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I discorsi nella visita a Sarajevo
1. Discorso alle Autorità civili (Palazzo presidenziale di Sarajevo)
Alle ore 10.10 il Francesco ha incontrato le Autorità civili, i membri del Corpo Diplomatico, i Vescovi ed alcuni Leader religiosi del Paese, riuniti nel Salone d’Onore del Palazzo Presidenziale a Sarajevo. Dopo il discorso del Presidente di turno della Presidenza, Mladen Ivanić, il Papa ha pronunciato il seguente discorso:
Ringrazio vivamente i membri della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina per la gentile accoglienza, e in particolare per le cordiali espressioni di saluto rivoltemi a nome di tutti dal Signor Presidente di turno Mladen Ivanić. È per me motivo di gioia trovarmi in questa città che ha tanto sofferto per i sanguinosi conflitti del secolo scorso e che è tornata ad essere luogo di dialogo e pacifica convivenza. E’ passata da una cultura dello scontro, della guerra, a una cultura dell’incontro.
Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina rivestono uno speciale significato per l’Europa e per il mondo intero. Da secoli in questi territori sono presenti comunità che professano religioni diverse e appartengono a diverse etnie e culture, ciascuna delle quali è ricca delle sue peculiari caratteristiche e gelosa delle sue specifiche tradizioni, senza che questo abbia impedito per lungo tempo l’instaurarsi di relazioni reciproche amichevoli e cordiali.
Anche la stessa struttura architettonica di Sarajevo ne porta visibili e consistenti tracce, poiché nel suo tessuto urbanistico sorgono, a breve distanza l’una dall’altra, sinagoghe, chiese e moschee, tanto che la città ricevette l’appellativo di “Gerusalemme d’Europa”. Essa infatti rappresenta un crocevia di culture, nazioni e religioni; e tale ruolo richiede di costruire sempre nuovi ponti e di curare e restaurare quelli esistenti, perché sia assicurata un’agevole, sicura e civile comunicazione.
Abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti. È necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui.
In tal modo, anche le gravi ferite del recente passato possono essere rimarginate e si può guardare al futuro con speranza, affrontando con animo libero da paure e rancori i quotidiani problemi che ogni comunità civile è chiamata ad affrontare.
Sono venuto come pellegrino di pace e di dialogo, 18 anni dopo la storica visita di san Giovanni Paolo II, avvenuta a meno di due anni dalla firma degli Accordi di Pace di Dayton. Sono lieto di vedere i progressi compiuti, per i quali occorre ringraziare il Signore e tante persone di buona volontà. È però importante non accontentarsi di quanto finora realizzato, ma cercare di compiere passi ulteriori per rinsaldare la fiducia e creare occasioni per accrescere la mutua conoscenza e stima. Per favorire questo percorso sono fondamentali la vicinanza – la vicinanza! – e la collaborazione della Comunità internazionale, in particolare dell’Unione Europea, e di tutti i Paesi e le Organizzazioni presenti e operanti sul territorio della Bosnia ed Erzegovina.
La Bosnia ed Erzegovina è infatti parte integrante dell’Europa; i suoi successi e i suoi drammi si inseriscono a pieno titolo nella storia dei successi e dei drammi europei, e sono nel medesimo tempo un serio monito a compiere ogni sforzo perché i processi di pace avviati diventino sempre più solidi e irreversibili.
In questa terra, la pace e la concordia tra Croati, Serbi e Bosgnacchi, le iniziative volte ad accrescerle ulteriormente, le relazioni cordiali e fraterne tra musulmani, ebrei, cristiani e altre minoranze religiose, rivestono un’importanza che va ben al di là dei suoi confini. Esse testimoniano al mondo intero che la collaborazione tra varie etnie e religioni in vista del bene comune è possibile, che un pluralismo di culture e tradizioni può sussistere e dare vita a soluzioni originali ed efficaci dei problemi, che anche le ferite più profonde possono essere sanate da un percorso che purifichi la memoria e dia speranza per l’avvenire. Io ho visto oggi questa speranza in quei bambini che ho salutato all’aeroporto – islamici, ortodossi, ebrei, cattolici e altre minoranze – tutti insieme, gioiosi! Questa è la speranza! Facciamo la scommessa su questo.
Abbiamo tutti bisogno, per opporci con successo alla barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate, di riconoscere i valori fondamentali della comune umanità, valori in nome dei quali si può e si deve collaborare, costruire e dialogare, perdonare e crescere, permettendo all’insieme delle diverse voci di formare un nobile e armonico canto, piuttosto che urla fanatiche di odio.
I responsabili politici sono chiamati al nobile compito di essere i primi servitori delle loro comunità con un’azione che salvaguardi in primo luogo i diritti fondamentali della persona umana, tra i quali spicca quello alla libertà religiosa. In tal modo sarà possibile costruire, con concretezza d’impegno, una società più pacifica e giusta, avviando a soluzione, con l’aiuto di ogni componente, i molteplici problemi della vita quotidiana del popolo.
Perché ciò avvenga è indispensabile l’effettiva uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e nella sua attuazione, qualunque sia la loro appartenenza etnica, religiosa e geografica: così tutti indistintamente si sentiranno pienamente partecipi della vita pubblica e, godendo dei medesimi diritti, potranno attivamente dare il loro specifico contributo al bene comune.
Illustri Signori e Signore,
la Chiesa Cattolica partecipa, attraverso la preghiera e l’azione dei suoi fedeli e delle sue istituzioni, all’opera di ricostruzione materiale e morale della Bosnia ed Erzegovina, condividendone le gioie e le preoccupazioni, desiderosa di testimoniare con impegno la sua speciale vicinanza verso i poveri e i bisognosi, mossa nel fare questo dall’insegnamento e dall’esempio del suo divino Maestro, Gesù.
La Santa Sede si felicita per il cammino fatto in questi anni ed assicura la sua sollecitudine nel promuovere la collaborazione, il dialogo e la solidarietà, sapendo che la pace e il reciproco ascolto in una convivenza civile e ordinata sono le condizioni indispensabili per un autentico e duraturo sviluppo. Essa auspica vivamente che la Bosnia ed Erzegovina, con l’apporto di tutti, dopo che le nuvole nere della tempesta si sono finalmente allontanate, possa procedere sulla via intrapresa, in modo che, dopo il gelido inverno, fiorisca la primavera. E si vede fiorire qui la primavera.
Con questi sentimenti imploro dall’Altissimo pace e prosperità per Sarajevo e tutta la Bosnia ed Erzegovina. Grazie.
2. Santa Messa nello Stadio Koševo
Cari fratelli e sorelle,
nelle Letture bibliche che abbiamo ascoltato è risuonata più volte la parola “pace”. Parola profetica per eccellenza! Pace è il sogno di Dio, è il progetto di Dio per l’umanità, per la storia, con tutto il creato. Ed è un progetto che incontra sempre opposizione da parte dell’uomo e da parte del maligno. Anche nel nostro tempo l’aspirazione alla pace e l’impegno per costruirla si scontrano col fatto che nel mondo sono in atto numerosi conflitti armati. È una sorta di terza guerra mondiale combattuta “a pezzi”; e, nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima di guerra.
C’è chi questo clima vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi. Ma la guerra significa bambini, donne e anziani nei campi profughi; significa dislocamenti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate. Voi lo sapete bene, per averlo sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra!
All’interno di questo clima di guerra, come un raggio di sole che attraversa le nubi, risuona la parola di Gesù nel Vangelo: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). È un appello sempre attuale, che vale per ogni generazione. Non dice “Beati i predicatori di pace”: tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera. No. Dice: «Beati gli operatori di pace», cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Beati sono coloro che seminano pace con le loro azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia… Questi sì, «saranno chiamati figli di Dio», perché Dio semina pace, sempre, dovunque; nella pienezza dei tempi ha seminato nel mondo il suo Figlio perché avessimo la pace! Fare la pace è un lavoro da portare avanti tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi.
E come si fa, come si costruisce la pace? Ce lo ha ricordato, in maniera essenziale, il profeta Isaia: «Praticare la giustizia darà pace» (32,17). “Opus iustitiae pax”, secondo la versione della “Vulgata” diventata un celebre motto, adottato anche profeticamente dal Papa Pio XII. La pace è opera della giustizia. Anche qui: non una giustizia declamata, teorizzata, pianificata… ma la giustizia praticata, vissuta. E il Nuovo Testamento ci insegna che il pieno compimento della giustizia è amare il prossimo come sé stessi (cfr Mt 22,39; Rm 13,9).
Quando, con la grazia di Dio, noi seguiamo questo comandamento, come cambiano le cose! Perché cambiamo noi! Quella persona, quel popolo, che vedevo come nemico, in realtà ha il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa anima. Abbiamo lo stesso Padre nei cieli. Allora la vera giustizia è fare a quella persona, a quel popolo, ciò che vorrei fosse fatto a me, al mio popolo (cfr Mt 7,12).
San Paolo, nella seconda Lettura, ci ha indicato gli atteggiamenti necessari per fare la pace: «Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei confronti di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (3,12-13).
Ecco gli atteggiamenti per essere “artigiani” di pace nel quotidiano, là dove viviamo. Non illudiamoci però che questo dipenda solo da noi! Cadremmo in un moralismo illusorio. La pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui, con il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della sua pace. E, andando in profondità, l’Apostolo dice che la pace è dono di Dio perché è frutto della sua riconciliazione con noi. Solo se si lascia riconciliare con Dio, l’uomo può diventare operatore di pace.
Cari fratelli e sorelle, oggi domandiamo insieme al Signore, per intercessione della Vergine Maria, la grazia di avere un cuore semplice, la grazia della pazienza, la grazia di lottare e lavorare per la giustizia, di essere misericordiosi, di operare per la pace, di seminare la pace e non guerra e discordia. Questo è il cammino che rende felici, che rende beati.
3. Incontro con i Sacerdoti, Religiose, Religiosi e Seminaristi in Cattedrale
Ho preparato un discorso per voi, ma dopo aver sentito le testimonianze di questo Sacerdote, di questo Religioso, di questa Religiosa, sento il bisogno di parlarvi a braccio.
Loro ci hanno raccontato vita, ci hanno raccontato esperienze, ci hanno raccontato tante cose brutte e belle. Consegno il discorso – che è bello – al Cardinale Arcivescovo.
Le testimonianze parlavano da sole. E questa è la memoria del vostro popolo! Un popolo che dimentica la sua memoria non ha futuro. Questa è la memoria dei vostri padri e madri nella fede: qui hanno parlato solo tre persone, ma dietro di loro ci sono tanti e tante che hanno sofferto le stesse cose.
Care sorelle, cari fratelli, non avete diritto di dimenticare la vostra storia. Non per vendicarvi, ma per fare pace. Non per guardare [a queste testimonianze] come a una cosa strana, ma per amare come loro hanno amato. Nel vostro sangue, nella vostra vocazione, c’è la vocazione, c’è il sangue di questi tre martiri. E c’è il sangue e c’è la vocazione di tante religiose, tanti preti, tanti seminaristi. L’autore della Lettera agli Ebrei ci dice: Mi raccomando, non dimenticatevi dei vostri antenati, quelli che vi hanno trasmesso la fede.Questi [indica i testimoni] vi hanno trasmesso la fede; questi vi hanno trasmesso come si vive la fede. Lo stesso Paolo ci dice: “Non dimenticatevi di Gesù Cristo”, il primo Martire. E questi sono andati sulle tracce di Gesù.
Riprendere la memoria per fare pace. Alcune parole mi sono rimaste nel cuore. Una, ripetuta: “perdono”. Un uomo, una donna che si consacra al servizio del Signore e non sa perdonare, non serve. Perdonare un amico che ti ha detto una parolaccia, con il quale avevi litigato, o una suora che è gelosa di te, non è tanto difficile. Ma perdonare chi ti picchia, chi ti tortura, chi ti calpesta, chi ti minaccia con il fucile per ucciderti, questo è difficile. E loro lo hanno fatto, e loro predicano di farlo!
Un’altra parola che mi è rimasta è quella dei 120 giorni del campo di concentramento. Quante volte lo spirito del mondo ci fa dimenticare questi nostri antenati, le sofferenze dei nostri antenati! Quei giorni sono contati, non per giorno, ma per minuti, perché ogni minuto, ogni ora è una tortura. Vivere tutti insieme, sporchi, senza pasto, senza acqua, con il caldo o con il freddo, e questo per tanto tempo! E noi, che ci lamentiamo quando abbiamo un dente che ci fa male, o che vogliamo avere la tv nella nostra stanza con tante comodità, e che chiacchieriamo della superiora o del superiore quando il pasto non è tanto buono… Non dimenticate, per favore, le testimonianze dei vostri antenati. Pensate a quanto hanno sofferto queste persone; pensate a quei sei litri di sangue che ha ricevuto il padre – il primo che ha parlato – per sopravvivere. E fate una vita degna della Croce di Gesù Cristo.
Suore, sacerdoti, vescovi, seminaristi mondani, sono una caricatura, non servono. Non hanno la memoria dei martiri. Hanno perso la memoria di Gesù Cristo crocifisso, l’unica gloria nostra.
Un’altra cosa che mi viene in mente è quel miliziano che ha dato la pera alla suora; e quella donna musulmana che adesso vive in America, che portò da mangiare… Tutti siamo fratelli. Anche quell’uomo crudele ha pensato… non so che cosa ha pensato, ma ha sentito lo Spirito Santo nel suo cuore e forse ha pensato a sua mamma e ha detto: “Prendi questa pera e non dire nulla”. E quella donna musulmana andava oltre le differenze religiose: amava. Credeva in Dio e faceva del bene.
Cercate il bene di tutti. Tutti hanno la possibilità, il seme del bene. Tutti siamo figli di Dio.
Benedetti voi, che avete così vicine queste testimonianze: non dimenticatele, per favore. La vostra vita cresca con questo ricordo. Io penso a quel sacerdote, al quale è morto il papà quando era bambino, poi è morta la mamma, poi è morta la sorella, ed è rimasto solo… Ma lui era il frutto di un amore, di un amore matrimoniale. Pensate a quella suora martire: anche lei era figlia di una famiglia. E pensate anche al francescano, con due sorelle francescane; e mi viene in mente quello che ha detto il Cardinale Arcivescovo: che cosa succede al giardino della vita, cioè la famiglia? Una cosa brutta, succede: che non fiorisce. Pregate per le famiglie, perché fioriscano in tanti figli e ci siano anche tante vocazioni.
E finalmente, vorrei dirvi che questa è stata una storia di crudeltà. Anche oggi, in questa guerra mondiale vediamo tante, tante, tante crudeltà. Fate sempre il contrario della crudeltà: abbiate atteggiamenti di tenerezza, di fratellanza, di perdono. E portate la Croce di Gesù Cristo. La Chiesa, la santa Madre Chiesa, vi vuole così: piccoli, piccoli martiri, davanti a questi piccoli martiri, piccoli testimoni della Croce di Gesù.
Il Signore vi benedica! E, per favore, pregate per me. Grazie.
Cari fratelli e sorelle,
rivolgo a tutti voi il mio affettuoso saluto, e lo estendo ai vostri confratelli e consorelle malati e anziani che non possono essere qui ma sono con noi spiritualmente. Ringrazio il Cardinale Puljić per le sue parole, come pure suor Ljubica, don Zvonimir e fra Jozo per le loro testimonianze. Ringrazio tutti per il servizio che rendete al Vangelo e alla Chiesa. Sono venuto nella vostra terra come pellegrino di pace e di dialogo, per confermare e incoraggiare i fratelli nella fede, e in particolare voi, chiamati a lavorare “a tempo pieno” nella vigna del Signore. Lui ci dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). E’ questa la certezza che infonde consolazione e speranza, specialmente nei momenti difficili per il ministero. Penso alle sofferenze e alle prove passate e presenti delle vostre comunità cristiane. Pur vivendo in questo contesto, voi non vi siete arresi, avete resistito, sforzandovi di affrontare le difficoltà personali, sociali e pastorali con instancabile spirito di servizio. Il Signore vi ricompensi!
Immagino che la situazione numericamente minoritaria della Chiesa Cattolica nella vostra terra, come pure gli insuccessi del ministero, a volte vi fanno sentire come i discepoli di Gesù quella volta in cui, pur avendo faticato tutta la notte, non avevano pescato nulla (cfr Lc 5,5). Ma è proprio in quei momenti, se ci affidiamo al Signore, che sperimentiamo la potenza della sua Parola, la forza del suo Spirito, che rinnova in noi la fiducia e la speranza. La fecondità del nostro servizio dipende soprattutto dalla fede; la fede nell’amore di Cristo, da cui nulla potrà mai separarci, come afferma l’apostolo Paolo (cfr Rm 8,35-39), che di prove se ne intendeva! E anche la fraternità ci sostiene e ci anima; la fraternità tra sacerdoti, tra religiosi, tra laici consacrati, tra seminaristi; la fraternità tra tutti noi, che il Signore ha chiamato a lasciare ogni cosa per seguirlo, ci dà gioia e consolazione, e rende più efficace il nostro lavoro. Noi siamo testimoni di fraternità!
«Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge» (At 20,28). Questa esortazione di san Paolo – riportata negli Atti degli Apostoli – ci ricorda che se vogliamo aiutare gli altri a diventare santi non dobbiamo trascurare noi stessi, cioè la nostra santificazione. E viceversa, la dedizione al popolo fedele di Dio, l’immersione nella sua vita e soprattutto la vicinanza ai poveri e ai piccoli, ci fa crescere nella conformazione a Cristo. La cura del proprio cammino personale e la carità pastorale verso la gente vanno sempre di pari passo e si arricchiscono a vicenda. Non vanno mai separate.
Che cosa significa per un sacerdote e per una persona consacrata, oggi, qui in Bosnia ed Erzegovina, servire il gregge di Dio? Penso che significhi attuare la pastorale della speranza, custodendo le pecore che sono nell’ovile, ma anche andando, uscendo alla ricerca di quanti attendono la Buona Novella e non sanno trovare o ritrovare da soli la via che conduce a Gesù. Incontrare la gente là dove vive, anche quella porzione di gregge che sta fuori dal recinto, lontano, a volte senza conoscere ancora Gesù Cristo. Prendersi cura della formazione dei cattolici nella fede e nella vita cristiana. Incoraggiare i fedeli laici ad essere protagonisti della missione evangelizzatrice della Chiesa. Pertanto, vi esorto a far crescere comunità cattoliche aperte e “in uscita”, capaci di accoglienza e di incontro e coraggiose nella testimonianza evangelica.
Il prete, il consacrato è chiamato a vivere le ansie e le speranze della sua gente; a operare nei contesti concreti del suo tempo, spesso caratterizzati da tensioni, discordie, diffidenze, precarietà e povertà. Di fronte alle situazioni più dolorose, chiediamo a Dio un cuore che sappia commuoversi, una capacità di empatia; non c’è migliore testimonianza dello stare vicini alle necessità materiali e spirituali della gente. E’ compito di noi vescovi, sacerdoti e religiosi far sentire alle persone la vicinanza di Dio, la sua mano che conforta e risana; accostarci alle ferite e alle lacrime del nostro popolo; non stancarci di aprire il cuore e di tendere la mano a quanti ci chiedono aiuto e a quanti, forse per pudore, non ce lo chiedono, ma ne hanno un grande bisogno. A questo proposito, desidero esprimere il mio apprezzamento alle sorelle religiose, per tutto quello che fanno con generosità e soprattutto per la loro presenza fedele e premurosa.
Cari sacerdoti, religiosi e religiose, vi incoraggio a proseguire con gioia il vostro servizio pastorale, la cui fecondità è data dalla fede e dalla grazia, ma anche dalla testimonianza di una vita umile e distaccata dagli interessi del mondo. Non cadete, per favore, nella tentazione di diventare una specie di élite chiusa in sé stessa. La generosa e limpida testimonianza sacerdotale e religiosa costituisce un esempio e un incitamento per i seminaristi e per quanti il Signore chiama a servirlo. Stando al fianco dei giovani, invitandoli a condividere alcune esperienze di servizio e di preghiera, voi li aiutate a scoprire l’amore di Cristo e ad aprirsi alla chiamata del Signore. I fedeli laici possano vedere in voi quell’amore fedele e generoso che Cristo ha lasciato come testamento ai suoi discepoli.
E una parola in particolare per voi, cari seminaristi. Tra le tante belle testimonianze di consacrati della vostra terra, ricordiamo il servo di Dio Petar Barbarić. Egli unisce l’Erzegovina, dove nacque, e la Bosnia, dove emise la professione, come anche tutto il clero, sia diocesano sia religioso. Questo giovane candidato al sacerdozio, con la sua vita piena di virtù, sia per tutti di grande esempio.
La Vergine Maria è sempre accanto a noi, come madre premurosa. Lei è la prima discepola del Signore ed esempio di vita dedicata a Lui e ai fratelli. Quando ci troviamo in una difficoltà, o incontriamo una situazione di fronte alla quale sentiamo tutta la nostra impotenza, ci rivolgiamo a lei con fiducia di figli. E lei sempre ci dice – come alle nozze di Cana –: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). Ci insegna ad ascoltare Gesù e seguire la sua Parola, ma con fede! Questo è il suo segreto, che come madre ci vuole trasmettere: la fede, quella fede genuina, tanto che ne basta una briciola per spostare le montagne!
Con questo fiducioso abbandono, possiamo servire il Signore con gioia ed essere dovunque seminatori di speranza. Vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e benedico di cuore tutti voi e le vostre comunità. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
4. Incontro Ecumenico ed Interreligioso nel Centro internazionale studentesco francescano
Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di partecipare a questo incontro, che riunisce i rappresentanti delle confessioni religiose presenti in Bosnia ed Erzegovina. Rivolgo un cordiale saluto a ciascuno di voi e alle vostre comunità, e ringrazio in particolare per le cortesi espressioni e le riflessioni che sono state proposte. E sentendole posso dirvi che mi hanno fatto bene!
L’incontro di oggi è segno di un comune desiderio di fraternità e di pace; esso dà testimonianza di un’amicizia che state costruendo negli anni e che già vivete nella quotidiana convivenza e collaborazione. Essere qui è già un “messaggio” di quel dialogo che tutti cerchiamo e per il quale lavoriamo.
Vorrei specialmente ricordare, quale frutto di questo desiderio d’incontro e di riconciliazione, l’istituzione, nel 1997, del locale Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che raduna musulmani, cristiani ed ebrei. Mi rallegro per l’opera che il Consiglio sta svolgendo con la promozione di diverse attività di dialogo, il coordinamento di iniziative comuni e il confronto con le Autorità statali. Il vostro lavoro è molto prezioso in questa regione, e a Sarajevo in particolare, crocevia di popoli e di culture, dove la diversità, se da un lato costituisce una grande risorsa che ha permesso lo sviluppo sociale, culturale e spirituale di questa regione, dall’altro è stata motivo di dolorose lacerazioni e sanguinose guerre.
Non è un caso che la nascita del Consiglio per il Dialogo Interreligioso e le altre apprezzabili iniziative in campo interreligioso ed ecumenico siano avvenute alla fine della guerra, come una risposta all’esigenza di riconciliazione e di fronte alla necessità di ricostruire una società dilaniata dal conflitto. Il dialogo interreligioso, infatti, qui come in ogni parte del mondo, è una condizione imprescindibile per la pace, e per questo è un dovere per tutti i credenti (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 250).
Il dialogo interreligioso, prima ancora di essere discussione sui grandi temi della fede, è una «conversazione sulla vita umana» (ibid.). In esso si condivide la quotidianità dell’esistenza, nella sua concretezza, con le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze; si assumono responsabilità comuni; si progetta un futuro migliore per tutti. Si impara a vivere insieme, a conoscersi e ad accettarsi nelle rispettive diversità, liberamente, per quello che si è. Nel dialogo si riconosce e si sviluppa una comunanza spirituale, che unifica e aiuta a promuovere i valori morali, i grandi valori morali, la giustizia, la libertà e la pace. Il dialogo è una scuola di umanità e un fattore di unità, che aiuta a costruire una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto.
Per questo motivo, il dialogo interreligioso non può limitarsi solo a pochi, ai soli responsabili delle comunità religiose, ma dovrebbe estendersi quanto più è possibile a tutti i credenti, coinvolgendo le diverse sfere della società civile. E un’attenzione particolare meritano in tal senso i giovani, chiamati a costruire il futuro di questo Paese. Tuttavia, è sempre bene ricordare che il dialogo, per essere autentico ed efficace, presuppone una identità formata: senza identità formata, il dialogo è inutile o dannoso. Questo lo dico pensando ai giovani, ma vale per tutti.
Apprezzo sinceramente quanto avete fatto sino ad ora e vi incoraggio in questo vostro impegno per la causa della pace, della quale voi, come leader religiosi, siete i primi custodi qui in Bosnia ed Erzegovina. Vi assicuro che la Chiesa Cattolica continuerà a dare il suo pieno appoggio e ad assicurare la sua completa disponibilità.
Siamo tutti consapevoli che c’è ancora tanta strada da percorrere. Non lasciamoci, però, scoraggiare dalle difficoltà e continuiamo con perseveranza nel cammino del perdono e della riconciliazione. Mentre facciamo giusta memoria del passato, anche per imparare le lezioni della storia, evitiamo i rimpianti e le recriminazioni, ma lasciamoci purificare da Dio, che ci dona il presente e il futuro: Lui è il nostro futuro, Lui è la fonte ultima della pace.
Questa città, che nel recente passato è tristemente diventata un simbolo della guerra e delle sue distruzioni, questa Gerusalemme d’Europa, oggi, con la sua varietà di popoli, culture e religioni, può diventare nuovamente segno di unità, luogo in cui la diversità non rappresenti una minaccia, ma una ricchezza e un’opportunità per crescere insieme. In un mondo purtroppo ancora lacerato da conflitti, questa terra può diventare un messaggio: attestare che è possibile vivere uno accanto all’altro, nella diversità ma nella comune umanità, costruendo insieme un futuro di pace e di fratellanza. Si può vivere facendo la pace!
Sono grato a tutti voi per la vostra presenza e per le preghiere che avrete la bontà di offrire per il mio servizio. Da parte mia, vi assicuro che pregherò altrettanto per voi, per le vostre comunità, e di cuore lo farò. Il Signore ci benedica tutti.
Adesso invito tutti a fare questa preghiera. All’Eterno, all’Unico e Vero Dio Vivente, al Misericordioso.
5. Incontro con i Giovani nel Centro diocesano giovanile «Giovanni Paolo II»
Questi vostri quattro compagni faranno delle domande. Io consegnerò il discorso preparato a Mons. Semren, che ve lo darà dopo. E adesso faccio domanda e risposta con voi.
DOMANDA: [avendo sentito che il Papa da 20 anni non guarda più la televisione, chiede il perché di questa scelta]
PAPA: Sì, a metà degli anni ’90, ho sentito una notte che questo non mi faceva bene, mi alienava, mi portava fuori… e ho deciso di non guardarla.
Quando volevo guardare un bel film, andavo al centro televisivo dell’arcivescovado e lo guardavo lì; ma soltanto quel film… La televisione invece mi alienava e mi portava fuori da me, non mi aiutava… Certo, io sono dell’età della pietra, sono antico!
E noi adesso… io capisco che il tempo è cambiato: viviamo nel tempo dell’immagine. E questo è molto importante. E nel tempo dell’immagine si deve fare quello che si faceva nel tempo dei libri: scegliere le cose che mi fanno bene! Da qui derivano due cose. Prima: la responsabilità dei centri televisivi di fare programmi che fanno bene, che fanno bene ai valori, che costruiscano la società, che ci portino avanti, non che ci portino giù. E poi fare programmi che ci aiutino affinché i valori, i veri valori, diventino più forti e ci preparino per la vita. Questa è responsabilità dei centri televisivi. Secondo: sapere scegliere i programmi, e questa una responsabilità nostra. Se io vedo che un programma non mi fa bene, mi butta giù i valori, mi fa diventare volgare, anche nelle sporcizie, io devo cambiare canale. Come si faceva nella mia età della pietra: quando un libro era buono, tu lo leggevi; quando un libro ti faceva male, lo buttavi. E poi c’è un terzo punto: il punto della cattiva fantasia, di quella fantasia che uccide l’anima. Se tu che sei giovane vivi attaccato al computer e diventi schiavo del computer, tu perdi la libertà! E se tu nel computer cerchi i programmi sporchi, tu perdi la dignità!
Vedere la televisione, usare il computer, ma per le cose belle, le cose grandi, le cose che ci fanno crescere. Questo è buono! Grazie.
DOMANDA: Caro Santo Padre, io sto qui, in questo centro San Giovanni Paolo II e volevo chiederle se Lei è riuscito a sentire anche la gioia e l’amore che tutti questi giovani di Bosnia ed Erzegovina hanno verso la sua persona.
PAPA: Per dirti la verità, quando trovo i giovani sento la gioia e l’amore che hanno. Non solo per me, ma per gli ideali, per la vita. Vogliono crescere! Ma voi avete una singolarità: voi siete la prima – credo – generazione dopo la guerra. Voi siete fiori di una primavera, come ha detto mons. Semren: fiori di una primavera che vogliono andare avanti e non tornare alla distruzione, alle cose che ci fanno nemici gli uni gli altri. Io trovo in voi questa voglia e questo entusiasmo. E questo è nuovo per me. Io vedo che voi non volete distruzione: voi non volete essere nemici l’uno dell’altro. Volete camminare insieme, come ha detto Nadežda. E questo è grande! Io vedo in questa generazione, anche in voi, in voi tutti – ne sono sicuro! Guardate dentro di voi… – vedo che avete la stessa esperienza di Darko. Non siamo “loro ed io”, siamo “noi”. Noi vogliamo essere “noi”, per non distruggere la patria, per non distruggere il Paese. Tu sei musulmano, tu sei ebreo, tu sei ortodosso, tu sei cattolico… ma siamo “noi”. Questo è fare la pace! E questo è proprio della vostra generazione, ed è la vostra gioia!
Voi avete una vocazione grande. Una vocazione grande: mai costruire muri, soltanto ponti. E questa è la gioia che trovo in voi. Grazie!
DOMANDA: Anch’io sono qui come volontaria in questo centro, Santo Padre. Cosa ci può dire, qual è il suo messaggio per la pace per tutti noi giovani?
PAPA: In questa risposta, mi ripeto un po’ nelle cose che ho detto prima. Tutti parlano della pace: alcuni potenti della terra parlano e dicono belle cose sulla pace, ma sotto vendono le armi! Da voi io aspetto onestà, onestà fra quello che pensate, quello che sentite e quello che fate: le tre cose insieme. Il contrario si chiama ipocrisia! Anni fa io ho visto un film su questa città, non ricordo il nome, ma la versione tedesca – quella che ho visto – era “Die Brücke” (“Il ponte”). Non so come si chiama nella vostra lingua… E ho visto lì come il ponte sempre unisce. Quando il ponte non si usa per andare uno verso l’altro, ma è un ponte vietato, diventa la rovina di una città, la rovina di una esistenza. Per questo da voi, da questa prima generazione del dopoguerra, mi aspetto onestà e non ipocrisia. Unione, fare ponti, ma lasciare che si possa andare da una parte all’altra. Questa è fratellanza.
PAROLE DOPO LO SCAMBIO DEI DONI
Voi, i fiori di primavera del dopoguerra, fate la pace, lavorate per la pace, tutti insieme. Tutti insieme! Che questo sia un Paese di pace! “Mir Vama!”. Questo ricordatelo bene!
Che il Signore vi benedica. Io di cuore vi benedico e chiedo al Signore che vi benedica tutti. E, per favore, pregate per me!
SALUTO FINALE DEL PAPA:
Buonasera a tutti voi! “Mir Vama!”: è questo il compito che vi lascio. Fare la pace, tutti insieme!
Queste colombe sono un segno di pace, la pace che ci porterà gioia. E la pace si fa tra tutti, tra tutti: musulmani, ebrei, ortodossi, cattolici ed altre religioni. Tutti siamo fratelli! Tutti adoriamo un Unico Dio!
Mai, mai separazione fra noi! Fratellanza e unione.
Adesso mi congedo e vi chiedo, per favore, di pregare per me. Che il Signore vi benedica!
“Mir Vama!”.
Questo invece il discorso che era stato preparato. Papa Francesco lo ha consegnato, preferendo poi rispondere a braccio alle domande dei giovani.
Cari giovani,
ho desiderato tanto questo incontro con voi giovani di Bosnia ed Erzegovina e dei Paesi vicini. A ciascuno rivolgo un caro saluto. Trovandomi qui in questo “Centro” dedicato a san Giovanni Paolo II, non posso dimenticare quanto egli ha fatto per i giovani, incontrandoli e incoraggiandoli in ogni parte del mondo. Alla sua intercessione affido ognuno di voi, come anche tutte le iniziative che la Chiesa cattolica ha intrapreso nella vostra terra per testimoniare la sua vicinanza e la sua fiducia nei giovani. Noi tutti camminiamo insieme!
Conosco i dubbi e le speranze che portate nel cuore. Ce li hanno ricordati il Vescovo Mons. Marko Semren e i vostri rappresentanti, Darko e Nadežda. In particolare, condivido l’auspicio che alle nuove generazioni siano assicurate reali prospettive per un futuro dignitoso nel Paese, evitando così il triste fenomeno dell’esodo. A tale riguardo le Istituzioni sono chiamate a mettere in atto opportune e coraggiose strategie per favorire i giovani nella realizzazione delle loro legittime aspirazioni; in questo modo essi saranno in grado di contribuire fattivamente all’edificazione e alla crescita del Paese. La Chiesa, da parte sua, può dare il suo apporto con adeguati progetti pastorali, focalizzati sulla formazione della coscienza civica e morale della gioventù, aiutandola così ad essere protagonista della vita sociale. Questo impegno della Chiesa è già in atto, specialmente attraverso la preziosa opera delle scuole cattoliche, giustamente aperte non solo agli studenti cattolici, ma anche a quelli di altre confessioni cristiane e altre religioni. Tuttavia, la Chiesa deve sentirsi chiamata ad osare sempre di più, partendo dal Vangelo e spinta dallo Spirito Santo che trasforma le persone, la società e la Chiesa stessa.
Anche a voi giovani spetta un compito decisivo nell’affrontare le sfide di questo nostro tempo, che sono certamente sfide materiali, ma prima ancora riguardano la visione dell’uomo. Infatti, insieme con i problemi economici, con la difficoltà di trovare lavoro e la conseguente incertezza per il futuro, si avverte la crisi dei valori morali e lo smarrimento del senso della vita. Di fronte a questa situazione critica, qualcuno potrebbe cedere alla tentazione della fuga, dell’evasione, chiudendosi in un atteggiamento di isolamento egoista, rifugiandosi nell’alcol, nella droga, nelle ideologie che predicano l’odio e la violenza. Sono realtà che conosco bene perché purtroppo sono presenti anche nella città di Buenos Aires, da cui provengo. Per questo vi incoraggio a non lasciarvi abbattere dalle difficoltà, ma a far emergere senza paura la forza che viene dal vostro essere persone e cristiani, dal vostro essere semi di una società più giusta, fraterna, accogliente e pacifica. Voi giovani, insieme a Cristo, siete la forza della Chiesa e della società. Se vi lasciate plasmare da Lui, se vi aprite al dialogo con Lui nella preghiera, con la lettura e la meditazione del Vangelo, diventerete profeti e testimoni di speranza!
A questa missione siete chiamati: salvare la speranza alla quale vi spinge la vostra stessa realtà di persone aperte alla vita; la speranza che avete di superare l’attuale situazione, di preparare per il futuro un clima sociale e umano più degno di quello attuale; la speranza di vivere in un mondo più fraterno, più giusto e pacifico, più sincero, più a misura d’uomo. Vi auguro di prendere sempre più coscienza che siete figli di questa terra, che vi ha generato e che chiede di essere amata e aiutata a riedificarsi, a crescere spiritualmente e socialmente, anche grazie all’indispensabile contributo delle vostre idee e della vostra opera. Per vincere ogni traccia di pessimismo ci vuole il coraggio di spendersi con gioia e dedizione nella costruzione di una società accogliente, rispettosa di tutte le diversità, orientata alla civiltà dell’amore. Di questo stile di vita voi avete un grande testimone molto vicino: il beato Ivan Merz. San Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato a Banja Luka. Sia sempre vostro protettore e vostro esempio!
La fede cristiana ci insegna che siamo chiamati a un destino eterno, ad essere figli di Dio e fratelli in Cristo (cfr 1 Gv 3,1), ad essere creatori di fraternità per amore a Cristo. Mi rallegro per l’impegno nel dialogo ecumenico e interreligioso intrapreso da voi giovani cattolici e ortodossi, con il coinvolgimento anche del mondo giovanile musulmano. In questa importante attività svolge un ruolo significativo questo “Centro Giovanile San Giovanni Paolo II”, con iniziative di conoscenza reciproca e di solidarietà, per favorire la convivenza pacifica tra le diverse appartenenze etniche e religiose. Vi incoraggio a proseguire con fiducia questa opera, impegnandovi nei progetti comuni, con gesti concreti di vicinanza e di aiuto ai più poveri e bisognosi.
Cari giovani, la vostra presenza festosa, la vostra sete di verità e di ideali alti sono segni di speranza! La giovinezza non è passività, ma sforzo tenace per raggiungere mete importanti, anche se costa; non è chiudere gli occhi alla difficoltà, ma rifiutare i compromessi e la mediocrità; non è evasione o fuga, ma impegno di solidarietà con tutti, particolarmente con i più deboli. La Chiesa conta e vuole contare su di voi, che siete generosi e capaci dei migliori slanci e dei più nobili sacrifici. Per questo i vostri Pastori, e io con loro, vi chiediamo di non isolarvi, ma di essere sempre uniti tra di voi, per godere la bellezza della fraternità ed essere più efficaci nella vostra azione.
Dal vostro modo di amarvi e di impegnarvi tutti possano vedere che siete cristiani: i giovani cristiani della Bosnia ed Erzegovina! Senza paura; senza fuggire dalla realtà; aperti a Cristo e ai fratelli. Siete parte viva del grande Popolo che è la Chiesa: il Popolo universale, in cui tutte le nazioni e le culture possono ricevere la benedizione di Dio e trovare la via della pace. In questo Popolo ognuno di voi è chiamato a seguire Cristo e dare la vita per Dio e per i fratelli, nella strada che il Signore vi indicherà, anzi, che vi indica! Già oggi, adesso, il Signore vi chiama: volete rispondergli? Non abbiate paura. Non siamo soli! Siamo sempre con il Padre celeste, con Gesù nostro Fratello e Signore, con lo Spirito Santo; e abbiamo la Chiesa e Maria per madre. La Madonna vi protegga e vi dia sempre la gioia e il coraggio di testimoniare il Vangelo.
Vi benedico tutti, e vi chiedo per favore di pregare per me.