Toscana
I bambini di Chernobyl si «lavano» in Toscana

A 20 anni dalla nube radioattiva, non si conosce ancora il numero delle vittime. Quattromila secondo uno studio dell’Agenzia per l’energia atomica dell’Onu, sedicimila per il Centro internazionale per la ricerca sul cancro. Ma qualche studio arriva ad ipotizzarne fino a centomila. Per l’Accademia delle Scienze di Mosca, solo in Bielorussia, si registrerebbero 270 mila casi di tumore attribuibili alle radiazioni, con esito fatale per un terzo almeno. Quel che è certo è che la Bielorussia, la più colpita a causa dei venti dalla nube radioattiva che nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1996 uscì dal reattore ucraino di Chernobyl, sta pagando un prezzo ancora pesante.
La Toscana è una delle regioni che si è mobilitata di più per le popolazioni della Bielorussia. Esiste anche un «tavolo» permanente in Regione, guidato dall’assessore di Prato Fabio Giovagnoli, per coordinare le tante iniziative che vedono insieme volontariato, enti locali, associazioni, scuole e parrocchie. In Italia arrivano ogni anno circa 25 mila bambini. Dalle Misericordie italiane ne passano 800 circa, dagli 8 ai 15 anni, scelti dalla Misericordia di Minsk. Purtroppo, ci spiega Niccoli, il costo aereo troppo alto (320 euro di media) ne limita il numero, nonostante il gran lavoro svolto dal nostro ambasciatore Ardizzone per favorire queste esperienze. Sono tante le Confraternite toscane coinvolte, come quella di Firenze che ospita un gruppo di bambini alla Villa dei Falciani, o quella di Tavarnelle Val di Pesa che ne accoglie una ventina nelle famiglie, sia d’inverno (inserendoli nella scuola pubblica) che d’estate. La Misericordia di Pracchia (Pt) ospita dai 18 ai 25 bambini della «Scuola n. 18» di Minsk con gravi problemi agli occhi. Tutto il paese si mobilita e i bambini vengono curati e forniti anche di occhiali. Ma le Misericordie non si limitano all’ospitalità. La Confederazione è impegnata anche in progetti di aiuti in loco: come la ristrutturazione delle cucine dell’orfanotrofio di Stankovo a 50 km da Minsk (60 mila euro, dalla Misericordia di Firenze).
Esperienze simili sono nate anche attorno alle Pubbliche Assistenze. L’Anpas, che le riunisce, ha in Italia 72 progetti per 1.359 bambini, di cui 305 ospitati in Toscana. Ma quello dell’accoglienza in Italia è solo una piccola parte del progetto. Ci sono i convogli umanitari, ad esempio. Nel 2005, 185 quintali di aiuti per i villaggi della regione di Gomel, il carcere femminile, la mensa per barboni, portati in due volte, con il coinvolgimento di un’ottantina di volontari. E poi il progetto «Dar», per riportare in famiglia gli orfani negli istituti e per aiutare le famiglie in grave difficoltà. «Non si tratta di assistenza spiega Valentino Patussi, responsabile di questo settore per Anpas Toscana ma di aiuto a sviluppare delle abilità che poi verranno mantenute dagli operatori locali».
Sei sono le esperienze toscane promosse da Legambiente. Un centinaio di bambini (1.500 a livello nazionale), dagli 8 agli 11 anni, indicati dall’Associazione «Help» di Minsk, ospitati per un mese per lo più in famiglia. L’associazione, come ci spiega Barbara Scali, coordinatrice di Legambiente Toscana Solidarietà, provvede ad analisi mediche, ecografia alla tiroide, visite oculistiche e dentistiche. A Grosseto, a partire dal 1994, sono già 2 mila i bambini ospitati e sottoposti ad un controllo medico nel reparto di Medicina nucleare dell’ospedale Misericordia.
Attorno alla solidarietà con la Bielorussia sono nate anche nuove associazioni di volontariato. È il caso della «Yra» (diminuitivo di Yrina, la prima bambina ospitata), una onlus nata a Lucca nel 1983 da una trentina di famiglie che già avevano fatto esperienza di accoglienza. Il presidente, Egidio Lazzarini, è rientrato lunedì scorso proprio dalla Bielorussia dove ha partecipato ad un convegno su questi temi. Tramite «Yra» sono giunti in Toscana (province di Lucca e Pisa) già 1.500 bambini, ospitati in famiglie o strutture con la collaborazione di amministrazioni locali, circoli, parrocchie, oratori (come a Pomarance). Ma anche qui l’accoglienza è solo una parte degli aiuti. Sono già due le autoambulanze donate e si è provveduto alla ristrutturazione di un istituto per handicappati genetici a Juraviki (270 ospiti), oltre ad aiutare le Suore di Madre Teresa di Calcutta di Gomel e un’associazione di anziani. Perché accanto ai bambini, sono proprio gli anziani a soffrire di più per quella nube radioattiva di 20 anni fa.
Inizialmente le autorità sovietiche smentiscono l’incidente, lo ammetteranno dopo due giorni, il 28 aprile, di fronte alle rilevazioni delle autorità svedesi convalidate dai satelliti statunitensi. In due giorni il carico radioattivo, spinto ad alta quota dal calore sviluppato dall’incendio e trasportato dalle correnti, si è sparso su gran parte dell’Europa. La nube radioattiva che all’inizio si era diretta verso l’Europa centrale, si sposta poi verso il Centro Sud. Il 30 aprile interesserà le Alpi e il 2 maggio ricoprirà l’intera Italia. La crescente radioattività costringe le autorità sovietiche a ordinare l’evacuazione dei 45 mila abitanti della città di Pripyat ( a circa 4 chilometri dall’impianto).
Le stesse misure saranno adottate per zone più vaste, fino a 30 chilometri dalla centrale: oltre 135 mila persone sono costrette ad abbandonare la propria casa. Si contano le prime vittime: sono 250 i ricoverati in strutture specializzate, 31 moriranno nei giorni successivi, si tratta di tecnici della centrale e di vigili del fuoco. Sono i primi di una lunga serie di cui ancora oggi si parla. Secondo uno studio di ricercatori britannici, diffuso da Lega Ambiente, almeno mezzo milione di persone sono morte per le conseguenze della nube radioattiva che ha contaminato gran parte dell’Europa, altre 30 mila potrebbero morire nei prossimi anni. Stime che contrastano notevolmente con quelle molto più modeste di quelle dell’Organizzazione mondiale della sanità (Omsa) e dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) che prevedono un massimo di 4 mila morti per gli effetti del disastro.
Incalcolabili i danni economici. Il territorio circostante alla centrale è «scorticato» per una decina di centimetri, poi ricoperto con sabbia e dolomite, mischiate con piombo e boro.
La storia di Chernobyl non finisce nel 1986. Il reattore numero 4, distrutto dall’esplosione, è sepolto in un «sarcofago» di cemento, invece gli altri tre continuano a funzionare. Il reattore numero 1 è chiuso nel 1996 per la pressione dei paesi occidentali, il 2 era già stato fermato nel ’91 a seguito di un incendio, mentre il 3 fu riparato ed è rimasto in funzione fino al 15 dicembre 2000, quando la centrale è stata definitivamente chiusa.
Un’ordinanza ministeriale vieta la vendita di verdura a foglia larga e la somministrazione di latte fresco ai minori di 10 anni e alle donne incinte. Grandi quantità di verdura arrivata nei mercati è distrutta. Quando giungono le prime notizie del disastro di Chernobyl, il governo italiano è impegnato nel deciso rilancio del nucleare civile. Il periodo dell’emergenza incide sugli atteggiamenti della popolazione, che si traducono presto in un rifiuto crescente al nucleare. È con questo sentimento diffuso che gli italiani votano al referendum dell’8 e 9 novembre 1987: dal 71,9 all’80,6 per cento secondo i due quesiti referendari, gli elettori si esprimono contro la prosecuzione dei piani di produzione dell’energia nucleare.
L’immediata conseguenza del voto è l’abbandono del programma di sviluppo nucleare nazionale con lo smantellamento e la messa in sicurezza degli impianti di Trino Vercellese, Corso, Garigliano e l’abbandono del progetto di Montalto di Castro. Da allora il nucleare non fa parte del panorama italiano, anche se ogni tanto si riaffaccia, quando la crisi energetica si fa sentire.
Tavolo Bielorussia – Regione Toscana
Il sito della Confederazione delle Misericordie