Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«I costi eccessivi della politica allontanano i cittadini da chi governa»

«L’incapacità di intercettare le urgenze che emergono dal basso, i crescenti sprechi, i costi sempre più elevati della politica e lentezze dalla macchina amministrativa» sono elementi che alimentano una «diffusa disillusione e insoddisfazione» e creano una «pericolosa distanza fra chi governa e il cittadino». Lo ha detto il Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, monsignor Gualtiero Bassetti, nelle omelie che ha pronunciato oggi durante le celebrazioni eucaristiche per la solennità di San Donato, patrono della città di Arezzo e della diocesi.

Come ogni anno, il Vescovo sceglie la festa dedicata al Santo evangelizzatore per inviare un messaggio alla città e alla Chiesa locale. Durante le S.Messa presiedute fra la cattedrale e la Pieve di Santa Maria, che consegnano le reliquie del Vescovo Donato, monsignor Bassetti ha toccato vari temi.

Primo: le «nuove povertà» o le «povertà della porta accanto», come le ha definite il Pastore della Chiesa aretina. Il Vescovo ha fatto esempi concreti: «gli anziani soli che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese», «le famiglie che non possono contare su un lavoro stabile o su una casa in cui abitare», «gli immigrati che sono lasciati ai confini delle nostre città e che spesso vengono ostacolati dalla burocrazia», «le donne che il mondo del lavoro emargina per il loro desiderio di maternità o per aver dato alla luce un figlio», «coloro che hanno un passato segnato dalla dipendenza dall’alcol e dalla droga o un presente accompagnato da disagi fisici e psicologici». «Sono i volti attuali del prossimo nei cui confronti, in taluni casi, tendiamo a passare oltre», ha affermato monsignor Bassetti.

Il Vescovo ha spiegato che nella diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro «lo scenario della povertà tende ad allargarsi, se aggiungiamo alle povertà tradizionali quelle che investono le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all’insidia degli stupefacenti, all’abbandono nell’età avanzata o nella malattia, all’emarginazione o alla discriminazione». Lo hanno messo in evidenza anche le ultime indagini svolte dalla Caritas diocesana.

Di fronte a un presente così problematico, si dovrebbe assistere a una reazione energica. Invece, avviene il contrario. «Ciò che preoccupa – ha sottolineato il Vescovo – è il fatto che troppo spesso preferiamo far finta di non vedere. Quando in una realtà come la nostra sono in gioco la dignità e i diritti della persona, la comunità non può chiudere gli occhi. Altrimenti si cade nel peccato di ingiustizia che può rischiare di attraversare la società».

Non possono bastare neppure «forme di filantropia verso chi vive nelle difficoltà» che, ha detto monsignor Bassetti, possono servire per «lavarsi la coscienza». «Se la Chiesa insegna che il soccorso al prossimo nelle sue varie necessità è una forma di amore ispirato al Vangelo delle beatitudini – ha chiarito il Vescovo – la pratica della carità non può ridursi all’elemosina». Monsignor Bassetti ha citato San Gregorio Magno: «Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili non facciamo loro elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro e adempiamo ad un dovere di giustizia». La conseguenza è che diventa «inscindibile il rapporto tra carità e giustizia che implica l’attenzione alla dimensione sociale e politica del problema della povertà».

Il Vescovo di Arezzo lancia la proposta di un «umanesimo integrale e solidale» che parta dalla garanzia dei diritti. «Non possiamo tacere – ha spiegato monsignor Bassetti – che talora il godimento dei propri diritti più elementari sconti le inefficienze del sistema e, per essere effettivo, costringa quasi a mendicare come “favore personale” ciò che anche la nostra Costituzione riconosce: una visita medica di primaria importanza, un permesso di soggiorno di cui si ha impellenza, un posto di lavoro che le capacità e il merito dovrebbero assicurare».

Serve il «riconoscimento a tutti di una piena cittadinanza» da cui «passa il vivere civile e la credibilità delle istituzioni», ha spiegato il Vescovo. Il punto di partenza è il concetto di «bene comune» che sarà al centro della Settimana sociale dei cattolici italiani che si terrà a ottobre fra Pistoia e Pisa e che celebra i suoi primi cento anni. Ciò che ha in mente monsignor Bassetti è una «città a misura d’uomo». E lui ne indica i presupposti. «Serve rafforzare la nostra identità per essere capaci di aprirsi al nuovo e al diverso; bisogna cominciare dall’accoglienza e dall’integrazione di coloro che continuano ad entrare nelle nostre terre in cerca di pane; vanno tessute reti di relazioni e di legami di solidarietà sempre più diffuse perché le nostre città hanno necessità di gesti concreti di solidarietà che le ricompattino e non di sacche di privilegio o di degrado sociale che le disgreghino; infine, va favorita la partecipazione alla società civile costruendo comunità dove la politica sia custode di quell’amicizia che in sede civile prende il nome di concordia».

Nelle sue omelie monsignor Bassetti ha indicato in San Donato un «modello di vita cristiana» per la sua «straordinaria testimonianza di fede, misurata ed esaltata dal martirio» e per l’«instancabile opera missionaria che toccò ogni angolo della vastissima diocesi aretina» e che gli valse l’appellativo di “apostolo della Tuscia”. Seguendo la strada tracciata dal Santo Vescovo, monsignor Bassetti ha ricordato «l’urgenza di riscoprire il nostro Battesimo e di vivere con più intensità le promesse battesimali». La diocesi lo ha fatto lo scorso anno pastorale e lo farà nei prossimi mesi, a partire da settembre, mettendo al centro del «cammino di catechesi e di formazione» il Vangelo di Marco.

Un pensiero il Vescovo lo ha rivolto ai giovani che hanno concluso il loro pellegrinaggio lungo le vie della diocesi sulle orme di San Donato percorrendo oltre trecento chilometri a piedi per conoscere «da vicino il patrimonio di fede, d’arte e d’umanità con il quale generazioni di cristiani hanno segnato queste terre». Poi un ringraziamento ai sacerdoti «impegnati nelle numerose attività estive che coinvolgono migliaia di bambini, di ragazzi e di giovani» e che rappresentano esempi «di formazione, di carità e di svago ispirate alla comunione e alla fraternità cristiane».

Di seguito viene diffusa la sintesi delle omelie pronunciate oggi, 7 agosto 2007, dal Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, monsignor Gualtiero Bassetti, nelle celebrazioni per la solennità del patrono, San Donato.

Carissimi fratelli e sorelle,

la nostra Chiesa di Arezzo-Cortona-Sansepolcro celebra oggi la solennità di san Donato, secondo vescovo e patrono della diocesi, innalzando a Dio, dalle volte di quest’antica chiesa cattedrale, un rendimento di grazie per il dono della Fede che ha ricevuto mediante l’annuncio del Vangelo e attraverso l’effusione dello Spirito nel sacramento del Battesimo.

Secondo la tradizione, il 7 agosto dell’anno 304, durante le persecuzioni ordinate dall’imperatore Diocleziano, il vescovo Donato pagò con la vita la sua adesione al Vangelo, sigillando con il martirio il cammino di conformazione a Cristo che aveva intrapreso nel Battesimo.

Le fonti storiche consentono di datare con una certa sicurezza la nascita di san Donato attorno al 240; negli stessi anni, ad Arezzo, la giovane comunità cristiana, presente probabilmente sin dalla metà del secolo precedente, cresceva in numero e si organizzava sotto la guida del primo vescovo san Satiro, alla morte del quale – nel 285 circa – i sacerdoti e il popolo cristiano aretino scelsero Donato quale successore.

Gli anni dell’episcopato del nostro Patrono coincisero con un periodo di relativa pace per le comunità cristiane che, prima della nuova recrudescenza romana avviata da Diocleziano – la stessa in cui perse la vita san Donato – poterono sviluppare liberamente e con notevoli frutti la propria azione missionaria.

Nelle pagine della Passio di san Donato – un testo che risale al VI secolo – è sintetizzata la grandezza spirituale del nostro Patrono, che spese gli anni del suo sacerdozio e del suo episcopato in un’instancabile opera missionaria che toccò ogni angolo della vastissima diocesi aretina, allora coincidente con il territorio del municipio aretino, e che gli valse l’appellativo di “apostolo della Tuscia”. All’autorità romana che gli contestava la predicazione alle popolazioni, il vescovo Donato risponde: «Ho invitato ed esortato il popolo ad adorare Gesù Cristo con tranquilla coscienza perché sono certo che egli è il Signore».

Più che per la fama di taumaturgo e per le grazie che vengono attribuite alla sua preghiera di intercessione, è in questa straordinaria testimonianza di fede, misurata ed esaltata dal martirio, e nel suo ardore missionario che san Donato si propone alla nostra comunità diocesana come modello di vita cristiana, capace di indicare ancora oggi, ad oltre diciassette secoli dalla sua morte, la via per raggiungere il Padre. L’esperienza umana e cristiana di san Donato, infatti, con la sua completa dedizione alla missione evangelizzatrice, rappresenta per la nostra Chiesa diocesana un esempio da imitare.

Un felice disegno della Provvidenza ci offre di celebrare la festa del Patrono esattamente nel cuore del cammino pastorale che la nostra Chiesa diocesana ha intrapreso lo scorso anno e che proseguirà durante il prossimo, al centro del quale è posto il sacramento del Battesimo.

San Donato, infatti, ha percorso incessantemente queste nostre terre, ha incontrato uomini e donne, ha predicato il Vangelo e ha battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, contribuendo a formare una solida comunità cristiana.

Oggi, volgendoci a quella esperienza e scorgendo su quale patrimonio di fede si radica la nostra Chiesa, avvertiamo impellente l’urgenza di riscoprire il nostro Battesimo e di vivere con più intensità le promesse battesimali.

Nel segno dell’acqua e mediante la potenza dello Spirito Santo siamo divenuti figli adottivi del Padre. Chi riceve il battesimo – ci ricorda san Paolo – partecipa alla Pasqua di Cristo: con lui è sepolto nella morte e con lui è risuscitato, compiendo, così, il suo passaggio dalla morte del peccato alla vita nuova. E, per mezzo del Battesimo, Dio si rivela agli uomini per stabilire con loro un patto di amore, un’alleanza indissolubile. Prima ancora che essi lo amino, il Padre li ama e li chiama, uno per uno, a diventare suoi figli, fratelli di Gesù, dimora dello Spirito Santo e membri del Corpo di Cristo che è la Chiesa.

Nel battesimo siamo stati «rivestiti di Cristo» e siamo divenuti partecipi della sua missione; abbiamo intrapreso un cammino che ci esorta ogni giorno a conformarci a Cristo, ad essere fedeli alla sua sequela, a vivere secondo gli impegni assunti con le promesse battesimali.

Fra qualche settimana, dopo la pausa estiva, riprenderà l’anno pastorale. Quest’anno, alla riflessione sul battesimo, le nostre comunità accompagneranno un cammino di catechesi e di formazione che muoverà i suoi passi sul Vangelo di Marco. E’ il Vangelo della sequela, che si sviluppa lungo due domande principali: chi è Gesù? chi è e come si diventa discepolo di Gesù?

Chiediamo a san Donato che accompagni con la sua intercessione e la sua preghiera l’itinerario della nostra comunità, perché resi conformi a Cristo con il Battesimo, sappiamo essere suoi fedeli discepoli e credibili testimoni nella Chiesa e nel mondo.

In queste settimane di vacanze e svago, il mio pensiero di Pastore va a coloro che ogni giorno vivono nel bisogno. Sono, secondo le definizioni della sociologia, i «nuovi poveri» o i «poveri della porta accanto». Gli anziani soli che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese, le famiglie che non possono contare su un lavoro stabile o su una casa in cui abitare, gli immigrati che sono lasciati ai confini delle nostre città e che spesso vengono ostacolati dalla burocrazia, le donne che il mondo del lavoro emargina per il loro desiderio di maternità o per aver dato alla luce un figlio, coloro che hanno un passato segnato dalla dipendenza dall’alcol e dalla droga o un presente accompagnato da disagi fisici e psicologici: sono i volti attuali del «prossimo» nei cui confronti, in taluni casi, tendiamo a passare oltre.

Purtroppo anche nella nostra diocesi lo scenario della povertà tende ad allargarsi, se aggiungiamo alle povertà tradizionali quelle che investono le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all’insidia degli stupefacenti, all’abbandono nell’età avanzata o nella malattia, all’emarginazione o alla discriminazione.

La nostra Caritas diocesana, che svolge un’attività egregia, lo ha messo in evidenza anche di recente. Ciò che, però, preoccupa è il fatto che troppo spesso preferiamo far finta di non vedere e rifugiarci nella nostra campana di vetro. Quando in una realtà come la nostra sono in gioco la dignità e i diritti della persona, la comunità non può chiudere gli occhi. Altrimenti si cade nel peccato di ingiustizia che in vario modo può rischiare di attraversare la società e di prendere corpo in essa.

E non si può neppure lavarsi la coscienza ricorrendo soltanto a forme di filantropia verso chi vive nelle difficoltà. Se la Chiesa insegna che il soccorso al prossimo nelle sue varie necessità è una forma di amore ispirato al Vangelo delle beatitudini, la pratica della carità non può ridursi all’elemosina. «Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili – scriveva San Gregorio Magno – non facciamo loro elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro e adempiamo ad un dovere di giustizia». Pertanto diventa inscindibile il rapporto tra carità e giustizia che implica l’attenzione alla dimensione sociale e politica del problema della povertà.

E’ la prospettiva di un umanesimo integrale e solidale in cui ci sia una corretta comprensione dello sviluppo sociale e la persona possa trovare la sua completa realizzazione. Prima di tutto vedendosi garantita nei diritti. Non possiamo tacere, infatti, che talora il godimento dei propri diritti più elementari sconti le inefficienze del sistema e, per essere effettivo, costringa quasi a mendicare come “favore personale” ciò che anche la nostra Costituzione riconosce: una visita medica di primaria importanza, un permesso di soggiorno di cui si ha impellenza, un posto di lavoro che le capacità e il merito dovrebbero assicurare.

E’ dal riconoscimento a tutti di una piena cittadinanza che passa il vivere civile e la credibilità delle istituzioni, specie in un frangente in cui si avverte una pericolosa distanza fra chi governa e il cittadino e si assiste ad una diffusa disillusione e insoddisfazione alimentate dall’incapacità di intercettare le urgenze che emergono dal basso, dai crescenti sprechi, dai costi sempre più elevati della politica, dalle lentezze dalla macchina amministrativa.

Per questo occorre ripartire dal concetto di «bene comune» che sarà al centro della Settimana sociale dei cattolici italiani che si terrà a ottobre fra Pistoia e Pisa e che celebra i suoi primi cento anni. Perché le nostre città siano davvero a misura d’uomo, serve anzitutto rafforzare la nostra identità per essere capaci di aprirsi al nuovo e al diverso; bisogna cominciare dall’accoglienza e dall’integrazione di coloro che continuano ad entrare nelle nostre terre in cerca di pane; vanno tessute reti di relazioni e di legami di solidarietà sempre più diffuse perché le nostre città hanno necessità di gesti concreti di solidarietà che le ricompattino e non di sacche di privilegio o di degrado sociale che le disgreghino; infine, va favorita la partecipazione alla società civile costruendo comunità dove le emergenze umane siano affrontate a livello locale e dove la politica sia custode di quell’amicizia che in sede civile prende il nome di concordia.

Prima di concludere, voglio rivolgere un pensiero particolare ai nostri giovani che domenica scorsa hanno concluso il loro pellegrinaggio lungo le vie della diocesi. Sulle orme di san Donato, hanno percorso a piedi il cammino dei santi,solcato le vie dei pellegrini, sostato e pregato nelle antiche pievi romaniche, toccando una larga parte del territorio diocesano e conoscendo da vicino il patrimonio di fede, d’arte e d’umanità con il quale generazioni di cristiani hanno segnato queste terre. Che l’esempio di san Donato sia per tutti loro uno stimolo a riscoprire il proprio Battesimo e conformare la loro esistenza a Cristo!

Infine, desidero salutare e ringraziare con affetto i sacerdoti e i diaconi della nostra diocesi. Molti di loro sono presenti, altri avrebbero voluto prendere parte a questo rito, ma la loro età o le loro condizioni di salute non lo hanno permesso; altri ancora sono tuttora impegnati nelle numerose attività estive che coinvolgono migliaia di bambini, di ragazzi e di giovani. In queste settimane ho avuto la grazia di incontrarne molti, di trascorrere del tempo con loro e di rendermi conto di persona di quale impegno e di quale dedizione sia animato il loro apostolato.

Soprattutto in questi mesi estivi, mentre la maggior parte della gente è dedita al riposo e alle ferie, i nostri sacerdoti, assieme ai catechisti e agli animatori pastorali, dedicano il loro tempo e le loro energie ai più giovani, coinvolgendoli in attività di formazione, di carità e di svago ispirate alla comunione e alla fraternità cristiane. E’ un impegno del quale la nostra comunità deve essere loro grata e su cui invoca, per l’intercessione di san Donato, la benedizione di Dio.

Fratelli e sorelle, rivolgiamoci al nostro celeste Patrono e alla Vergine Maria, madre del Conforto, perché accolgano questi propositi e conducano le nostre preghiere nel cuore del Padre.

Amen! L’ufficio stampa

della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro