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Hiroshima 60 anni dopo. Dal «fungo» di fuoco nasce la strategia del terrore

di Ennio Cicali«Dio mio, cosa abbiamo fatto!», l’esclamazione del secondo pilota del B-29 che ha lanciato la prima bomba atomica su Hiroshima, segna l’inizio dell’era nucleare. Sono le 8,15 e 17 secondi del 6 agosto 1945, la potenza navale del Sol Levante è distrutta, le città del Giappone bruciano sotto gli spaventosi attacchi delle Superfortezze volanti, ma i marines sono ancora impegnati in sanguinosi combattimenti nelle isole ancora lontane dalle spiagge nipponiche.

L’atomica è diventata una realtà il 16 luglio 1945, quando una luce incredibile ha illuminato il deserto del New Mexico. Una nube simile a un fungo è salita fino a 13 chilometri di altezza, la forza d’urto è calcolata uguale a 20 mila tonnellate di tritolo, un calcolo che sembra essere di molto inferiore alla potenza effettiva.

Un messaggio strano – «I bambini sono nati felicemente!» – raggiunge il presidente statunitense Truman che si trova in Europa alla conferenza di Potsdam. Significa che la bomba atomica è una realtà. Truman, succeduto a Roosevelt morto da pochi mesi, comunica a Churchill l’esito dell’esperimento (di cui Stalin sarà a conoscenza grazie ai servizi informazione sovietici, perché l’Urss non è ancora in guerra con il Giappone).

Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina intimano al Giappone, il 26 luglio, la resa incondizionata, pena la «completa distruzione». Il 30 luglio il governo di Tokio respinge sdegnosamente l’ultimatum. Il 3 agosto, il presidente Truman decide: sì alla bomba, il più presto possibile, su un centro abitato.

La mattina del 6 agosto, un quadrimotore B-29, chiamato Enola Gay, dal nome della madre del pilota, decolla verso il Giappone. A bordo, con i 12 uomini dell’equipaggio, c’è un’unica bomba all’uranio, Little Boy (bambino), un ordigno lungo tre metri, un metro e mezzo di diametro, cinque tonnellate di peso. L’obiettivo non è precisato: sarà scelto, secondo le condizioni locali del tempo, da uno degli aerei meteorologici che precedono l’aereo con la bomba. A 1600 chilometri dall’obiettivo il bollettino: a Hiroshima quasi sereno, visibilità 10 miglia.

La rotta mortale è quindi per Hiroshima. Alle 8,09 l’Enola Gay sorvola la città a 10 mila 500 metri di altezza. Il puntatore inquadra un grande ponte, tutto l’equipaggio si è messo gli occhiali affumicati. Alle 8,14 la bomba è sganciata.

Un minuto dopo la bomba esplode a meno di 600 metri di altezza, polverizzando all’istante ogni cosa o essere su un’area di tre chilometri quadrati, soffiando un vento rovente (da trecento ai novecentomila gradi) su una superficie assai più vasta.

Di molti abitanti di Hiroshima, dissolti, restano solo le ombre sulle pietre vetrificate. L’onda d’urto preme con la forza inconcepibile di settemila tonnellate per centimetro quadrato. Dura un attimo, ma tutto spazza. Scompaiono interi isolati, dal cielo comincia a cadere una strana pioggia, goccioloni enormi e viscidi. Le acque del fiume Ota e di alcuni canali escono dagli argini e coprono il mare di macerie. Migliaia di donne e uomini, quasi tutti denudati, sono morti.

Solo dopo qualche giorno il primo spaventoso bilancio del pika don – «lampo-tuono» in giapponese: decine di migliaia tra morti, feriti e ustionati. Solo nel 1946 una minuziosa inchiesta del governo degli Stati Uniti fornisce le cifre ufficiali: 78 mila 150 uccisi, 13 mila 982 dispersi, 9428 feriti gravi e 29957 ustionati e feriti leggeri. In tutto, 129 mila 558 vittime, ma per decenni si continuerà a morire, migliaia di persone risentiranno per tutta la vita degli effetti devastanti delle radiazioni.

Le terribili conseguenze dello scoppio di Hiroshima destano impressione in tutto il mondo, ma lo stato maggiore nipponico non sembra propenso a cessare le ostilità. Il lancio di una seconda atomica è sempre più imminente.

Milioni di manifestini sono lanciati dagli aerei americani sulle principali città giapponesi. Intimano la resa e dicono, tra l’altro: «Siamo in possesso dell’esplosivo più micidiale fabbricato dall’uomo… Evacuate subito le vostre città!».

A Washington molti sono contrari al lancio di una seconda bomba. È Truman a rompere ogni indugio e, pur riconoscendo «la terribile distruzione e la responsabilità che questa fa ricadere sugli Stati Uniti e su me stesso» ordina il lancio di un secondo ordigno atomico.

Alle 11,02 del 9 agosto una seconda bomba atomica, questa volta al plutonio (l’ultima al momento a disposizione degli americani) è sganciata su Nagasaki, provocando 35 mila morti, 5 mila dispersi e 60000 tra feriti e ustionati.Il 10 agosto il Giappone annuncia di essere disposto ad arrendersi, ma il governo è diviso. Solo l’intervento dell’imperatore Hirohito fa decidere per la pace, sventando un tentativo di colpo di stato nella notte tra il 14 e 15 agosto. Il 2 settembre il Giappone firma la capitolazione.La seconda guerra mondiale è finita all’ombra del «fungo atomico». È cominciata l’Era nucleare e con essa la «strategia del terrore».

11 ottobre 1939 Albert Einstein scrive al presidente Roosevelt, denunciando la possibilità che la Germania realizzi una bomba di enorme potenza esplosiva. Solo nel 1941, quando il pericolo diviene concreto, il programma di ricerche si trasforma in progetto esecutivo. Con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, i tempi per la realizzazione della bomba atomica subiscono una forte accelerazione, dovuta anche ai notevoli interessi legati a un progetto che richiede fondi praticamente illimitati. A Los Alamos, nel deserto del New Mexico, nel 1942 nasce un centro segretissimo per lo studio e la costruzione dei primi ordigni. Da allora cominciano ad arrivare gli scienziati più importanti del mondo occidentale, tra i quali gli italiani Enrico Fermi ed Emilio Segrè, scelti personalmente da Robert Oppenheimer, direttore scientifico del progetto.

Dall’estate del 1942 migliaia di specialisti, scienziati, tecnici, politici, militari e lavoratori industriali di vario livello sono impegnati a costruire la prima bomba atomica, della quale non si conoscono, anche se si intuiscono, gli effetti disastrosi. Pochi attimi prima dell’esplosione sperimentale, Fermi scommette con i colleghi sulle probabilità che la bomba dia fuoco all’atmosfera e se, in questo caso, possa distruggere soltanto il Nuovo Messico o il mondo intero. Questo il clima di tensione e di incertezza nel quale si realizza il più grande sforzo organizzato da un gruppo di uomini, il Progetto Manhattan.

Il 16 luglio 1945 la prima esplosione nucleare della storia – il Trinity Test – ad Alamogordo, nel deserto del New Mexico. Gli effetti dell’esperimento sono terrificanti, superando ogni previsione: la reazione a catena non frenata genera una luce addirittura più intensa e accecante di quella solare e un vento tempestoso e travolgente seguito da un tuono possente, tale da evocare ai testimoni, situati a 15 chilometri di distanza, una vera apocalisse. L’esito dell’esperimento non blocca la decisione di sganciare bombe simili sulle città giapponesi. Il 6 agosto tocca a Hiroshima «inaugurare» l’era nucleare.

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