibilità ad affrontare le sfide del futuro. A loro, e a quanti li hanno accolti in queste giornate ricche di eventi, giunga fin d’ora il mio più cordiale saluto. Oltre agli intensi momenti di preghiera, di riflessione e di festa insieme con i giovani e con quanti prenderanno parte alle diverse manifestazioni in programma, avrò l’opportunità di incontrare i Vescovi, ai quali rivolgo fin d’ora il mio fraterno saluto. Vedrò poi i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, farò visita alla Sinagoga per incontrare la Comunità ebraica, ed accoglierò anche i rappresentanti di alcune Comunità islamiche. Si tratta di incontri importanti per intensificare il cammino di dialogo e di cooperazione nel comune impegno per la costruzione di un futuro più giusto e fraterno, che sia veramente a misura d’uomo.
Nel corso di questa Giornata Mondiale della Gioventù rifletteremo insieme sul tema “Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2). Si tratta di un’opportunità da non perdere per approfondire il significato dell’esistenza umana come “pellegrinaggio”, compiuto sotto la guida della “stella”, alla ricerca del Signore. Guarderemo insieme alle figure dei Magi che, provenendo da terre diverse e lontane, furono tra i primi a riconoscere in Gesù di Nazaret, nel Figlio della Vergine Maria, il Messia promesso, ed a prostrarsi davanti a Lui (cfr Mt 2,1-12). Alla memoria di queste figure emblematiche sono particolarmente legate la Comunità ecclesiale e la Città di Colonia. Come i Magi, tutti i credenti, in particolare i giovani, sono chiamati ad affrontare il cammino della vita alla ricerca della verità, della giustizia, dell’amore. E’ un cammino la cui meta risolutiva si può trovare soltanto mediante l’incontro con Cristo, un incontro che non si realizza senza la fede. In questo cammino interiore possono essere di aiuto i molteplici segni che la lunga e ricca tradizione cristiana ha lasciato in modo indelebile in questa terra di Germania: dai grandi monumenti storici alle innumerevoli opere d’arte sparse sul territorio, dai documenti conservati nelle biblioteche alle tradizioni vissute con intensa partecipazione popolare, dal pensiero filosofico alla riflessione teologica di tanti suoi pensatori, dall’eredità spirituale all’esperienza mistica di una schiera di santi. Si tratta di un ricchissimo patrimonio culturale e spirituale che ancora oggi, nel cuore dell’Europa, testimonia la fecondità della fede e della tradizione cristiana. La Diocesi e la Regione di Colonia, in particolare, conservano la memoria viva di grandi testimoni della civiltà cristiana. Penso, tra gli altri, a san Bonifacio, a sant’Orsola, a sant’Alberto Magno e, in tempi più recenti, a santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) e al beato Adolph Kolping. Questi nostri illustri fratelli nella fede, che lungo i secoli hanno tenuto alta la fiaccola della santità, siano “modelli” e “patroni” della Giornata Mondiale della Gioventù che si sta qui celebrando.
Mentre rinnovo a tutti voi qui presenti il mio più caloroso ringraziamento per la cortese accoglienza, prego il Signore per il futuro cammino della Chiesa e dell’intera società in questa Repubblica Federale di Germania, a me tanto cara. La sua lunga storia e i grandi traguardi sociali, economici e culturali raggiunti, siano di stimolo a proseguire con rinnovato impegno sulla via dell’autentico progresso e dello sviluppo solidale non solo per la Nazione tedesca, ma anche per gli altri popoli del Continente. La Vergine Maria, che presentò il Bambino Gesù ai Magi giunti a Betlemme per adorare il Salvatore, continui ad intercedere per noi, così come da secoli veglia sul Popolo della Germania dai tanti Santuari sparsi nei Länder tedeschi. Il Signore benedica voi qui presenti, come pure tutti i pellegrini e gli abitanti del Paese. Dio protegga la Repubblica Federale di Germania!
Con immensa gioia vi saluto e vi accolgo, cari giovani, qui venuti da vicino o da lontano, camminando sulle strade del mondo e su quelle della vostra vita. Un particolare saluto rivolgo a quanti sono venuti dall'”Oriente”, come i Magi. Voi siete i rappresentanti delle innumerevoli folle di nostri fratelli e sorelle in umanità, che aspettano senza saperlo il sorgere della stella nei loro cieli per essere condotti a Cristo, Luce delle Genti, e per trovare in Lui la risposta appagante per la sete dei loro cuori. Saluto con affetto anche quanti tra voi non sono battezzati, quanti non conoscono ancora Cristo o non si riconoscono nella Chiesa. Proprio a voi il Papa Giovanni Paolo II ha rivolto un particolare invito a questo incontro; vi ringrazio di aver deciso di venire a Colonia. Qualcuno tra voi potrebbe forse far propria la descrizione che Edith Stein faceva della propria adolescenza, lei che visse poi nel Carmelo di Colonia: “Avevo coscientemente e deliberatamente perso l’abitudine di pregare”. Durante queste giornate, potrete rifare l’esperienza toccante della preghiera come dialogo con Dio, da cui ci sappiamo amati e che vogliamo amare a nostra volta. A tutti vorrei dire con insistenza: spalancate il vostro cuore a Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo! Concedetegli il “diritto di parlarvi” durante questi giorni! Aprite le porte della vostra libertà al suo amore misericordioso! Esponete le vostre gioie e le vostre pene a Cristo, lasciando che Egli illumini con la sua luce la vostra mente e tocchi con la sua grazia il vostro cuore. In questi giorni benedetti di condivisione e di gioia, fate l’esperienza liberatrice della Chiesa come luogo della misericordia e della tenerezza di Dio verso gli uomini. Nella Chiesa e mediante la Chiesa raggiungerete Cristo che vi aspetta.
Arrivando oggi a Colonia per partecipare con voi alla XX Giornata Mondiale della Gioventù, mi è spontaneo ricordare con emozione e riconoscenza il Servo di Dio tanto amato da tutti noi Giovanni Paolo II, che ebbe l’idea luminosa di chiamare a raccolta i giovani del mondo intero per celebrare insieme Cristo, unico Redentore del genere umano. Grazie al dialogo profondo che si è sviluppato nel corso di oltre vent’anni tra il Papa e i giovani, molti di loro hanno potuto approfondire la fede, stringere legami di comunione, appassionarsi alla Buona Novella della salvezza in Cristo e proclamarla in tante parti della terra. Questo grande Papa ha saputo capire le sfide che si presentano ai giovani di oggi e, confermando la sua fiducia in loro, non ha esitato ad incitarli ad essere coraggiosi annunciatori del Vangelo e intrepidi costruttori della civiltà della verità, dell’amore e della pace.
Oggi tocca a me raccogliere questa straordinaria eredità spirituale che Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato. Lui vi ha amati, voi l’avete capito e lo avete ricambiato con lo slancio della vostra età. Ora tutti insieme abbiamo il compito di metterne in pratica gli insegnamenti. Con questo impegno siamo qui a Colonia, pellegrini sulle orme dei Magi. Secondo la tradizione, i loro nomi in lingua greca erano Melchiorre, Gaspare e Baldassarre. Nel suo Vangelo, Matteo riporta la domanda che ardeva nel cuore dei Magi: “Dov’è il Re dei Giudei che è nato?” (Mt 2,2). La ricerca di Lui era il motivo per cui avevano affrontato il lungo viaggio fino a Gerusalemme. Per questo avevano sopportato fatiche e privazioni senza cedere allo scoraggiamento e alla tentazione di ritornare sui loro passi. Ora che erano vicini alla meta, non avevano da porre altra domanda che questa. Anche noi siamo venuti a Colonia perché sentivamo urgere nel cuore, sebbene in forma diversa, la stessa domanda che spingeva gli uomini dall’Oriente a mettersi in cammino. E’ vero che noi oggi non cerchiamo più un re; ma siamo preoccupati per la condizione del mondo e domandiamo: Dove trovo i criteri per la mia vita, dove i criteri per collaborare in modo responsabile all’edificazione del presente e del futuro del nostro mondo? Di chi posso fidarmi a chi affidarmi? Dov’è Colui che può offrirmi la risposta appagante per le attese del cuore? Porre simili domande significa innanzi tutto riconoscere che il cammino non è concluso fino a quando non si è incontrato Colui che ha il potere di instaurare quel Regno universale di giustizia e di pace a cui gli uomini aspirano, ma che non sanno costruire da soli. Porre tali domande significa poi cercare Qualcuno che non si inganna e non può ingannare ed è perciò in grado di offrire una certezza così salda da consentire di vivere per essa e, nel caso, anche di morire.
Quando all’orizzonte dell’esistenza tale risposta si profila bisogna, cari amici, saper fare le scelte necessarie. E’ come quando ci si trova ad un bivio: quale strada prendere? Quella suggerita dalle passioni o quella indicata dalla stella che brilla nella coscienza? I Magi, udita la risposta: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta” (Mt 2,5), scelsero di continuare la strada e di andare fino in fondo, illuminati da questa parola. Da Gerusalemme andarono a Betlemme, ossia dalla parola che indicava loro dov’era il Re dei Giudei che stavano cercando fino all’incontro con quel Re che era al contempo l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Quella parola è detta anche per noi. Anche noi dobbiamo fare la nostra scelta. In realtà, a ben pensare, è proprio questa l’esperienza che facciamo nella partecipazione ad ogni Eucaristia. In ogni Messa, infatti, l’incontro con la Parola di Dio ci introduce alla partecipazione al mistero della croce e risurrezione di Cristo e così ci introduce alla Mensa eucaristica, all’unione con Cristo. Sull’altare è presente Colui che i Magi videro steso sulla paglia: Cristo, il Pane vivo disceso dal cielo per dare la vita al mondo, il vero Agnello che dà la propria vita per la salvezza dell’umanità. Illuminati dalla Parola, è sempre a Betlemme – la “Casa del pane” – che potremo fare l’incontro sconvolgente con l’inconcepibile grandezza di un Dio che si è abbassato fino al punto di mostrarsi nella mangiatoia, di darsi come cibo sull’altare.
Possiamo immaginare lo stupore dei Magi davanti al Bambino in fasce! Solo la fede permise loro di riconoscere nei tratti di quel bambino il Re che cercavano, il Dio verso il quale la stella li aveva orientati. In Lui, colmando il fossato esistente tra il finito e l’infinito, tra il visibile e l’invisibile, l’Eterno è entrato nel tempo, il Mistero si è fatto conoscere consegnandosi a noi nelle membra fragili di un piccolo bambino. “I Magi sono pieni di stupore davanti a ciò che vedono; il cielo sulla terra e la terra nel cielo; l’uomo in Dio e Dio nell’uomo; vedono racchiuso in un piccolissimo corpo chi non può essere contenuto da tutto il mondo” (San Pietro Crisologo, Sermone 160, n. 2). Durante queste giornate, in quest'”Anno dell’Eucaristia”, ci volgeremo con lo stesso stupore verso Cristo presente nel Tabernacolo della misericordia, nel Sacramento dell’Altare.
Cari giovani, la felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth, nascosto nell’Eucaristia. Solo lui dà pienezza di vita all’umanità! Con Maria, dite il vostro “sì” a quel Dio che intende donarsi a voi. Vi ripeto oggi quanto ho detto all’inizio del mio pontificato: “Chi fa entrare Cristo [nella propria vita] non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No, solo in questa amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in questa amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in questa amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera” (Omelia per l’inizio del ministero di Supremo Pastore, 24 aprile 2005). Siatene pienamente convinti: Cristo nulla toglie di quanto avete in voi di bello e di grande, ma porta tutto a perfezione per la gloria di Dio, la felicità degli uomini, la salvezza del mondo.
In queste giornate vi invito ad impegnarvi senza riserve a servire Cristo, costi quel che costi. L’incontro con Gesù Cristo vi permetterà di gustare interiormente la gioia della sua presenza viva e vivificante per poi testimoniarla intorno a voi. Che la vostra presenza in questa città sia già il primo segno di annuncio del Vangelo mediante la testimonianza del vostro comportamento e della vostra gioia di vivere. Facciamo salire dal nostro cuore un inno di lode e di azione di grazie al Padre per i tanti benefici che ci ha concesso e per il dono della fede che celebreremo insieme, manifestandolo al mondo da questa terra posta al centro dell’Europa, di un’Europa che molto deve al Vangelo e ai suoi testimoni lungo i secoli. Mi farò ora pellegrino alla cattedrale di Colonia per venerarvi le reliquie dei santi Magi, che hanno accettato di lasciare tutto per seguire la stella che li guidava al Salvatore del genere umano. Anche voi, cari giovani, avete già avuto, o avrete, l’occasione di fare lo stesso pellegrinaggio. Queste reliquie non sono che il segno fragile e povero di ciò che essi furono e di ciò che essi vissero tanti secoli or sono. Le reliquie ci indirizzano a Dio stesso: è Lui infatti che, con la forza della sua grazia, concede ad esseri fragili il coraggio di testimoniarlo davanti al mondo. Invitandoci a venerare i resti mortali dei martiri e dei santi, la Chiesa non dimentica che, in definitiva, si tratta sì di povere ossa umane, ma di ossa che appartenevano a persone visitate dalla potenza trascendente di Dio. Le reliquie dei santi sono tracce di quella presenza invisibile ma reale che illumina le tenebre del mondo, manifestando il Regno dei cieli che è dentro di noi. Esse gridano con noi e per noi: “Maranatha!” – “Vieni Signore Gesù!”. Carissimi, con queste parole vi saluto e vi do appuntamento alla veglia di sabato sera. A tutti, arrivederci!
La città di Colonia non sarebbe quella che è senza i Re Magi, che tanto hanno inciso sulla sua storia, la sua cultura e la sua fede. Qui la Chiesa celebra, in un certo senso, tutto l’anno la festa dell’Epifania! Perciò, prima di rivolgermi a voi davanti a questa magnifica cattedrale, ho voluto raccogliermi qualche istante in preghiera davanti al reliquiario dei tre Re Magi, rendendo grazie a Dio per la loro testimonianza di fede, di speranza e di amore. Partite da Milano nel 1164, le reliquie dei Magi, scortate dall’Arcivescovo di Colonia Reinald von Dassel, superarono le Alpi per giungere a Colonia dove furono accolte con grandi manifestazioni di giubilo. Peregrinando per l’Europa, tali reliquie hanno lasciato tracce evidenti, che ancor oggi sussistono nella toponomastica e nella devozione popolare. Per i Re Magi gli abitanti di Colonia hanno fatto fabbricare il reliquiario più prezioso dell’intero mondo cristiano e, come se ciò non bastasse, hanno elevato su di esso un reliquiario ancora più grande, questa stupenda cattedrale gotica che, dopo le ferite della guerra, è tornata ad offrirsi agli occhi dei visitatori in tutto lo splendore della sua bellezza. Con Gerusalemme la “Città Santa”, con Roma la “Città Eterna”, con Santiago di Compostela in Spagna, Colonia, grazie ai Magi, è divenuta nel corso dei secoli uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti dell’Occidente cristiano.
Colonia non è, tuttavia, soltanto la città dei Magi. Essa è profondamente segnata dalla presenza di tanti santi che, mediante la testimonianza della loro vita e la traccia lasciata nella storia del popolo tedesco, hanno contribuito alla crescita dell’Europa su radici cristiane. Penso in modo particolare ai martiri ed alle martiri dei primi secoli, come la giovane Sant’Orsola e le sue compagne che, secondo la tradizione, furono martirizzate sotto Diocleziano. E come non evocare San Bonifacio, l’apostolo della Germania, che di Colonia fu eletto Vescovo nel 745 con il consenso del Papa Zaccaria? Ma a questa città è legato anche il nome di Sant’Alberto Magno, il cui corpo riposa qui vicino, nella cripta della chiesa di Sant’Andrea. A Colonia fu discepolo di Alberto Magno San Tommaso d’Aquino, il quale poi vi fu anche professore. Senza dimenticare il beato Adolph Kolping -morto a Colonia nel 1865 -, che da calzolaio si fece sacerdote e fondò numerose opere sociali, soprattutto nel campo della formazione professionale. Venendo più vicino a noi, il pensiero va a Edith Stein, eminente filosofa ebrea del XXº secolo, che entrò nel Carmelo di Colonia con il nome di Teresa Benedetta della Croce, e morì nel campo di concentramento di Auschwitz. Il Papa Giovanni Paolo II l’ha canonizzata e dichiarata Compatrona dell’Europa con Santa Brigida di Svezia e Santa Caterina da Siena.
Con questi e con tutti gli altri santi, noti e ignoti, noi scopriamo il volto più intimo e più vero di questa città e prendiamo coscienza del patrimonio di valori che ci è stato consegnato dalle generazioni cristiane che ci hanno preceduto. E’ un patrimonio molto ricco. Spetta a noi esserne all’altezza. E’ una responsabilità che le pietre stesse degli antichi edifici della città ci ricordano. Sui valori spirituali, del resto, è possibile attivare una comprensione reciproca tra gli uomini e i popoli, tra culture e civiltà anche diverse. Rivolgo in questo contesto un caloroso saluto ai rappresentanti delle diverse confessioni cristiane e delle altre religioni. Tutti ringrazio per la loro presenza a Colonia in occasione di questo grande raduno, sperando che esso possa segnare un progresso sulla via della riconciliazione e dell’unità tra gli uomini. Colonia infatti non ci parla solo di Europa, ma ci apre all’universalità della Chiesa e del mondo. È qui che uno dei tre Magi è stato visto come un re moro, e quindi come il rappresentante del continente africano. Qui, secondo la tradizione, sono morti martiri san Gereone e compagni, della legione tebana. Indipendentemente dall’attendibilità strettamente storica di tali tradizioni, il culto fiorito nei secoli verso questi santi testimonia l’apertura universalistica dei fedeli di Colonia e, più in generale, della Chiesa cresciuta in Germania in virtù dell’azione apostolica di San Bonifacio. Questa apertura è stata confermata, in tempi recenti, da grandi iniziative caritative quali “Misereor”, “Adveniat”, “Missio” e “Renovabis”. Nate anch’esse a Colonia, queste opere rendono presente la carità di Cristo in tutti i continenti.
Ora siete qui voi, giovani del mondo intero, rappresentanti di quei popoli lontani che riconobbero Cristo attraverso i Magi e che furono riuniti nel nuovo Popolo di Dio, la Chiesa, che raccoglie uomini e donne di ogni cultura. A voi oggi il compito di vivere il respiro universale della Chiesa. Lasciatevi infiammare dal fuoco dello Spirito, affinché una nuova Pentecoste rinnovi i vostri cuori. Mediante voi, i vostri coetanei di ogni parte della terra giungano a riconoscere in Cristo la vera risposta alle loro attese e si aprano ad accogliere il Verbo di Dio incarnato, che è morto e risorto per la salvezza del mondo.
Schalom lêchém! Era mio profondo desiderio, in occasione della mia prima visita in Germania dopo l’elezione a successore dell’apostolo Pietro, di incontrare la comunità ebraica di Colonia e i rappresentanti del giudaismo tedesco. Con questa visita vorrei riallacciarmi all’evento del 17 novembre 1980, quando il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II nel suo primo viaggio in Germania, incontrò a Magonza il Comitato Centrale Ebraico in Germania e la Conferenza Rabbinica. Voglio confermare anche in questa circostanza che intendo continuare il cammino verso il miglioramento dei rapporti e dell’amicizia con il popolo ebraico, in cui Papa Giovanni Paolo II ha fatto passi decisivi (cfr Discorso alla Delegazione dell’International Jewish Committee on Interreligious Consultations del 9 giugno 2005: L’Oss. Rom. 10 giugno 2005, p. 5).
La comunità ebraica di Colonia può sentirsi veramente “a casa” in questa città. È questa, infatti, la sede più antica di una comunità ebraica sul territorio tedesco: risale alla Colonia dell’epoca romana. La storia dei rapporti tra comunità ebraica e comunità cristiana è complessa e spesso dolorosa. Ci sono stati periodi di buona convivenza, ma c’è stata anche la cacciata degli ebrei da Colonia nell’anno 1424. Nel XX secolo, poi, nel tempo più buio della storia tedesca ed europea, una folle ideologia razzista, di matrice neopagana, fu all’origine del tentativo, progettato e sistematicamente messo in atto dal regime, di sterminare l’ebraismo europeo: si ebbe allora quella che è passata alla storia come la Shoà. Le vittime di questo crimine inaudito, e fino a quel momento anche inimmaginabile, ammontano nella sola Colonia a 7.000 conosciute per nome; in realtà, sono state sicuramente molte di più. Non si riconosceva più la santità di Dio, e per questo si calpestava anche la sacralità della vita umana.
Quest’anno si celebra il 60o anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti, nei quali milioni di ebrei uomini, donne e bambini sono stati fatti morire nelle camere a gas e bruciati nei forni crematori. Faccio mie le parole scritte dal mio venerato Predecessore in occasione del 60o anniversario della liberazione di Auschwitz e dico anch’io: “Chino il capo davanti a tutti coloro che hanno sperimentato questa manifestazione del mysterium iniquitatis”. Gli avvenimenti terribili di allora devono “incessantemente destare le coscienze, eliminare conflitti, esortare alla pace” (Messaggio per la liberazione di Auschwitz: 15 gennaio 2005). Dobbiamo ricordarci insieme di Dio e del suo sapiente progetto sul mondo da Lui creato: Egli, ammonisce il Libro della Sapienza, è “amante della vita” (11,26).
Ricorre quest’anno anche il 40° anniversario della promulgazione della Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha aperto nuove prospettive nei rapporti ebreo-cristiani all’insegna del dialogo e della solidarietà. Questa Dichiarazione, nel quarto capitolo, ricorda le nostre radici comuni e il ricchissimo patrimonio spirituale che gli ebrei e i cristiani condividono. Sia gli ebrei che i cristiani riconoscono in Abramo il loro padre nella fede (cfr Gal 3,7; Rm 4,11s), e fanno riferimento agli insegnamenti di Mosè e dei profeti. La spiritualità degli ebrei come quella dei cristiani si nutre dei Salmi. Con l’apostolo Paolo, i cristiani sono convinti che “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29; cfr 9,6.11; 11,1s). In considerazione della radice ebraica del cristianesimo (cfr Rm 11,1624), il mio venerato Predecessore, confermando un giudizio dei Vescovi tedeschi, affermò: “Chi incontra Gesù Cristo incontra l’ebraismo” (Insegnamenti, vol. III/2, 1980, p. 1272).
Accanto alle relazioni ufficiali, grazie soprattutto alla collaborazione tra gli specialisti in scienze bibliche, sono nate molte amicizie. Ricordo, a questo proposito, le varie dichiarazioni della Conferenza Episcopale Tedesca e l’attività benefica della “Società per la collaborazione cristiano-ebraica di Colonia”, che ha contribuito a far sì che la comunità ebraica, a partire dall’anno 1945, potesse di nuovo sentirsi “a casa” qui a Colonia e instaurasse una buona convivenza con le comunità cristiane. Resta però ancora molto da fare. Dobbiamo conoscerci a vicenda molto di più e molto meglio. Perciò incoraggio un dialogo sincero e fiducioso tra ebrei e cristiani: solo così sarà possibile giungere ad un’interpretazione condivisa di questioni storiche ancora discusse e, soprattutto, fare passi avanti nella valutazione, dal punto di vista teologico, del rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Questo dialogo, se vuole essere sincero, non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti o minimizzarle: anche nelle cose che, a causa della nostra intima convinzione di fede, ci distinguono gli uni dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci a vicenda.
Perché i Magi da paesi lontani andarono a Betlemme? La risposta è legata al mistero della “stella” che essi videro “sorgere” e che identificarono come la stella del “re dei Giudei”, cioè come il segno della nascita del Messia (cfr Mt 2,2). Quindi il loro viaggio fu mosso dalla forza di una speranza, che nella stella ottenne poi la sua conferma e ricevette la sua guida verso il “re dei Giudei”, verso la regalità di Dio stesso. I Magi partirono perché nutrivano un desiderio grande, che li spingeva a lasciare tutto e a mettersi in cammino. Era come se aspettassero da sempre quella stella. Come se quel viaggio fosse da sempre inscritto nel loro destino, che ora finalmente si realizzava. Cari amici, è questo il mistero della chiamata, della vocazione; mistero che coinvolge la vita di ogni cristiano, ma che si manifesta con maggiore evidenza in coloro che Cristo invita a lasciare tutto per seguirlo più da vicino. Il seminarista vive la bellezza della chiamata nel momento che potremmo definire di “innamoramento”. Il suo animo è colmo di stupore, che gli fa dire nella preghiera: Signore, perché proprio a me? Ma l’amore non ha “perché”, è dono gratuito, a cui si risponde con il dono di sé.
Il seminario è tempo destinato alla formazione e al discernimento. La formazione, come ben sapete, ha diverse dimensioni, che convergono nell’unità della persona: essa comprende l’ambito umano, spirituale e culturale. Il suo scopo più profondo è di far conoscere intimamente quel Dio che in Gesù Cristo ci ha mostrato il suo volto. Per questo è necessario uno studio approfondito della Sacra Scrittura come anche della fede e della vita della Chiesa, nella quale la Scrittura permane come parola vivente. Tutto ciò deve collegarsi con le domande della nostra ragione e quindi con il contesto della vita umana di oggi. Questo studio, a volte, può sembrare faticoso, ma esso costituisce una parte insostituibile del nostro incontro con Cristo e della nostra chiamata ad annunciarlo. Tutto concorre a sviluppare una personalità coerente ed equilibrata, in grado di assumere validamente, per poi compiere responsabilmente la missione presbiterale. Decisivo è il ruolo dei formatori: la qualità del presbiterio in una Chiesa particolare dipende in buona parte da quella del seminario, e perciò dalla qualità dei responsabili della formazione. Cari seminaristi, proprio per questo con viva riconoscenza oggi preghiamo per tutti i vostri superiori, professori ed educatori, che sentiamo spiritualmente presenti a questo incontro. Chiediamo al Signore che possano assolvere nel modo migliore il compito così importante a loro affidato. Il seminario è tempo di cammino, di ricerca, ma soprattutto di scoperta di Cristo. Infatti, solo nella misura in cui fa una personale esperienza di Cristo, il giovane può comprendere in verità la sua volontà e quindi la propria vocazione. Più conosci Gesù e più il suo mistero ti attrae; più lo incontri e più sei spinto a cercarlo. E’ un movimento dello spirito che dura per tutta la vita, e che trova nel seminario una stagione carica di promesse, la sua “primavera”.
Giunti a Betlemme, i Magi, “entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2,11). Ecco finalmente il momento tanto atteso: l’incontro con Gesù. “Entrati nella casa”: questa casa rappresenta in un certo modo la Chiesa. Per incontrare il Salvatore, bisogna entrare nella casa che è la Chiesa. Durante il tempo del seminario nella coscienza del giovane seminarista avviene una maturazione particolarmente significativa: egli non vede più la Chiesa “dall’esterno”, ma la sente per così dire “dall’interno” come la sua “casa”, perché casa di Cristo, dove abita “Maria sua madre”. Ed è proprio la Madre a mostrargli Gesù, suo Figlio, a presentarglielo, a farglielo in un certo modo vedere, toccare, prendere tra le braccia. Maria gli insegna a contemplarlo con gli occhi del cuore e a vivere di Lui. In ogni momento della vita di seminario si può sperimentare questa amorevole presenza della Madonna, che introduce ciascuno all’incontro con Cristo, nel silenzio della meditazione, nella preghiera e nella fraternità. Maria aiuta ad incontrare il Signore soprattutto nella Celebrazione eucaristica, quando nella Parola e nel Pane consacrato Egli si fa nostro quotidiano nutrimento spirituale.
“E prostratisi lo adorarono … e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt 2,11-12). E’ questo il culmine di tutto l’itinerario: l’incontro si fa adorazione, sboccia in un atto di fede e d’amore che riconosce in Gesù, nato da Maria, il Figlio di Dio fatto uomo. Come non vedere prefigurata nel gesto dei Magi la fede di Simon Pietro e degli altri Apostoli, la fede di Paolo e di tutti i santi, in particolare dei santi seminaristi e sacerdoti che hanno segnato i duemila anni di storia della Chiesa? Il segreto della santità è l’amicizia con Cristo e l’adesione fedele alla sua volontà. “Cristo è tutto per noi”, diceva Sant’Ambrogio; e San Benedetto esortava a nulla anteporre all’amore di Cristo. Cristo sia tutto per voi. A Lui, soprattutto voi, cari seminaristi, offrite ciò che avete di più prezioso, come suggeriva il venerato Giovanni Paolo II nel suo Messaggio per questa Giornata Mondiale: l’oro della vostra libertà, l’incenso della vostra preghiera ardente, la mirra del vostro affetto più profondo (cfr n. 4).
Il seminario è tempo di preparazione alla missione. I Magi “fecero ritorno” al loro Paese e certamente resero testimonianza dell’incontro con il Re dei Giudei. Anche voi, dopo il lungo e necessario itinerario formativo del seminario, sarete inviati per essere i ministri del Cristo; ciascuno di voi tornerà tra la gente come alter Christus. Nel viaggio di ritorno, i Magi dovettero affrontare certamente pericoli, fatiche, smarrimenti, dubbi… Non c’era più la stella a guidarli! Ormai la luce era dentro di loro. Ad essi spettava ormai custodirla e alimentarla nella costante memoria di Cristo, del suo Volto santo, del suo Amore ineffabile. Cari seminaristi! Se Dio vorrà, un giorno anche voi, consacrati dallo Spirito Santo, inizierete la vostra missione. Ricordatevi sempre le parole di Gesù: “Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). Se rimarrete in Cristo, porterete molto frutto. Non voi avete scelto lui, ma lui ha scelto voi (cfr Gv 15,16). Ecco il segreto della vostra vocazione e della vostra missione! Esso è conservato nel cuore immacolato di Maria, che veglia con amore materno su ognuno di voi. A Lei ricorrete sovente e con fiducia. Io vi assicuro il mio affetto e la mia preghiera quotidiana, mentre di cuore vi benedico.
Cari fratelli e sorelle in Cristo nostro comune Signore!
E’ una gioia per me, in occasione della mia visita in Germania, poter incontrare Voi, rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Vi saluto tutti molto cordialmente! Provenendo io stesso da questo Paese, conosco bene la situazione penosa che la rottura dell’unità nella professione della fede ha comportato per tante persone e tante famiglie. Anche per questo motivo, subito dopo la mia elezione a Vescovo di Roma, quale Successore dell’apostolo Pietro ho manifestato il fermo proposito di assumere il ricupero della piena e visibile unità dei cristiani come una priorità del mio Pontificato. Con ciò ho consapevolmente voluto ricalcare le orme di due miei grandi Predecessori: di Paolo VI che, ormai più di quarant’anni fa, firmò il Decreto conciliare sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, e di Giovanni Paolo II, che fece poi di questo documento il criterio ispiratore del suo agire. La Germania nel dialogo ecumenico riveste un posto di particolare importanza. Essa infatti non è solo il Paese d’origine della Riforma; è anche uno dei Paesi da cui è partito il movimento ecumenico del XX secolo. A seguito dei flussi migratori del secolo scorso, anche cristiani delle Chiese ortodosse e delle antiche Chiese dell’Oriente hanno trovato in questo Paese una nuova patria. Ciò ha indubbiamente favorito il confronto e lo scambio. Insieme ci rallegriamo nel constatare che il dialogo, col passare del tempo, ha suscitato una riscoperta della fratellanza e creato tra i cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali un clima più aperto e fiducioso. Il mio venerato Predecessore nella sua Enciclica Ut unum sint (1995) ha indicato proprio in questo un frutto particolarmente significativo del dialogo (cfr nn. 41s.; 64).
La fratellanza tra i cristiani non è semplicemente un vago sentimento e nemmeno nasce da una forma di indifferenza verso la verità. Essa è fondata sulla realtà soprannaturale dell’unico Battesimo, che ci inserisce nell’unico Corpo di Cristo (cfr 1 Cor 12,13; Gal 3,28; Col 2,12). Insieme confessiamo Gesù Cristo come Dio e Signore; insieme lo riconosciamo come unico mediatore tra Dio e gli uomini (cfr 1 Tm 2,5), sottolineando la nostra comune appartenenza a Lui (cfr Unitatis redintegratio, 22; Ut unum sint, 42). Su questo fondamento il dialogo ha portato i suoi frutti. Vorrei menzionare il riesame, auspicato da Giovanni Paolo II durante la sua prima visita in Germania nell’anno 1980, delle reciproche condanne e soprattutto la “Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione” (1999), che fu un risultato di tale riesame e portò ad un accordo su questioni fondamentali che fin dal XVI secolo erano oggetto di controversie. Bisogna inoltre riconoscere con gratitudine i risultati costituiti dalle varie comuni prese di posizione su importanti argomenti quali le fondamentali questioni sulla difesa della vita e sulla promozione della giustizia e della pace. Sono ben consapevole che molti cristiani in questo Paese, e non in questo soltanto, si aspettano ulteriori passi concreti di avvicinamento. Me li aspetto anch’io. Infatti è il comandamento del Signore, ma anche l’imperativo dell’ora presente, di continuare in modo convinto il dialogo a tutti i livelli della vita della Chiesa. Ciò deve ovviamente avvenire con sincerità e realismo, con pazienza e perseveranza nella fedeltà al dettato della coscienza. Non può esserci un dialogo a prezzo della verità; il dialogo deve svolgersi nella carità e nella verità.
Non intendo sviluppare qui un programma per i temi immediati del dialogo questo è compito dei teologi in collaborazione con i Vescovi. Mi sia concessa soltanto un’annotazione: le questioni ecclesiologiche, e specialmente quella del ministero consacrato, ossia del sacerdozio, sono connesse inscindibilmente con la questione sul rapporto tra Scrittura e Chiesa, sull’istanza cioè della giusta interpretazione della Parola di Dio e dello sviluppo di essa nella vita della Chiesa.
Una priorità urgente nel dialogo ecumenico è costituita poi dalle grandi questioni etiche poste dal nostro tempo; in questo campo gli uomini di oggi in ricerca si aspettano con buona ragione una risposta comune da parte dei cristiani, che, grazie a Dio, in molti casi si è trovata. Ma purtroppo non sempre. A causa di contraddizioni in questo campo la testimonianza evangelica e l’orientamento etico che dobbiamo ai fedeli e alla società perdono di forza, assumendo non di rado caratteristiche vaghe, e così veniamo meno al nostro dovere di dare al nostro tempo la testimonianza necessaria. Le nostre divisioni sono in contrasto con la volontà di Gesù e ci rendono inattendibili davanti agli uomini.
Che cosa significa ristabilire l’unità di tutti i cristiani? La Chiesa cattolica ha di mira il raggiungimento della piena unità visibile dei discepoli di Cristo secondo la definizione che ne ha dato il Concilio Ecumenico Vaticano II in vari suoi documenti (cfr Lumen gentium, nn. 8;13; Unitatis redintegratio, nn. 2;4 ecc.). Tale unità sussiste, secondo la nostra convinzione, nella Chiesa cattolica senza possibilità di essere perduta (cfr Unitatis redintegratio, n. 4). Essa non significa, tuttavia, uniformità in tutte le espressioni della teologia e della spiritualità, nelle forme liturgiche e nella disciplina. Unità nella molteplicità e molteplicità nell’unità: nell’Omelia per la solennità dei santi Pietro e Paolo, lo scorso 29 giugno, ho rilevato che piena unità e vera cattolicità vanno insieme. Condizione necessaria perché questa coesistenza si realizzi è che l’impegno per l’unità si purifichi e si rinnovi continuamente, cresca e maturi. A questo scopo può recare un suo contributo il dialogo. Esso è più di uno scambio di pensieri: è uno scambio di doni (cfr Ut unum sint, n. 28), nel quale le Chiese e le Comunità ecclesiali possono mettere a disposizione i loro tesori (cfr Lumen gentium, nn. 8;15; Unitatis redintegratio, nn. 3;14s; Ut unum sint, nn. 1014). E’ proprio grazie a questo impegno che il cammino può proseguire passo passo fino a giungere all’unità piena, quando finalmente arriveremo “tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13). E’ ovvio che un tale dialogo in fondo può svilupparsi solo in un contesto di sincera e coerente spiritualità. Non possiamo “fare” l’unità con le sole nostre forze. La possiamo soltanto ottenere come dono dello Spirito Santo. Perciò l’ecumenismo spirituale, e cioè la preghiera, la conversione e la santificazione della vita costituiscono il cuore del movimento ecumenico (cfr Unitatis redintegratio, n. 8; Ut unum sint, nn. 15s; 21 ecc.). Si potrebbe anche dire: la forma migliore di ecumenismo consiste nel vivere secondo il Vangelo.
Vedo un confortante motivo di ottimismo nel fatto che oggi si sta sviluppando una sorta di “rete” di collegamento spirituale tra cattolici e cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali: ciascuno si impegna nella preghiera, nella revisione della propria vita, nella purificazione della memoria, nell’apertura della carità. Il padre dell’ecumenismo spirituale, Paul Couturier, ha parlato a questo riguardo di un “chiostro invisibile”, che raccoglie tra le sue mura queste anime appassionate di Cristo e della sua Chiesa. Io sono convinto che, se un numero crescente di persone si unirà alla preghiera del Signore “perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21), una tale preghiera nel nome di Gesù non cadrà nel vuoto (cfr Gv 14,13; 15,7.16 ecc.). Con l’aiuto che viene dall’Alto, troveremo, nelle varie questioni tuttora aperte, soluzioni praticabili, e il desiderio di unità alla fine, quando e come Egli vorrà, sarà appagato. Invito tutti voi a percorrere, insieme con me, questa strada.
Per il testo effettivamente pronunciato (con numerose varianti) vedi www.chiesa.espressonline.it
Sono certo di interpretare anche il vostro pensiero nel porre in evidenza, tra le preoccupazioni, quella che nasce dalla constatazione del dilagante fenomeno del terrorismo. Continuano a ripetersi in varie parti del mondo azioni terroristiche, che seminano morte e distruzione, gettando molti nostri fratelli e sorelle nel pianto e nella disperazione. Gli ideatori e programmatori di questi attentati mostrano di voler avvelenare i nostri rapporti, servendosi di tutti i mezzi, anche della religione, per opporsi ad ogni sforzo di convivenza pacifica, leale e serena. Il terrorismo, di qualunque matrice esso sia, è una scelta perversa e crudele, che calpesta il diritto sacrosanto alla vita e scalza le fondamenta stesse di ogni civile convivenza. Se insieme riusciremo ad estirpare dai cuori il sentimento di rancore, a contrastare ogni forma di intolleranza e ad opporci ad ogni manifestazione di violenza, freneremo l’ondata di fanatismo crudele che mette a repentaglio la vita di tante persone, ostacolando il progresso della pace nel mondo. Il compito è arduo, ma non impossibile. Il credente infatti sa di poter contare, nonostante la propria fragilità, sulla forza spirituale della preghiera.
Cari amici, sono profondamente convinto che dobbiamo affermare, senza cedimenti alle pressioni negative dell’ambiente, i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace. La vita di ogni essere umano è sacra sia per i cristiani che per i musulmani. Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali. La dignità della persona e la difesa dei diritti che da tale dignità scaturiscono devono costituire lo scopo di ogni progetto sociale e di ogni sforzo posto in essere per attuarlo. E’ questo un messaggio scandito in modo inconfondibile dalla voce sommessa ma chiara della coscienza. E’ un messaggio che occorre ascoltare e far ascoltare: se se ne spegnesse l’eco nei cuori, il mondo sarebbe esposto alle tenebre di una nuova barbarie. Solo sul riconoscimento della centralità della persona si può trovare una comune base di intesa, superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la forza dirompente delle ideologie.
Nell’incontro che ho avuto in aprile con i Delegati delle Chiese e Comunità ecclesiali e con i rappresentanti di varie Tradizioni religiose dissi: “Vi assicuro che la Chiesa vuole continuare a costruire ponti di amicizia con i seguaci di tutte le religioni, al fine di ricercare il bene autentico di ogni persona e della società nel suo insieme” (in: L’Osservatore Romano, 25 aprile 2005, p. 4). L’esperienza del passato ci insegna che il rispetto mutuo e la comprensione non hanno sempre contraddistinto i rapporti tra cristiani e musulmani. Quante pagine di storia registrano le battaglie e le guerre affrontate invocando, da una parte e dall’altra, il nome di Dio, quasi che combattere il nemico e uccidere l’avversario potesse essere cosa a Lui gradita. Il ricordo di questi tristi eventi dovrebbe riempirci di vergogna, ben sapendo quali atrocità siano state commesse nel nome della religione. Le lezioni del passato devono servirci ad evitare di ripetere gli stessi errori. Noi vogliamo ricercare le vie della riconciliazione e imparare a vivere rispettando ciascuno l’identità dell’altro. La difesa della libertà religiosa, in questo senso, è un imperativo costante e il rispetto delle minoranze un segno indiscutibile di vera civiltà.
A questo proposito, è sempre opportuno richiamare quanto i Padri del Concilio Vaticano II hanno detto circa i rapporti con i musulmani. “La Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce… Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (Dichiarazione Nostra Aetate, n. 3).
Voi, stimati amici, rappresentate alcune Comunità musulmane esistenti in questo Paese nel quale sono nato, ho studiato e ho vissuto una buona parte della mia vita. Proprio per questo era mio desiderio incontrarvi. Voi guidate i credenti dell’Islam e li educate nella fede musulmana. L’insegnamento è il veicolo attraverso cui si comunicano idee e convincimenti. La parola è la strada maestra nell’educazione della mente. Voi avete, pertanto, una grande responsabilità nella formazione delle nuove generazioni. Insieme, cristiani e musulmani, dobbiamo far fronte alle numerose sfide che il nostro tempo ci propone. Non c’è spazio per l’apatia e il disimpegno ed ancor meno per la parzialità e il settarismo. Non possiamo cedere alla paura né al pessimismo. Dobbiamo piuttosto coltivare l’ottimismo e la speranza. Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi ad una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro. I giovani, provenienti da tante parti del mondo, sono qui a Colonia come testimoni viventi di solidarietà, di fratellanza e di amore. Vi auguro con tutto il cuore, cari amici musulmani, che il Dio misericordioso e compassionevole vi protegga, vi benedica e vi illumini sempre. Il Dio della pace sollevi i nostri cuori, alimenti la nostra speranza e guidi i nostri passi sulle strade del mondo.