Opinioni & Commenti
I disastri naturali e l’urbanistica Riflessioni sull’ambiente
L’amico Vittorio D’Oriano (vicepresidente del Consiglio nazionale dei geologi), col suo articolo «Quei disastri naturali che di naturale hanno poco», Toscana Oggi, 27 settembre) torna ad aprire, col garbo che gli conosciamo, uno dei gravissimi problemi aperti del nostro Paese: quello della prevenzione e della sicurezza del nostro territorio. Tema calorosamente richiamato anche dall’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, su cui mi sono personalmente fermato proprio su queste pagine.
Credo che l’occasione sia utile per accendere un confronto responsabile e costruttivo su quella che vorrei definire, con amarezza, la «disastrologia» nazionale. Tutte le volte, e purtroppo sempre più spesso, che sopraggiunge un nuovo disastro, c’è l’immancabile richiamo – e anche d’Oriano non ne è indenne – allo «sfruttamento speculativo», agli «insediamenti urbani» e a cause riconducibili a cattiva gestione del suolo. Richiami oggettivi, condivisibili, che purtroppo hanno marcato non poche realtà amministrative e territoriali dei nostri 8.047 Comuni italiani.
Ma non sempre è così. Anzi, da almeno tre decenni l’incardinamento legislativo ed operativo nella formazione dei «Piani strutturali» (i vecchi Piani regolatori della Legge n. 1152 del 1942) e dei «Regolamenti urbanistici» attuativi, coinvolge direttamente il «geologo» nella redazione dei «piani», con larghissima competenza e prescrittività di ogni previsione. Dunque, al netto delle patologie amministrative (che sono materia giudiziaria) relative alle autorizzazione sulle fiumare, sugli àlvei o su zone geologicamente o idraulicamente inedificabili, credo che sia doveroso analizzare i «disastri naturali» con un atteggiamento meno conflittuale (tra politica, amministrazione e professioni) e decisamente più costruttivo. Soprattutto quando questa riflessione matura in casa cristiana che si vuol immaginare scevra da pregiudizi.
Se si considera che le competenze geologiche e idrogeologiche sono esplicitamente richiamate in tutti gli strumenti urbanistici e, segnatamente, nella legge n.10 del 1977, nella legge regionale toscana n. 41 del 1984 (sulla «edificabilità dei suoli»), nella legge regionale n. 52 del 1999, nella legge regionale n. 1 del 2005: qui, all’art. 55 comma h) si dice esplicitamente che ogni previsione è condizionata dalla «valutazione di fattibilità idrogeologica degli interventi anche ai fini del vincolo idrogeologico di cui alla l.r. 39/2000 in base all’approfondimento degli studi di natura idrogeologica, geologica e idraulica», si capisce bene come l’attività urbanistica sia condizionata alla valutazione dei geologi; i quali redigono e appaiono nominalmente nella ufficialità degli atti e della cartografia dei piani strutturali e dei regolamenti urbanistici.
E allora, come la mettiamo? Ripeto, al netto delle patologie, si può generalizzare, dicendo che «quei disastri naturali hanno poco di naturale»? Ricordo, negli ultimi anni, smottamenti e tragedie in Lunigiana e in Garfagnana (per limitarci alla Toscana), in zone montane ove, da secoli, nessuna edificazione era mai stata fatta: eppure, anche in codesta occasione si volle subito criminalizzare l’urbanistica. Allora, se partiamo dal fatto che da quasi mezzo secolo (mi riferisco all’attivazione di leggi regionali specifiche), la presenza dei geologi è formalmente chiamata alle responsabilità pianificatorie, dobbiamo chiederci se non vi sia altra realtà da approfondire e curare. Forse il territorio del nostro Paese va studiato con piani specifici di conservazione e consolidamento, capaci di implementare gli aspetti paesaggistici e ambientali.
Non è un caso che che da tempo, si sia cercato di allargare il campo del restauro «dai monumenti al territorio e all’ambiente», al «restauro del paesaggio». L’Arspat (Associazione per il restauro del paesaggio e dell’ambiente) opera dal 2002, con non poche difficoltà ma con grande passione e si caratterizza proprio per l’integrazione delle competenze. E proprio per il prossimo novembre, a Trapani, è stato organizzato un convegno di studi su questa nuova disciplina che aspetta di essere ufficializzata e normata nella sua operatività. È mio parere che solo con competenze integrate e sincera disponibilità scientifica e professionale si possa fare qualche passo avanti. In questo senso, la sollecitazione di D’Oriano sull’ambiente andrebbe raccolta e riversata in un’iniziativa organica di cui la Toscana potrebbe farsi portavoce.