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I discorsi del Papa nella visita a Napoli
Incontro con la popolazione di Scampia e diverse categorie sociali (21 marzo, piazza Giovanni Paolo II, Napoli)
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Ho voluto incominciare da qui, da questa periferia, la mia visita a Napoli. Saluto tutti voi e vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza! Davvero si vede che i napoletani non sono freddi! Ringrazio il vostro Arcivescovo per avermi invitato – anche minacciato se non fossi venuto a Napoli – per le sue parole di benvenuto; e grazie a coloro che hanno dato voce alle realtà dei migranti, dei lavoratori e dei magistrati.
Voi appartenete a un popolo dalla lunga storia, attraversata da vicende complesse e drammatiche. La vita a Napoli non è mai stata facile, però non è mai stata triste! È questa la vostra grande risorsa: la gioia, l’allegria. Il cammino quotidiano in questa città, con le sue difficoltà e i suoi disagi e talvolta le sue dure prove, produce una cultura di vita che aiuta sempre a rialzarsi dopo ogni caduta, e a fare in modo che il male non abbia mai l’ultima parola. Questa è una sfida bella: non lasciare mai che il male abbia l’ultima parola. È la speranza, lo sapete bene, questo grande patrimonio, questa “leva dell’anima”, tanto preziosa, ma anche esposta ad assalti e ruberie.
Lo sappiamo, chi prende volontariamente la via del male ruba un pezzo di speranza, guadagna qualcosina ma ruba speranza a sé stesso, agli altri, alla società. La via del male è una via che ruba sempre speranza, la ruba anche alla gente onesta e laboriosa, e anche alla buona fama della città, alla sua economia.
Vorrei rispondere alla sorella che ha parlato a nome degli immigrati e dei senza fissa dimora. Lei ha chiesto una parola che assicuri che i migranti sono figli di Dio e che sono cittadini. Ma è necessario arrivare a questo? I migranti sono esseri umani di seconda classe? Dobbiamo far sentire ai nostri fratelli e sorelle migranti che sono cittadini, che sono come noi, figli di Dio, che sono migranti come noi, perché tutti noi siamo migranti verso un’altra patria, e magari arriveremo tutti. E nessuno si perda per il cammino! Tutti siamo migranti, figli di Dio che ci ha messo tutti in cammino. Non si può dire: “Ma i migranti sono così…Noi siamo…”. No! Tutti siamo migranti, tutti siamo in cammino. E questa parola che tutti siamo migranti non è scritta su un libro, è scritta nella nostra carne, nel nostro cammino di vita, che ci assicura che in Gesù tutti siamo figli di Dio, figli amati, figli voluti, figli salvati. Pensiamo a questo: tutti siamo migranti nel cammino della vita, nessuno di noi ha dimora fissa in questa terra, tutti ce ne dobbiamo andare. E tutti dobbiamo andare a trovare Dio: uno prima, l’altro dopo, o come diceva quell’anziano, quel vecchietto furbo: “Sì, sì, tutti! Andate voi, io vado per ultimo!”. Tutti dobbiamo andarci.
Poi c’è stato l’intervento del lavoratore. E ringrazio anche lui, perché naturalmente volevo toccare questo punto, che è un segno negativo del nostro tempo. In modo speciale lo è la mancanza di lavoro per i giovani. Ma voi pensate: più del 40 per cento dei giovani dai 25 anni in giù non ha lavoro! Questo è grave! Cosa fa un giovane senza lavoro? Che futuro ha? Che strada di vita sceglie? Questa è una responsabilità non solo della città, non solo del Paese, ma del mondo! Perché? Perché c’è un sistema economico che scarta la gente e adesso è il turno dei giovani a essere scartati, cioè senza lavoro. Questo è grave! “Ma ci sono le opere di carità, ci sono i volontariati, c’è la Caritas, c’è quel centro, c’è quel club che dà da mangiare…”. Ma il problema non è mangiare, il problema più grave è non avere la possibilità di portare il pane a casa, di guadagnarlo! E quando non si guadagna il pane, si perde la dignità! Questa mancanza di lavoro ci ruba la dignità. Dobbiamo lottare per questo, dobbiamo difendere la nostra dignità di cittadini, di uomini, di donne, di giovani. Questo è il dramma del nostro tempo. Non dobbiamo rimanere zitti.
Penso anche al lavoro a metà. Cosa voglio dire con questo? Lo sfruttamento delle persone nel lavoro. Alcune settimane fa, una ragazza che aveva bisogno di lavoro, ne ha trovato uno in una ditta turistica e le condizioni erano queste: 11 ore di lavoro, 600 euro al mese senza nessun contributo per la pensione. “Ma è poco per 11 ore!”. “Se non ti piace, guarda la coda di gente che sta aspettando il lavoro!”. Questo si chiama schiavitù, questo si chiama sfruttamento, questo non è umano, questo non è cristiano. E se quello che fa così si dice cristiano è un bugiardo, non dice il vero, non è cristiano. Anche lo sfruttamento del lavoro in nero – tu lavori senza contratto e ti pago quello che voglio – è sfruttamento delle persone. “Senza i contributi per la pensione e per la salute?”. “A me non interessa”.
Io ti capisco bene, fratello, e ti ringrazio per quello che hai detto. Dobbiamo riprendere la lotta per la nostra dignità che è la lotta per cercare, per trovare, per ritrovare la possibilità di portare il pane a casa! Questa è la nostra lotta!
E qui penso all’intervento del Presidente della Corte di Appello. Lui ha usato una bella espressione “percorso di speranza” e ricordava un motto di san Giovanni Bosco: “buoni cristiani e onesti cittadini”, rivolto ai bambini e ai ragazzi. Il percorso di speranza per i bambini – questi che sono qui e per tutti – è prima di tutto e l’educazione, ma una vera educazione, il percorso di educare per un futuro: questo previene e aiuta ad andare avanti. Il giudice ha detto una parola che io vorrei riprendere, una parola che si usa molto oggi, il giudice ha detto “corruzione”. Ma, ditemi, se noi chiudiamo la porta ai migranti, se noi togliamo il lavoro e la dignità alla gente, come si chiama questo? Si chiama corruzione e tutti noi abbiamo la possibilità di essere corrotti, nessuno di noi può dire: “io non sarò mai corrotto”. No! E’ una tentazione, è uno scivolare verso gli affari facili, verso la delinquenza, verso i reati, verso lo sfruttamento delle persone. Quanta corruzione c’è nel mondo! E’ una parola brutta, se ci pensiamo un po’. Perché una cosa corrotta è una cosa sporca! Se noi troviamo un animale morto che si sta corrompendo, che è “corrotto”, è brutto e puzza anche. La corruzione puzza! La società corrotta puzza! Un cristiano che lascia entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, puzza!
Cari amici, la mia presenza vuole essere un impulso a un cammino di speranza, di rinascita e di risanamento già in corso. Conosco l’impegno, generoso e fattivo, della Chiesa, presente con le sue comunità e i suoi servizi nel vivo della realtà di Scampia; come pure la continua mobilitazione di gruppi di volontari, che non fanno mancare il loro aiuto.
Incoraggio anche la presenza e l’attivo impegno delle Istituzioni cittadine, perché una comunità non può progredire senza il loro sostegno, tanto più in momenti di crisi e in presenza di situazioni sociali difficili e talvolta estreme. La “buona politica” è un servizio alle persone, che si esercita in primo luogo a livello locale, dove il peso delle inadempienze, dei ritardi, delle vere e proprie omissioni è più diretto e fa più male. La buona politica è una delle espressioni più alte della carità, del servizio e dell’amore. Fate una buona politica, ma fra di voi: la politica si fa tutti insieme! Fra tutti si fa una buona politica!
Napoli è sempre pronta a risorgere, facendo leva su una speranza forgiata da mille prove, e perciò risorsa autentica e concreta sulla quale contare in ogni momento. La sua radice risiede nell’animo stesso dei Napoletani, soprattutto nella loro gioia, nella lororeligiosità, nella loro pietà! Vi auguro che abbiate il coraggio di andare avanti con questa gioia, con questa radice, il coraggio di portare avanti la speranza, di non rubare mai la speranza a nessuno, di andare avanti per la strada del bene, non per la strada del male, di andare avanti nell’accoglienza di tutti quelli che vengono a Napoli da qualunque Paese: siano tutti napoletani, imparino il napoletano che è tanto dolce e tanto bello! Vi auguro di andare avanti nel cercare fonti di lavoro, perché tutti abbiano la dignità di portare il pane a casa, e di andare avanti nella pulizia della propria anima, nella pulizia della città, nella pulizia della società perché non ci sia quella puzza della corruzione!
Vi auguro il meglio, andate avanti e San Gennaro, vostro Patrono, vi assista e interceda per voi.
Benedico di cuore tutti voi, benedico le vostre famiglie e questo vostro quartiere, benedico i bambini che sono qui attorno a noi. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. ‘A Maronna v’accumpagne!
Omelia nella concelebrazione eucaristica in piazza del Plebiscito a Napoli
Il passo del Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta una scena ambientata nel tempio di Gerusalemme, al culmine della festa ebraica delle capanne, dopo che Gesù ha proclamato una grande profezia rivelandosi come sorgente dell’“acqua viva”, cioè lo Spirito Santo (cfr Gv 7,37-39). Allora la gente, molto impressionata, si mette a discutere su di Lui. Anche oggi la gente discute su di Lui. Alcuni sono entusiasti e dicono che «è davvero il profeta» (v. 40). Qualcuno addirittura afferma: «Costui è il Cristo!» (v. 41). Ma altri si oppongono perché – dicono – il Messia non viene dalla Galilea, ma dalla stirpe di Davide, da Betlemme; e così, senza saperlo, confermano proprio l’identità di Gesù.
I capi dei sacerdoti avevano mandato delle guardie per arrestarlo, come si fa nelle dittature, ma queste ritornano a mani vuote e dicono: «Mai un uomo ha parlato così!» (v. 45). Ecco la voce della verità, che risuona in quegli uomini semplici.
La parola del Signore, ieri come oggi, provoca sempre una divisione: la parola di Dio divide, sempre! Provoca una divisione tra chi la accoglie e chi la rifiuta. A volte un contrasto interiore si accende anche nel nostro cuore; questo accade quando avvertiamo il fascino, la bellezza e la verità delle parole di Gesù, ma nello stesso tempo le respingiamo perché ci mettono in discussione, ci mettono in difficoltà e ci costa troppo osservarle.
Oggi sono venuto a Napoli per proclamare insieme a voi: Gesù è il Signore! Ma non voglio dirlo solo io: voglio sentirlo da voi, da tutti, adesso, tutti insieme “Gesù è il Signore!”, un’altra volta “Gesù è il Signore!” Nessuno parla come Lui! Lui solo ha parole di misericordia che possono guarire le ferite del nostro cuore. Lui solo ha parole di vita eterna (cfr Gv 6,68).
La parola di Cristo è potente: non ha la potenza del mondo, ma quella di Dio, che è forte nell’umiltà, anche nella debolezza. La sua potenza è quella dell’amore: questa è la potenza della parola di Dio! Un amore che non conosce confini, un amore che ci fa amare gli altri prima di noi stessi. La parola di Gesù, il santo Vangelo, insegna che i veri beati sono i poveri in spirito, i non violenti, i miti, gli operatori di pace e di giustizia. Questa è la forza che cambia il mondo! Questa è la parola che dà forza ed è capace di cambiare il mondo. Non c’è un’altra strada per cambiare il mondo.
La parola di Cristo vuole raggiungere tutti, in particolare quanti vivono nelle periferie dell’esistenza, perché trovino in Lui il centro della loro vita e la sorgente della speranza. E noi, che abbiamo avuto la grazia di ricevere questa Parola di Vita – è una grazia ricevere la parola di Dio! – siamo chiamati ad andare, a uscire dai nostri recinti e, con ardore di cuore, portare a tutti la misericordia, la tenerezza, l’amicizia di Dio: questo è un lavoro che tocca a tutti, ma in modo speciale a voi sacerdoti. Portare misericordia, portare perdono, portare pace, portare gioia nei Sacramenti e nell’ascolto. Che il popolo di Dio possa trovare in voi uomini misericordiosi come Gesù. Nello stesso tempo ogni parrocchia e ogni realtà ecclesiale diventi santuario per chi cerca Dio e casa accogliente per i poveri, gli anziani e quanti si trovano nel bisogno. Andare e accogliere: così pulsa il cuore della madre Chiesa, e di tutti i suoi figli. Vai, accogli! Vai, cerca! Vai, porta amore, misericordia, tenerezza.
Quando i cuori si aprono al Vangelo, il mondo comincia a cambiare e l’umanità risorge! Se accogliamo e viviamo ogni giorno la Parola di Gesù, risorgiamo con Lui.
La Quaresima che stiamo vivendo fa risuonare nella Chiesa questo messaggio, mentre camminiamo verso la Pasqua: in tutto il popolo di Dio si riaccende la speranza di risorgere con Cristo, nostro Salvatore. Che non giunga invano la grazia di questa Pasqua, per il popolo di Dio di questa città! Che la grazia della Risurrezione sia accolta da ognuno di voi, perché Napoli sia piena della speranza di Cristo Signore! La speranza: “Largo alla speranza”, dice il motto di questa mia Visita. Lo dico a tutti, in modo particolare ai giovani: apritevi alla potenza di Gesù Risorto, e porterete frutti di vita nuova in questa città: frutti di condivisione, di riconciliazione, di servizio, di fraternità. Lasciatevi avvolgere, abbracciare dalla sua misericordia, dalla misericordia di Gesù, di quella misericordia che soltanto Gesù ci porta.
Cari napoletani, largo alla speranza e non lasciatevi rubare la speranza! Non cedete alle lusinghe di facili guadagni o di redditi disonesti: questo è pane per oggi e fame per domani. Non ti può portare niente! Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, i poveri e i deboli, con il cinico commercio della droga e altri crimini. Non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate che la vostra gioventù sia sfruttata da questa gente! La corruzione e la delinquenza non sfigurino il volto di questa bella città! E di più: non sfigurino la gioia del vostro cuore napoletano! Ai criminali e a tutti i loro complici oggi io umilmente, come fratello, ripeto: convertitevi all’amore e alla giustizia! Lasciatevi trovare dalla misericordia di Dio! Siate consapevoli che Gesù vi sta cercando per abbracciarvi, per baciarvi, per amarvi di più. Con la grazia di Dio, che perdona tutto e perdona sempre, è possibile ritornare a una vita onesta. Ve lo chiedono anche le lacrime delle madri di Napoli, mescolate con quelle di Maria, la Madre celeste invocata a Piedigrotta e in tante chiese di Napoli. Queste lacrime sciolgano la durezza dei cuori e riconducano tutti sulla via del bene.
Oggi incomincia la primavera e la primavera porta speranza: tempo di speranza. E l’oggi di Napoli è tempo di riscatto per Napoli: questo è il mio augurio e la mia preghiera per una città che ha in sé tante potenzialità spirituali, culturali e umane, e soprattutto tanta capacità di amare. Le autorità, le istituzioni, le varie realtà sociali e i cittadini, tutti insieme e concordi, possono costruire un futuro migliore. E il futuro di Napoli non è ripiegarsi rassegnata su sé stessa: questo non è il vostro futuro! Ma il futuro di Napoli è aprirsi con fiducia al mondo, dare largo alla speranza. Questa città può trovare nella misericordia di Gesù, che fa nuove tutte le cose, la forza per andare avanti con speranza, la forza per tante esistenze, tante famiglie e comunità. Sperare è già resistere al male. Sperare è guardare il mondo con lo sguardo e con il cuore di Dio. Sperare è scommettere sulla misericordia di Dio che è Padre e perdona sempre e perdona tutto.
Dio, fonte della nostra gioia e ragione della nostra speranza, vive nelle nostre città. Dio vive a Napoli! La sua grazia e la sua benedizione sostengano il vostro cammino nella fede, nella carità e nella speranza, i vostri propositi di bene e i vostri progetti di riscatto morale e sociale. Abbiamo tutti insieme proclamato Gesù come il Signore: diciamolo ancora alla fine: “Gesù è il Signore!”, tutti tre volte: “Gesù è il Signore!”. E ca ‘a Maronna v’accumpagne!
Discorso nella visita alla Casa circondariale «Giuseppe Salvia» a Poggioreale (discorso consegnato)
Sono contento di trovarmi in mezzo a voi in occasione della mia visita a Napoli. Ringrazio Claudio e Pasquale che hanno parlato a nome di tutti. Questo incontro mi permette di esprimere la mia vicinanza a voi, e lo faccio portandovi la parola e l’amore di Gesù, che è venuto sulla terra per rendere piena la nostra speranza ed è morto in croce per salvare ciascuno di noi.
A volte capita di sentirsi delusi, sfiduciati, abbandonati da tutti: ma Dio non si dimentica dei suoi figli, non li abbandona mai! Egli è sempre al nostro fianco, specialmente nell’ora della prova; è un Padre «ricco di misericordia» (Ef 2,4), che volge sempre su di noi il suo sguardo sereno e benevolo, ci attende sempre a braccia aperte. Questa è una certezza che infonde consolazione e speranza, specialmente nei momenti difficili e tristi. Anche se nella vita abbiamo sbagliato, il Signore non si stanca di indicarci la via del ritorno e dell’incontro con Lui. L’amore di Gesù per ciascuno di noi è sorgente di consolazione e di speranza. E’ una certezza fondamentale per noi: niente potrà mai separarci dall’amore di Dio! Neanche le sbarre di un carcere. L’unica cosa che ci può separare da Lui è il nostro peccato; ma se lo riconosciamo e lo confessiamo con pentimento sincero, proprio quel peccato diventa luogo di incontro Lui, perché Lui è misericordia.
Cari fratelli, conosco le vostre situazioni dolorose: mi arrivano tante lettere – alcune davvero commoventi – dai penitenziari di tutto il mondo. I carcerati troppo spesso sono tenuti in condizioni indegne della persona umana, e dopo non riescono a reinserirsi nella società. Ma grazie a Dio ci sono anche dirigenti, cappellani, educatori, operatori pastorali che sanno stare vicino a voi nel modo giusto. E ci sono alcune esperienze buone e significative di inserimento. Bisogna lavorare su questo, sviluppare queste esperienze positive, che fanno crescere un atteggiamento diverso nella comunità civile e anche nella comunità della Chiesa. Alla base di questo impegno c’è la convinzione che l’amore può sempre trasformare la persona umana. E allora un luogo di emarginazione, come può essere il carcere in senso negativo, può diventare un luogo di inclusione e di stimolo per tutta la società, perché sia più giusta, più attenta alle persone.
Vi invito a vivere ogni giorno, ogni momento alla presenza di Dio, a cui appartiene il futuro del mondo e dell’uomo. Ecco la speranza cristiana: il futuro è nelle mani di Dio! La storia ha un senso perché è abitata dalla bontà di Dio. Pertanto, anche in mezzo a tanti problemi, anche gravi, non perdiamo la nostra speranza nella infinita misericordia di Dio e nella sua provvidenza. Con questa sicura speranza, prepariamoci alla Pasqua ormai vicina, orientando decisamente la nostra vita verso il Signore e mantenendo viva in noi la fiamma del suo amore.
Incontro con il clero, i religiosi e i diaconi permanenti nel Duomo di Napoli
Vi ringrazio per la vostra accoglienza in questo luogo-simbolo della fede e della storia di Napoli: la Cattedrale. Grazie, Signor Cardinale, per aver introdotto questo nostro incontro; e grazie ai due fratelli che hanno posto le domande a nome di tutti.
Vorrei partire da quella espressione che ha detto il Vicario per il Clero: “Essere preti è bello”. Sì, è bello essere preti, e anche essere consacrati. Mi rivolgo prima ai sacerdoti, e poi ai consacrati.
Condivido con voi la sorpresa sempre nuova di essere chiamato dal Signore a seguirlo, a stare con Lui, ad andare verso la gente portando la sua parola, il suo perdono… Davvero, è una cosa grande che ci è capitata, una grazia del Signore che si rinnova ogni giorno. Immagino che in una realtà impegnativa come Napoli, con antiche e nuove sfide, ci si butta a capofitto per andare incontro alle necessità di tanti fratelli e sorelle, correndo il rischio di venire totalmente assorbiti. Occorre sempre trovare il tempo per stare davanti al Tabernacolo, sostare lì in silenzio, per sentire su di noi lo sguardo di Gesù, che ci rinnova e ci rianima. E se lo stare davanti a Gesù ci inquieta un po’, è buon segno, ci farà bene! È proprio della preghiera mostrarci se stiamo camminando sulla via della vita o su quella della menzogna, come dice il Salmo (cfr 138,24), se lavoriamo come buoni operai oppure siamo diventati degli “impiegati”, se siamo dei “canali” aperti, attraverso cui scorre l’amore e la grazia del Signore, o se invece mettiamo al centro noi stessi, finendo per diventare degli “schermi” che non aiutano l’incontro con il Signore.
E poi c’è la bellezza della fraternità, dell’essere preti insieme, del seguire il Signore non da soli, non individualmente, ma insieme, nella grande varietà dei doni e delle personalità, e il tutto vissuto nella comunione e nella fraternità. Anche questo non è facile, non è immediato e scontato, perché anche noi preti viviamo immersi in questa cultura soggettivistica di oggi, che esalta l’io fino ad idolatrarlo. E poi c’è anche un certo individualismo pastorale, che comporta la tentazione di andare avanti da soli, o con il piccolo gruppo di quelli che “la pensano come me”… Sappiamo invece che tutti sono chiamati a vivere la comunione in Cristo nel presbiterio, intorno al Vescovo. Si possono, anzi si devono cercare sempre forme concrete adeguate ai tempi e alla realtà del territorio, ma questa ricerca pastorale e missionaria va fatta in atteggiamento di comunione, con umiltà e fraternità.
E non dimentichiamo la bellezza del camminare con il popolo. So che da qualche anno la vostra comunità diocesana ha intrapreso un impegnativo percorso di riscoperta della fede, a contatto con una realtà cittadina che vuole rialzarsi e ha bisogno della collaborazione di tutti. Vi incoraggio pertanto ad uscire per andare incontro all’altro, ad aprire le porte e raggiungere le famiglie, gli ammalati, i giovani, gli anziani, là dove vivono, cercandoli, affiancandoli, sostenendoli, per celebrare con loro la liturgia della vita. In particolare, sarà bello accompagnare le famiglie nella sfida di generare ed educare i figli. I bambini sono un “segno diagnostico”, per vedere la salute della società. I bambini non vanno viziati, ma vanno amati! E noi sacerdoti siamo chiamati ad accompagnare le famiglie perché i bambini siano educati alla vita cristiana.
Il secondo intervento faceva riferimento alla vita consacrata, e ha menzionato luci e ombre. C’è sempre la tentazione di sottolineare di più le ombre a discapito delle luci. Questo però porta a ripiegarci su noi stessi, a recriminare in continuazione, ad accusare sempre gli altri. E invece, specialmente durante questo Anno della Vita Consacrata, lasciamo emergere in noi e nelle nostre comunità la bellezza della nostra vocazione, perché sia vero che «dove ci sono i religiosi c’è gioia». Con questo spirito ho scritto laLettera ai consacrati, e spero che vi stia aiutando nel vostro cammino personale e comunitario. Vorrei domandarvi: com’è il “clima” nelle vostre comunità? C’è questa gratitudine, c’è questa gioia di Dio che colma il nostro cuore? Se c’è questo, allora si realizza il mio auspicio che non ci siano tra noi volti tristi, persone scontente e insoddisfatte, perché “una sequela triste è una triste sequela” (ivi, II, 1).
Cari fratelli e sorelle consacrati, vi auguro di testimoniare, con umiltà e semplicità, che la vita consacrata è un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo. Un dono da non trattenere per sé stessi, ma da condividere, portando Cristo in ogni angolo di questa città. Che la vostra quotidiana gratitudine a Dio trovi espressione nel desiderio di attirare i cuori a Lui, e di accompagnarli nel cammino. Sia nella vita contemplativa, sia in quella apostolica, possiate sentire forte in voi l’amore per la Chiesa e contribuire, mediante il vostro specifico carisma, alla sua missione di proclamare il Vangelo e di edificare il popolo di Dio nell’unità, nella santità e nell’amore.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio. Andiamo avanti, animati dal comune amore per il Signore e per la santa madre Chiesa. Vi benedico di cuore. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
Incontro con gli ammalati nella Basilica di Gesù nuovo (Napoli)
Non è facile avvicinarsi a un ammalato. Le cose più belle delle vita e le cose più misere sono pudiche, si nascondono. Il più grande amore, uno cerca di nasconderlo per pudore; e le cose che mostrano la nostra miseria umana, anche noi cerchiamo di nasconderle, per pudore. Per questo, per trovare un ammalato bisogna andare da lui, perché il pudore della vita lo nasconde. Andare a trovare l’ammalato. E quando ci sono malattie per tutta la vita, quando ci troviamo in malattie che segnano tutta una vita, noi preferiamo nasconderle, perché andare a trovare l’ammalato è andare a trovare la propria malattia, quella che noi abbiamo dentro. E’ avere il coraggio di dire a se stesso: anche io ho qualche malattia nel cuore, nell’anima, nello spirito, anche io sono un ammalato spirituale.
Dio ci ha creati per cambiare il mondo, per essere efficienti, per dominare la Creazione: è il nostro compito. Ma quando ci troviamo davanti una malattia, vediamo che questa malattia impedisce questo: quell’uomo, quella donna che è nato o nata così, o che il suo corpo è diventato così, è un dire ‘no’ – sembra – alla missione di trasformare il mondo. Questo è il mistero della malattia. Si può avvicinare una malattia soltanto in spirito di fede. Possiamo avvicinarci bene a un uomo, a una donna, a un bambino, a una bambina, ammalati, soltanto se guardiamo a Colui che ha portato su di sé tutte le nostre malattie, se ci abituiamo a guardare il Cristo Crocifisso. Lì è l’unica spiegazione di questo “fallimento”, di questo fallimento umano, la malattia per tutta la vita. L’unica spiegazione è in Cristo Crocifisso.
A voi ammalati vi dico che se non potete capire il Signore, chiedo al Signore che vi faccia capire nel cuore che siete la carne di Cristo, che siete Cristo Crocifisso fra noi, che siete i fratelli molto vicini a Cristo. Una cosa è guardare un Crocifisso e un’altra cosa è guardare un uomo, una donna, un bambino ammalati, cioè crocifissi lì nella loro malattia: sono la carne viva di Cristo.
A voi volontari, grazie tante! Grazie tante per spendere il vostro tempo carezzando la carne di Cristo, servendo il Cristo Crocifisso, vivo. Grazie! E anche a voi medici, infermieri dico grazie. Grazie per fare questo lavoro, grazie per non fare della vostra professione un affare. Grazie a tanti di voi che seguite l’esempio del Santo che è qui, che ha lavorato qui a Napoli: servire senza arricchirsi del servizio. Quando la medicina si trasforma in commercio, in affare, è come il sacerdozio quando agisce allo stesso modo: perde il nocciolo della sua vocazione.
A voi tutti cristiani di questa diocesi di Napoli, chiedo di non dimenticare quello che Gesù ci ha chiesto e che è anche scritto nel “protocollo” sul quale noi saremo giudicati: Sono stato ammalato e mi hai visitato (cfr Mt 25,36). Su questo saremo giudicati. Il mondo della malattia è un mondo di dolore. I malati soffrono, rispecchiano il Cristo sofferente: non bisogna avere paura di avvicinarsi a Cristo che soffre. Grazie tante per tutto quello che fate. E preghiamo perché tutti i cristiani della diocesi abbiano più coscienza di questo e preghiamo perché il Signore dia a voi e a tanti volontari la perseveranza in questo servizio di carezzare la carne sofferente del Cristo. Grazie.
Incontro con giovani e famiglie sul Lungomare Caracciolo (Napoli)
Il Papa ha risposto alle domande postegli rispettivamente da una giovane, da una signora di 95 anni e da una coppia di coniugi. Questo il testo del dialogo, con le risposte del Santo Padre:
Domanda di Bianca, una giovane
A nome di tutti i giovani le do il benvenuto a Napoli! Santità, Lei ci insegna che l’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra, che trasmette gioia dovunque si trova, e questo vale tanto per noi! Tuttavia, è altrettanto grande la fame di sogni e di speranze che c’è nel nostro cuore, per cui spesso diventa difficile coniugare i valori cristiani che portiamo dentro con gli orrori, le difficoltà e le corruzioni che ci circondano nel quotidiano. Padre Santo, in mezzo a tali “silenzi di Dio” come piantare germogli di gioia e semi di speranza per far fruttare la terra dell’autenticità, della verità, della giustizia, dell’amore vero, quello che supera ogni limite umano?
Santo Padre
Scusatemi se sono seduto, ma sono stanco davvero, perché voi napoletani mi fate muovere… Dio, il nostro Dio, è un Dio delle parole, è un Dio dei gesti, è un Dio dei silenzi. Il Dio delle parole, lo sappiamo perché nella Bibbia ci sono le parole di Dio: Dio ci parla, ci cerca. Il Dio dei gesti è il Dio che va. Pensiamo alla parabola del Buon Pastore che va a cercarci, che ci chiama per nome, che ci conosce meglio di noi stessi, che sempre ci aspetta, che sempre ci perdona, che sempre ci capisce con gesti di tenerezza. E poi il Dio del silenzio. Pensate ai grandi silenzi nella Bibbia: per esempio il silenzio nel cuore di Abramo, quando andava con suo figlio per offrirlo in sacrificio. Due giorni, salendo sul monte, ma lui non osava dire qualcosa al figlio, anche se il figlio, che non era sciocco, capiva. E Dio taceva. Ma il più grande silenzio di Dio è stato la Croce: Gesù ha sentito il silenzio del Padre, fino a definirlo “abbandono”: “Padre perché mi hai abbandonato?”. E poi, è successo quel miracolo di Dio, quella parola, quel gesto grandioso che è stata la Risurrezione. Il nostro Dio è anche il Dio dei silenzi e ci sono silenzi di Dio che non si possono spiegare se tu non guardi il Crocifisso. Per esempio, perché soffrono i bambini? Come mi spieghi tu questo? Dove trovi una parola di Dio che spieghi perché soffrono i bambini? Questo è uno dei grandi silenzi di Dio. E il silenzio di Dio non dico che si può “capire”, ma possiamo avvicinarci ai silenzi di Dio guardando il Cristo crocifisso, il Cristo che muore, il Cristo abbandonato, dall’Orto degli Ulivi fino alla Croce. Questi sono i silenzi. “Ma, Dio ci ha creati per essere felici” – “Sì, è vero”. Ma Lui, tante volte tace. E questa è la verità. Io non posso ingannarti dicendo: “No, tu abbi fede e andrà tutto bene, sarai felice, avrai una buona fortuna, avrai soldi …”: No, il nostro Dio sta anche in silenzio. Ricordati: è il Dio delle parole, il Dio dei gesti e il Dio dei silenzi, queste tre cose devi unirle nella tua vita. Questo è quello che mi viene di dirti. Scusami. Non ho un’altra “ricetta”.
Domanda di Erminia, anziana di 95 anni
Padre Santo, mi chiamo Erminia, ho 95 anni. Ringrazio Dio per il dono di una vita lunga. E ringrazio anche Lei perché non perde occasione per difenderla. Ce n’è tanto bisogno! Perché nella nostra società, è un dono che sembra quasi far paura e che spesso viene respinto e scartato. Con il passare degli anni mi sono ritrovata sola dopo la morte di mio marito, più fragile e bisognosa di aiuto. Ho avuto paura di dover lasciare la mia casa, per finire in qualche istituto, in uno di quei “depositi per vecchi” di cui Lei ha parlato. Così gli anziani, tante volte, sono spinti a domandarsi se la loro esistenza abbia ancora un senso. Ho avuto la grazia di incontrare una comunità cristiana che non ha perso la sua anima e dove si vive l’affetto e la gratuità. Così nella mia vecchiaia sono arrivati degli “angeli”, come li chiamo io, giovani e meno giovani, che mi aiutano, mi fanno visita, mi sostengono nelle difficoltà quotidiane. L’amicizia con loro mi ha dato tanta forza e tanto coraggio. Anche pregare insieme mi ha aiutato tanto: sono debole, ma pregando per i poveri, per i malati, per i bisogni del mondo, per la pace, per il bene della Chiesa, ed anche per il Papa, trovo la forza di aiutare e proteggere gli altri. Così quanti aiutano a quanti sono aiutati formano un’unica famiglia: giovani e anziani insieme. Come tutti noi possiamo vivere di più una Chiesa che sia famiglia di tutte le generazioni, non scartando gli anziani e facendolisentire parte viva della comunità?
Santo Padre
Si accomodi, perché quando io sento dire che lei ha 95 anni, io ho voglia di dire: ma se lei ha 95 anni, io sono Napoleone! Complimenti per come li porta! Lei ha detto una parola chiave della nostra cultura: “scartare”. Gli anziani vengono scartati, perché questa società butta quello che non è utile: usa e getta. I bambini non sono utili: perché avere bambini? Meglio non averne. Ma io ho comunque affetto, mi arrangio anche con un cagnolino e un gatto. La nostra società è così: quanta gente preferisce scartare i bambini e confortarsi con il cagnolino o con il gatto! Si scartano i bambini, si scartano gli anziani, perché si lasciano da soli. Noi anziani abbiamo acciacchi, problemi e portiamo problemi agli altri, e la gente forse ci scarta per i nostri acciacchi, perché non serviamo più. E c’è anche questa abitudine di – scusatemi la parola – di lasciarli morire e siccome a noi piace tanto usare eufemismi, diciamo una parola tecnica: eutanasia. Ma non solo l’eutanasia fatta con una puntura, ma l’eutanasia nascosta, quella di non darti le medicine, non darti le cure, renderti la vita triste e così si muore, si finisce.
Questa strada, che lei dice che ha trovato, è la migliore medicina per vivere a lungo: la vicinanza, l’amicizia, la tenerezza. A volte domando ai figli che hanno genitori anziani: siete vicini ai vostri genitori anziani? E se voi li avete in una casa di riposo – perché a casa capita davvero non si possono tenere in quanto lavorano sia il papà che la mamma – ma andate a trovarli? Nell’altra diocesi, quando visitavo le case di riposo, ho trovato tanti anziani ai quali domandavo: “E i vostri figli?”. “Bene, bene, bene”. “Vengono a trovarvi?”. Stavano zitti e io me ne accorgevo subito… “Quando sono venuti l’ultima volta?”. “per Natale”: eravamo nel mese di agosto. Li lasciano lì senza affetto, e l’affetto è la medicina più importante per un anziano. Ma, tutti abbiamo bisogno di affetto e con l’età di più. A voi, figli, che avete genitori anziani, vi chiedo di fare un esame di coscienza: come va il quarto comandamento? Vai a trovarli? Dai loro tenerezza? Perdi il tempo con il tuo papà o con la tua mamma anziana? A me piace raccontare una storia che da bambino mi raccontavano a casa. C’era un nonno che abitava con il figlio, la nuora e i nipotini. Ma il nonno invecchiò e alla fine, poverino, quando mangiava, prendeva la zuppa e si sporcava un po’. Un giorno il papà ha deciso che il nonno non avrebbe più mangiato alla mensa della famiglia perché non era una bella figura, non potevano invitare amici. Ha fatto comprare un tavolino e il nonno mangiava in cucina da solo. La solitudine è il veleno più grande per gli anziani. Un giorno, il papà torna dal lavoro e trova il figlio di quattro anni che stava giocando con il legno, i chiodi e un martello. E gli dice: “Ma cosa fai?”. “Un tavolino, perché quando tu diventi anziano, potrai mangiare lì!”. Quello che si semina, si raccoglie! A voi, figli ricordo il quarto comandamento. Tu dai affetto ai tuoi genitori, li abbracci, dici loro che vuoi loro bene? Se spendono tanti soldi in medicine, tu li rimproveri? Fate un bell’esame di coscienza. L’affetto è la medicina più grande per noi anziani. Questa testimonianza che lei dà, con i suoi amici – che sono bravi! – deve raccontarla tanto, perché la gente si animi a fare lo stesso. Ma mai scartare un anziano. Mai.
Domanda della famiglia Russo
Santità, Lei ci ha recentemente detto che bisogna comunicare il bello della famiglia, in quanto essa è il luogo privilegiato dell’incontro della gratuità dell’amore. La sfida richiede impegno, conoscenza e resistenza alle correnti contrarie, rivalutando la capacità di scelte coraggiose che difendono il senso vero della famiglia come risorsa della società e come mezzo privilegiato di trasmissione della fede. Lei ci incita a “non lasciarci rubare la speranza” ma in una città come Napoli patria di tanti Santi ma anche sede di tante sofferenze e contraddizioni dove la famiglia è sotto attacco, come possiamo costruire una pastorale della famiglia in uscita, all’ attacco e non chiusa in difesa, e che ne racconti a tutti la bellezza ? Come possiamo coniugare la nostra eccessiva secolarità con la spiritualità e, ispirandoci alle parole del nostro Arcivescovo, “fare largo alla speranza”?
Santo Padre
La famiglia è in crisi: questo è vero, non è una novità. I giovani non vogliono sposarsi, preferiscono convivere, tranquilli e senza compromessi; poi, se viene un figlio si sposeranno per forza. Oggi non va di moda sposarsi! Poi, tante volte nei matrimoni in chiesa io domando: “Tu che vieni a sposarti, lo fai perché davvero vuoi ricevere dal tuo fidanzato e dalla tua fidanzata il Sacramento, o tu vieni perché socialmente si deve fare così?”. È successo poco tempo fa che, dopo una lunga convivenza, una coppia che io conosco si decise a sposarsi. “E quando?”. “Ancora non sappiamo, perché stiamo cercando la chiesa che sia in armonia con il vestito, e poi stiamo cercando il ristorante che sia vicino alla chiesa, e poi dobbiamo fare le bomboniere, e poi …”. “Ma dimmi: con che fede ti sposi?”. La crisi della famiglia è una realtà sociale. Poi ci sono le colonizzazioni ideologiche sulle famiglie, modalità e proposte che ci sono in Europa e vengono anche da Oltreoceano Poi quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender, che crea tanta confusione. Così la famiglia è sotto attacco. Come si può fare, con la secolarizzazione che è attiva? Come si può fare con queste colonizzazioni ideologiche? Come si può fare con una cultura che non considera la famiglia, dove si preferisce non sposarsi? Io non ho la ricetta, La Chiesa è consapevole di questo e il Signore ha ispirato di convocare il Sinodo sulla famiglia, sui tanti problemi. Ad esempio, il problema della preparazione al matrimonio in chiesa. Come si preparano le coppie che vengono per sposarsi? A volte si fanno tre conferenze… E’ sufficiente questo per verificare la fede? Non è facile. La preparazione al matrimonio non è questione di un corso, come potrebbe essere un corso di lingue: diventate sposi in otto lezioni. La preparazione al matrimonio è un’altra cosa. Deve incominciare da casa, dagli amici, dalla gioventù, dal fidanzamento. Il fidanzamento ha perso il senso sacro del rispetto. Oggi, normalmente, fidanzamento e convivenza sono quasi la stessa cosa. Non sempre, perché ci sono belli esempi… Come preparare un fidanzamento che maturi? Perché quando il fidanzamento è buono, arriva a un punto che devi sposarti, perché è maturo. E’ come la frutta: se tu non la cogli quando è matura, non va bene. Ma è tutta una crisi, e vi chiedo di pregare tanto. Io non ho ricette per questo. Ma è importante la testimonianza dell’amore, la testimonianza di come risolvere i problemi
Nel matrimonio si litiga anche e.. volano i piatti. Io do sempre un consiglio pratico: litigate fin che volete, ma non finite la giornata senza fare la pace. Per fare questo non è necessario mettersi in ginocchio, basta una carezza, perché quando si litiga, c’è qualcosa di rancore dentro, e se si fa la pace subito, va bene. Il rancore freddo del giorno prima è molto più difficile da togliere, pertanto fate la pace lo stesso giorno. È un consiglio. Poi, è importante chiedere sempre all’altro se piace o non piace una cosa: siete in due, l’“io” non è molto valido nel matrimonio, è valido il “noi”. È anche vero quello che si dice dei matrimoni: gioia in due, tre volte gioia; pena e dolore in due, metà pena, metà dolore. Così bisogna vivere la vita matrimoniale e questo si fa con la preghiera, molta preghiera e con la testimonianza, affinché l’amore non si spenga. Perché sempre ci sono nella vita prove difficili, non si può avere l’illusione di trovare un’altra persona e dire: “Ah, se io avessi conosciuto questa prima o questo prima, avrei sposato questo o questa”. Ma non l’hai conosciuto prima, è arrivato tardi. Chiudi la porta subito! State attenti a queste cose e andate avanti con la vostra testimonianza e così torno all’inizio: la famiglia è in crisi, e non è facile dare una risposta, tuttavia occorrono la testimonianza e la preghiera.
(Alla fine dell’incontro)
Vi ringrazio tanto di questa accoglienza e delle testimonianze. E vi chiedo di pregare per me. Vi chiedo di pregare per i giovani: oggi è il primo giorno di primavera, il giorno della speranza, il giorno dei giovani. Forse ad ogni primavera si riprende la strada della gioventù, si fiorisce un’altra volta. Ai giovani ripeto: non perdete la speranza di andare avanti sempre. Agli anziani: portate avanti la saggezza della vita; gli anziani sono come il buon vino quando invecchia. E il buon vino ha qualcosa di buono che serve sia ai giovani che agli anziani. Giovani e anziani insieme: i giovani hanno la forza, gli anziani la memoria e la saggezza. Un popolo che non cura i giovani, che li lascia senza lavoro, disoccupati e che non cura gli anziani, non ha futuro. Se noi vogliamo che il nostro popolo abbia futuro, dobbiamo avere cura dei giovani cercando per loro lavoro, cercando per loro strade di uscita da questa crisi, dando loro valori dell’educazione; e dobbiamo avere cura degli anziani che sono quelli che portano la saggezza della vita. Adesso preghiamo la Madonna e San Giuseppe perché proteggano i giovani, gli anziani e le famiglie: [Ave o Maria…]Adesso mi congedo da Napoli perché torno a Roma! Vi auguro il meglio e ‘ca Maronna v’accumpagne!