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I discorsi nella visita in Albania
Incontro con le autorità (Salone dei ricevimenti del Palazzo Presidenziale (Tirana)
sono molto lieto di essere qui con voi, nella nobile terra di Albania, terra di eroi, che hanno sacrificato la vita per l’indipendenza del Paese, e terra di martiri, che hanno testimoniato la loro fede nei tempi difficili della persecuzione. Vi ringrazio per l’invito a visitare la vostra patria, chiamata “terra delle aquile”, e vi ringrazio anche per la vostra festosa accoglienza.
È trascorso ormai quasi un quarto di secolo da quando l’Albania ha ritrovato il cammino arduo ma avvincente della libertà. Essa ha permesso alla società albanese di intraprendere un percorso di ricostruzione materiale e spirituale, di mettere in moto tante energie e iniziative, di aprirsi alla collaborazione e agli scambi con i Paesi vicini dei Balcani e del Mediterraneo, con l’Europa e con il mondo intero. La libertà ritrovata vi ha permesso di guardare al futuro con fiducia e speranza, di avviare progetti e di ritessere relazioni di amicizia con le nazioni vicine e lontane.
Il rispetto dei diritti umani, – rispetto è una parola essenziale fra voi – il rispetto dei diritti umani tra cui spicca la libertà religiosa e di espressione del pensiero, è infatti condizione preliminare per lo stesso sviluppo sociale ed economico di un Paese. Quando la dignità dell’uomo viene rispettata e i suoi diritti vengono riconosciuti e garantiti, fioriscono anche la creatività e l’intraprendenza e la personalità umana può dispiegare le sue molteplici iniziative a favore del bene comune.
Mi rallegro in modo particolare per una felice caratteristica dell’Albania, che va preservata con ogni cura e attenzione: mi riferisco alla pacifica convivenza e alla collaborazione tra gli appartenenti a diverse religioni. Il clima di rispetto e fiducia reciproca tra cattolici, ortodossi e musulmani è un bene prezioso per il Paese e acquista un rilievo speciale in questo nostro tempo nel quale, da parte di gruppi estremisti, viene travisato l’autentico senso religioso e vengono distorte e strumentalizzate le differenze tra le diverse confessioni, facendone però un pericoloso fattore di scontro e di violenza, anziché occasione di dialogo aperto e rispettoso e di riflessione comune su ciò che significa credere in Dio e seguire la sua legge.
Nessuno pensi di poter farsi scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e sopraffazione! Nessuno prenda a pretesto la religione per le proprie azioni contrarie alla dignità dell’uomo e ai suoi diritti fondamentali, in primo luogo quello alla vita ed alla libertà religiosa di tutti!
Quanto accade in Albania dimostra invece che la pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile. La pacifica convivenza tra le differenti comunità religiose, infatti, è un bene inestimabile per la pace e per lo sviluppo armonioso di un popolo. E’ un valore che va custodito e incrementato ogni giorno, con l’educazione al rispetto delle differenze e delle specifiche identità aperte al dialogo ed alla collaborazione per il bene di tutti, con l’esercizio della conoscenza e della stima gli uni degli altri. È un dono che va sempre chiesto al Signore nella preghiera. Possa l’Albania proseguire sempre su questa strada, diventando per tanti Paesi un esempio a cui ispirarsi!
Signor Presidente, dopo l’inverno dell’isolamento e delle persecuzioni, è venuta finalmente la primavera della libertà. Attraverso libere elezioni e nuovi assetti istituzionali, si è consolidato il pluralismo democratico e questo ha favorito anche la ripresa delle attività economiche. Molti, specialmente all’inizio, mossi dalla ricerca di lavoro e di migliori condizioni di vita, hanno preso la via dell’emigrazione e contribuiscono a loro modo al progresso della società albanese. Molti altri hanno riscoperto le ragioni per rimanere in patria e costruirla dall’interno. Le fatiche e i sacrifici di tutti hanno cooperato al miglioramento delle condizioni generali.
La Chiesa Cattolica, da parte sua, ha potuto riprendere un’esistenza normale, ricostituendo la sua gerarchia e riannodando le fila di una lunga tradizione. Sono stati edificati o ricostruiti luoghi di culto, tra i quali spicca il Santuario della Madonna del Buon Consiglio a Scutari; sono state fondate scuole e importanti centri educativi e di assistenza, a disposizione dell’intera cittadinanza. La presenza della Chiesa e la sua azione vengono perciò giustamente percepite non solamente come un servizio alla comunità cattolica, bensì all’intera Nazione.
La beata Madre Teresa, insieme ai martiri che hanno eroicamente testimoniato la loro fede – a loro va il nostro più alto riconoscimento e la nostra preghiera – certamente gioiscono in Cielo per l’impegno degli uomini e donne di buona volontà nel far rifiorire la società e la Chiesa in Albania.
Ora, però, si presentano nuove sfide a cui dare risposta. In un mondo che tende alla globalizzazione economica e culturale, occorre fare ogni sforzo perché la crescita e lo sviluppo siano posti a disposizione di tutti e non solo di una parte della popolazione. Inoltre, tale sviluppo non sarà autentico se non sarà anche sostenibile ed equo, vale a dire se non terrà ben presenti i diritti dei poveri e non rispetterà l’ambiente. Alla globalizzazione dei mercati è necessario che corrisponda una globalizzazione della solidarietà; alla crescita economica deve accompagnarsi un maggior rispetto del creato; insieme ai diritti individuali vanno tutelati quelli delle realtà intermedie tra l’individuo e lo Stato, prima fra tutte la famiglia. L’Albania oggi può affrontare queste sfide in una cornice di libertà e di stabilità, che vanno consolidate e che fanno ben sperare per il futuro.
Ringrazio cordialmente ciascuno voi per la squisita accoglienza e, come fece san Giovanni Paolo II nell’aprile del 1993, invoco sull’Albania la protezione di Maria, Madre del Buon Consiglio, affidando a lei le speranze dell’intero popolo albanese. Dio effonda sull’Albania la sua grazia e la sua benedizione.
Omelia della Messa in piazza Madre Teresa, a Tirana
Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci dice che, oltre ai Dodici Apostoli, Gesù chiama altri settantadue discepoli e li manda nei villaggi e nelle città per annunciare il Regno di Dio (cfr Lc 10,1-9.17-20). Egli è venuto a portare nel mondo l’amore di Dio e vuole diffonderlo attraverso la comunione e la fraternità. Per questo forma subito una comunità di discepoli, una comunità missionaria, e li allena alla missione, ad “andare”. Il metodo missionario è chiaro e semplice: i discepoli vanno nelle case e il loro annuncio comincia con un saluto pieno di significato: «Pace a questa casa!» (v. 5). Non è solo un saluto, è anche un dono: la pace. Venendo oggi in mezzo a voi, cari fratelli e sorelle di Albania, in questa piazza dedicata ad una umile e grande figlia di questa terra, la beata Madre Teresa di Calcutta, voglio ripetervi questo saluto: pace nelle vostre case, pace nei vostri cuori, pace nella vostra Nazione! Pace!
Nella missione dei settantadue discepoli è rispecchiata l’esperienza missionaria della comunità cristiana di ogni tempo: il Signore risorto e vivente invia non solo i Dodici, ma la Chiesa intera, invia ogni battezzato ad annunciare il Vangelo a tutte le genti. Nel corso dei secoli, non sempre è stato accolto l’annuncio di pace portato dai messaggeri di Gesù; talvolta le porte si sono chiuse. In un recente passato, anche la porta del vostro Paese è stata chiusa, serrata con il catenaccio delle proibizioni e prescrizioni di un sistema che negava Dio e impediva la libertà religiosa. Coloro che avevano paura della verità e della libertà facevano di tutto per bandire Dio dal cuore dell’uomo ed escludere Cristo e la Chiesa dalla storia del vostro Paese, anche se esso era stato tra i primi a ricevere la luce del Vangelo. Nella seconda Lettura, infatti, abbiamo sentito il riferimento all’Illiria, che ai tempi dell’apostolo Paolo includeva anche il territorio dell’attuale Albania.
Ripensando a quei decenni di atroci sofferenze e di durissime persecuzioni contro cattolici, ortodossi e musulmani, possiamo dire che l’Albania è stata una terra di martiri: molti vescovi, sacerdoti, religiosi fedeli laici, ministri di culto di altre religioni, hanno pagato con la vita la loro fedeltà. Non sono mancate prove di grande coraggio e coerenza nella professione della fede. Quanti cristiani non si sono piegati davanti alle minacce, ma hanno proseguito senza tentennamenti sulla strada intrapresa! Mi reco spiritualmente a quel muro del cimitero di Scutari, luogo-simbolo del martirio dei cattolici dove si eseguivano le fucilazioni, e con commozione depongo il fiore della preghiera e del ricordo grato e imperituro. Il Signore è stato accanto a voi, carissimi fratelli e sorelle, per sostenervi; Egli vi ha guidato e consolato e infine vi ha sollevato su ali di aquila come un giorno fece con l’antico popolo d’Israele, come abbiamo sentito nella prima lettura. L’aquila, raffigurata nella bandiera del vostro Paese, vi richiami al senso della speranza, a riporre sempre la vostra fiducia in Dio, che non delude ma è sempre al nostro fianco, specialmente nei momenti difficili.
Oggi le porte dell’Albania si sono riaperte e sta maturando una stagione di nuovo protagonismo missionario per tutti i membri del popolo di Dio: ogni battezzato ha un posto e un compito da svolgere nella Chiesa e nella società. Ognuno si senta chiamato ad impegnarsi generosamente nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza della carità; a rafforzare i legami della solidarietà per promuovere condizioni di vita più giuste e fraterne per tutti. Oggi sono venuto per ringraziarvi per la vostra testimonianza e anche per incoraggiarvi a far crescere la speranza dentro di voi e intorno a voi. Non dimenticatevi l’aquila. L’aquila non dimentica il nido, ma vola alto. Volate alto! Andate su! Sono venuto per incoraggiarvi a coinvolgere le nuove generazioni; a nutrirvi assiduamente della Parola di Dio aprendo i vostri cuori a Cristo, al Vangelo, all’incontro con Dio, all’incontro fra voi come già fate: mediante questo vostro incontrarvi voi date testimonianza a tutta l’Europa.
In spirito di comunione tra vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici, vi incoraggio a dare slancio all’azione pastorale, che è un’azione di servizio, e a continuare la ricerca di nuove forme di presenza della Chiesa all’interno della società. In particolare, questo invito lo rivolgo ai giovani. Ce ne erano tanti sulla strada dall’aeroporto a qui! Questo è un popolo giovane! Molto giovane. E dove c’è giovinezza c’è speranza. Ascoltate Dio, adorate Dio e amatevi fra voi come popolo, come fratelli.
Chiesa che vivi in questa terra di Albania, grazie per il tuo esempio di fedeltà. Non dimenticatevi del nido, della vostra storia lontana, anche delle prove; non dimenticate le piaghe, ma non vendicatevi. Andate avanti a lavorare con speranza per un futuro grande. Tanti figli e figlie dell’Albania hanno sofferto, anche fino al sacrificio della vita. La loro testimonianza sostenga i vostri passi di oggi e di domani sulla via dell’amore, sulla via della libertà, sulla via della giustizia e soprattutto sulla via della pace. Così sia.
Tirana, preghiera dell’Angelus
Cari fratelli e sorelle,
prima di concludere questa Celebrazione, desidero salutare tutti voi, venuti dall’Albania e dai Paesi vicini. Vi ringrazio per la vostra presenza e per la testimonianza della vostra fede.
In modo particolare mi rivolgo a voi giovani! Dicono che l’Albania è il Paese più giovane dell’Europa e mi rivolgo a voi. Vi invito a costruire la vostra esistenza su Gesù Cristo, su Dio: chi costruisce su Dio costruisce sulla roccia, perché Lui è sempre fedele, anche se noi manchiamo di fedeltà (cfr 2 Tm 2,13). Gesù ci conosce meglio di chiunque altro; quando sbagliamo, non ci condanna ma ci dice: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11). Cari giovani, voi siete la nuova generazione, la nuova generazione dell’Albania, il futuro della Patria. Con la forza del Vangelo e l’esempio dei vostri antenati e l’esempio dei vostri martiri, sappiate dire no all’idolatria del denaro – no all’idolatria del denaro! – no alla falsa libertà individualista, no alle dipendenze e alla violenza; e dire invece sì alla cultura dell’incontro e della solidarietà, sì alla bellezza inseparabile dal bene e dal vero; sì alla vita spesa con animo grande ma fedele nelle piccole cose. Così costruirete un’Albania migliore e un mondo migliore, sulle tracce dei vostri antenati.
Ci rivolgiamo ora alla Vergine Madre, che venerate soprattutto col titolo di «Nostra Signora del Buon Consiglio». Mi reco spiritualmente al suo Santuario di Scutari, a voi tanto caro, e le affido tutta la Chiesa in Albania e l’intero popolo albanese, in particolare le famiglie, i bambini e gli anziani, che sono la memoria viva del popolo. La Madonna vi guidi a camminare “insieme con Dio, verso la speranza che non delude mai”.
Angelus Domini…
Tirana: Incontro con i leaders di altre religioni e altre denominazioni cristiane nell’Università Cattolica «Nostra Signora del Buon Consiglio»
Cari amici,
sono veramente lieto di questo incontro, che riunisce i responsabili delle principali confessioni religiose presenti in Albania. Saluto con profondo rispetto ciascuno di voi e le comunità che rappresentate; e ringrazio di cuore Mons. Massafra per le sue parole di presentazione e introduzione. È importante che siate qui insieme: è il segno di un dialogo che vivete quotidianamente, cercando di costruire tra voi relazioni di fraternità e di collaborazione, per il bene dell’intera società. Grazie per quello che fate.
L’Albania è stata tristemente testimone di quali violenze e di quali drammi possa causare la forzata esclusione di Dio dalla vita personale e comunitaria. Quando, in nome di un’ideologia, si vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare degli idoli, e ben presto l’uomo smarrisce sé stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati. Voi sapete bene a quali brutalità può condurre la privazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa, e come da tale ferita si generi una umanità radicalmente impoverita, perché priva di speranza e di riferimenti ideali.
I cambiamenti avvenuti a partire dagli anni ’90 del secolo scorso hanno avuto come positivo effetto anche quello di creare le condizioni per una effettiva libertà di religione. Ciò ha reso possibile ad ogni comunità di ravvivare tradizioni che non si erano mai spente, nonostante le feroci persecuzioni, ed ha permesso a tutti di offrire, anche a partire dalla propria convinzione religiosa, un positivo contributo alla ricostruzione morale, prima che economica, del Paese.
In realtà, come affermò san Giovanni Paolo II nella sua storica visita in Albania del 1993, «la libertà religiosa […] non è solo un prezioso dono del Signore per quanti hanno la grazia della fede: è un dono per tutti, perché è garanzia basilare di ogni altra espressione di libertà […] Niente come la fede ci ricorda che, se abbiamo un unico creatore, siamo anche tutti fratelli! La libertà religiosa è un baluardo contro tutti i totalitarismi e un contributo decisivo all’umana fraternità» (Messaggio alla nazione albanese, 25 aprile 1993).
Ma subito bisogna aggiungere: «La vera libertà religiosa rifugge dalle tentazioni dell’intolleranza e del settarismo, e promuove atteggiamenti di rispettoso e costruttivo dialogo» (ibid.). Non possiamo non riconoscere come l’intolleranza verso chi ha convinzioni religiose diverse dalle proprie sia un nemico molto insidioso, che oggi purtroppo si va manifestando in diverse regioni del mondo. Come credenti, dobbiamo essere particolarmente vigilanti affinché la religiosità e l’etica che viviamo con convinzione e che testimoniamo con passione si esprimano sempre in atteggiamenti degni di quel mistero che intendono onorare, rifiutando con decisione come non vere, perché non degne né di Dio né dell’uomo, tutte quelle forme che rappresentano un uso distorto della religione. La religione autentica è fonte di pace e non di violenza! Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano.
Da questo punto di vista, la libertà religiosa non è un diritto che possa essere garantito unicamente dal sistema legislativo vigente, che pure è necessario: essa è uno spazio comune – come questo –, un ambiente di rispetto e collaborazione che va costruito con la partecipazione di tutti, anche di coloro che non hanno alcuna convinzione religiosa. Mi permetto di indicare due atteggiamenti che possono essere di particolare utilità nella promozione di questa libertà fondamentale.
Il primo è quello di vedere in ogni uomo e donna, anche in quanti non appartengono alla propria tradizione religiosa, non dei rivali, meno ancora dei nemici, bensì dei fratelli e delle sorelle. Chi è sicuro delle proprie convinzioni non ha bisogno di imporsi, di esercitare pressioni sull’altro: sa che la verità ha una propria forza di irradiazione. Tutti siamo, in fondo, pellegrini su questa terra, e in questo nostro viaggio, mentre aneliamo alla verità e all’eternità, non viviamo come entità autonome ed autosufficienti, né come singoli né come gruppi nazionali, culturali o religiosi, ma dipendiamo gli uni dagli altri, siamo affidati gli uni alle cure degli altri. Ogni tradizione religiosa, dal proprio interno, deve riuscire a dare conto dell’esistenza dell’altro.
Un secondo atteggiamento è l’impegno in favore del bene comune. Ogni volta che l’adesione alla propria tradizione religiosa fa germogliare un servizio più convinto, più generoso, più disinteressato all’intera società, vi è autentico esercizio e sviluppo della libertà religiosa. Questa appare allora non solo come uno spazio di autonomia legittimamente rivendicato, ma come una potenzialità che arricchisce la famiglia umana con il suo progressivo esercizio. Più si è a servizio degli altri e più si è liberi!
Guardiamoci attorno: quanti sono i bisogni dei poveri, quanto le nostre società devono ancora trovare cammini verso una giustizia sociale più diffusa, verso uno sviluppo economico inclusivo! Quanto l’animo umano ha bisogno di non perdere di vista il senso profondo delle esperienze della vita e di recuperare speranza! In questi campi di azione, uomini e donne ispirati dai valori delle proprie tradizioni religiose possono offrire un contributo importante, anzi insostituibile. È questo un terreno particolarmente fecondo anche per il dialogo interreligioso.
E poi, vorrei accennare ad una cosa che è sempre un fantasma: il relativismo, “tutto è relativo”. Al riguardo, dobbiamo tenere presente un principio chiaro: non si può dialogare se non si parte dalla propria identità. Senza identità non può esistere dialogo. Sarebbe un dialogo fantasma, un dialogo sull’aria: non serve. Ognuno di noi ha la propria identità religiosa, è fedele a quella. Ma il Signore sa come portare avanti la storia. Partiamo ciascuno dalla propria identità, non facendo finta di averne un’altra, perché non serve e non aiuta ed è relativismo. Quello che ci accomuna è la strada della vita, è la buona volontà di partire dalla propria identità per fare il bene ai fratelli e alle sorelle. Fare del bene! E così, come fratelli camminiamo insieme. Ognuno di noi offre la testimonianza della propria identità all’altro e dialoga con l’altro. Poi il dialogo può andare più avanti su questioni teologiche, ma quello che è più importante e bello è camminare insieme senza tradire la propria identità, senza mascherarla, senza ipocrisia. A me fa bene pensare questo.
Cari amici, vi esorto a mantenere e sviluppare la tradizione di buoni rapporti tra le comunità religiose esistenti in Albania, e a sentirvi uniti nel servizio alla vostra cara patria. Con un po’ di senso dell’umorismo si può dire che questa sembra una squadra di calcio: i cattolici contro tutti gli altri, ma tutti insieme, per il bene della Patria e dell’umanità! Continuate ad essere segno, per il vostro Paese e non solo, della possibilità di relazioni cordiali e di feconda collaborazione tra uomini di religioni diverse. E vi chiedo un favore: di pregare per me. Anche io ne ho bisogno, tanto bisogno. Grazie.
Tirana: Celebrazione dei Vespri, con sacerdoti, religiose, religiosi, seminaristi e movimenti laicali nella Cattedrale
Ho preparato alcune parole per voi, da dirvi, e le consegnerò all’Arcivescovo perché lui dopo ve lo faccia arrivare. La traduzione è già fatta. Si può fare arrivare.
Ma adesso, mi è venuto di dirvi un’altra cosa… Abbiamo sentito nella Lettura: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione, con la consolazione stessa con la quale siamo stati consolati noi da Dio” (2 Cor 1,3-4). E’ il testo su cui oggi la Chiesa ci fa riflettere nei Vespri. In questi due mesi, mi sono preparato per questa visita, leggendo la storia della persecuzione in Albania. E per me è stata una sorpresa: io non sapevo che il vostro popolo avesse sofferto tanto! Poi, oggi, nella strada dall’aeroporto fino alla piazza, tutte queste fotografie dei martiri: si vede che questo popolo ancora ha memoria dei suoi martiri, di quelli che hanno sofferto tanto! Un popolo di martiri… E oggi, all’inizio di questa celebrazione, ne ho toccati due. Quello che io posso dirvi è quello che loro hanno detto, con la loro vita, con le loro parole semplici… Raccontavano le cose con una semplicità… ma tanto dolorosa! E noi possiamo domandare a loro: “Ma come avete fatto a sopravvivere a tanta tribolazione?”. E ci diranno questo che abbiamo sentito in questo brano della Seconda Lettera ai Corinzi: “Dio è Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. E’ stato Lui a consolarci!”. Ce lo hanno detto con questa semplicità. Hanno sofferto troppo. Hanno sofferto fisicamente, psichicamente, e anche quell’angoscia dell’incertezza: se sarebbero stati fucilati o no, e vivevano così, con quell’angoscia. E il Signore li consolava… Penso a Pietro, nel carcere, incatenato, con le catene; tutta la Chiesa pregava per lui. E il Signore consolò Pietro. E i martiri, e questi due che abbiamo sentito oggi, il Signore li consolò perché c’era gente nella Chiesa, il popolo di Dio – le vecchiette sante e buone, tante suore di clausura… – che pregavano per loro. E questo è il mistero della Chiesa: quando la Chiesa chiede al Signore di consolare il suo popolo; e il Signore consola umilmente, anche nascostamente. Consola nell’intimità del cuore e consola con la fortezza. Loro, sono sicuro, non si vantano di quello che hanno vissuto, perché sanno che è stato il Signore a portarli avanti. Ma loro ci dicono qualcosa! Ci dicono che per noi, che siamo stati chiamati dal Signore per seguirlo da vicino, l’unica consolazione viene da Lui. Guai a noi se cerchiamo un’altra consolazione! Guai ai preti, ai sacerdoti, ai religiosi, alle suore, alle novizie, ai consacrati quando cercano consolazione lontano dal Signore! Io non voglio “bastonarvi”, oggi, non voglio diventare il “boia”, qui; ma sappiate bene: se voi cercate consolazione altrove, non sarete felici! Di più: non potrai consolare nessuno, perché il tuo cuore non è stato aperto alla consolazione del Signore. E finirai, come dice il grande Elia al popolo di Israele, “zoppicando con le due gambe”. “Sia benedetto Dio Padre, Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione, con la consolazione con cui siamo stati consolati noi stessi da Dio”. E’ quello che hanno fatto questi due, oggi. Umilmente, senza pretese, senza vantarsi, facendo un servizio per noi: di consolarci. Ci dicono anche: “Siamo peccatori, ma il Signore è stato con noi. Questa è la strada. Non scoraggiatevi!”. Scusatemi, se vi uso oggi come esempio, ma tutti dobbiamo essere d’esempio l’uno all’altro. Andiamo a casa pensando bene: oggi abbiamo toccato i martiri.
Discorso dato per letto:
Cari fratelli e sorelle!
è per me una gioia incontrarvi nella vostra amata terra; ringrazio il Signore e ringrazio tutti voi per la vostra accoglienza! Stando in mezzo a voi posso meglio esprimere la mia vicinanza al vostro impegno di evangelizzazione.
Da quando il vostro Paese è uscito dalla dittatura, le comunità ecclesiali hanno ripreso a camminare e a organizzarsi per l’azione pastorale, e guardano con speranza verso il futuro. In particolare, il mio pensiero riconoscente va a quei Pastori che hanno pagato a caro prezzo la fedeltà a Cristo e la decisione di restare uniti al Successore di Pietro. Sono stati coraggiosi nella difficoltà e nella prova! Ci sono ancora tra noi sacerdoti e religiosi che hanno sperimentato il carcere e la persecuzione, come la sorella e il fratello che ci hanno raccontato la loro storia. Vi abbraccio commosso e rendo lode a Dio per la vostra fedele testimonianza, che stimola tutta la Chiesa a portare avanti con gioia l’annuncio del Vangelo.
Facendo tesoro di tale esperienza, la Chiesa in Albania può crescere nella missionarietà e nel coraggio apostolico. Conosco e apprezzo l’impegno con cui vi opponete a nuove forme di “dittatura” che rischiano di tenere schiave le persone e le comunità. Se il regime ateo cercava di soffocare la fede, queste dittature, più subdole, possono soffocare la carità. Penso all’individualismo, alle rivalità e ai confronti esasperati: è una mentalità mondana che può contagiare anche la comunità cristiana. Non serve scoraggiarsi di fronte a queste difficoltà, non abbiate paura di andare avanti sulla strada del Signore. Egli è sempre al vostro fianco, vi dona la sua grazia e vi aiuta a sostenervi gli uni gli altri, ad accettarvi così come siete, con comprensione e misericordia, a coltivare la comunione fraterna.
L’evangelizzazione è più efficace quando è attuata con unità di intenti e con una collaborazione sincera tra le diverse realtà ecclesiali e tra missionari e clero locale: questo comporta coraggio di proseguire nella ricerca di forme di lavoro comune e di aiuto reciproco nei campi della catechesi, dell’educazione cattolica, come pure della promozione umana e della carità. In questi ambiti è prezioso anche l’apporto dei movimenti ecclesiali, che sanno progettare e agire in comunione con i Pastori e tra di loro. E’ quello che io vedo qui: vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, una Chiesa che vuole camminare nella fraternità e nell’unità.
Quando l’amore per Cristo è posto al di sopra di tutto, anche di legittime esigenze particolari, allora si diventa capaci di uscire da noi stessi, dalle nostre “piccolezze” personali o di gruppo, e andare verso Gesù che ci viene incontro nei fratelli; le sue piaghe sono ancora visibili oggi sul corpo di tanti uomini e donne che hanno fame e sete, che sono umiliati, che si trovano in carcere o in ospedale. E proprio toccando e curando con tenerezza queste piaghe è possibile vivere fino in fondo il Vangelo e adorare Dio vivo in mezzo a noi.
Sono tanti i problemi che affrontate ogni giorno! Essi vi spingono ad immergervi con passione in una generosa attività apostolica. Tuttavia, noi sappiamo che da soli non possiamo fare nulla. «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori» (Sal 127,1). Questa consapevolezza ci chiama a dare ogni giorno il giusto spazio al Signore, a dedicargli tempo, ad aprirgli il cuore, affinché Lui agisca nella nostra vita e nella nostra missione. Ciò che il Signore promette alla preghiera fiduciosa e perseverante supera quello che noi immaginiamo (cfr Lc 11,11-12): oltre a quello che chiediamo ci dà anche lo Spirito Santo. La dimensione contemplativa diventa indispensabile, in mezzo agli impegni più urgenti e pesanti. E più la missione ci chiama ad andare verso le periferie esistenziali, più il nostro cuore sente il bisogno intimo di essere unito a quello di Cristo, pieno di misericordia e di amore.
E considerando che i sacerdoti e i consacrati non sono ancora sufficienti, il Signore Gesù ripete oggi anche a voi: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,37-38). Non bisogna dimenticare che questa preghiera parte da uno sguardo: lo sguardo di Gesù, che vede l’abbondanza del raccolto. Abbiamo anche noi questo sguardo? Sappiamo riconoscere l’abbondanza dei frutti che la grazia di Dio ha fatto crescere, e del lavoro che c’è da fare nel campo del Signore? E’ da questo sguardo di fede sul campo di Dio che nasce la preghiera, l’invocazione quotidiana e pressante al Signore per le vocazioni sacerdotali e religiose. Voi, cari seminaristi, e voi, cari postulanti e novizi, siete frutto di questa preghiera del popolo di Dio, che sempre precede e accompagna la vostra risposta personale. La Chiesa in Albania ha bisogno del vostro entusiasmo e della vostra generosità. Il tempo che oggi dedicate a una solida formazione spirituale, teologica, comunitaria e pastorale, è fecondo in ordine a servire adeguatamente, domani, il popolo di Dio. La gente, più che dei maestri, cerca dei testimoni: testimoni umili della misericordia e della tenerezza di Dio; sacerdoti e religiosi conformati a Gesù Buon Pastore, capaci di comunicare a tutti la carità di Cristo.
A questo proposito, insieme con voi e insieme a tutto il popolo albanese, voglio rendere grazie a Dio per tanti missionari e missionarie, la cui azione è stata determinante per la rinascita della Chiesa in Albania e rimane ancora oggi di grande rilevanza. Essi hanno contribuito notevolmente a consolidare il patrimonio spirituale che vescovi, sacerdoti, persone consacrate e laici albanesi hanno conservato, in mezzo a durissime prove e tribolazioni. Pensiamo al grande lavoro fatto dagli Istituti religiosi per il rilancio dell’educazione cattolica: questo lavoro merita di essere riconosciuto e sostenuto.
Cari fratelli e sorelle, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà; sulle orme dei vostri padri, siate tenaci nel rendere testimonianza a Cristo, camminando “insieme con Dio, verso la speranza che non delude mai”. Nel vostro cammino sentitevi sempre accompagnati e sostenuti dall’affetto di tutta la Chiesa. Vi ringrazio di cuore di questo incontro e affido ciascuno di voi e le vostre comunità, i progetti e le speranze alla santa Madre di Dio. Vi benedico di cuore e vi chiedo per favore di pregare per me.