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Guerra, un brutto inizio per un finale drammatico

di Vittorio CitterichGeorge W.Bush, presidente dell’unica superpotenza mondiale, aveva una gran fretta di fare la guerra all’Iraq di Saddam Hussein. Le cause belliche inizialmente esibite, il possesso iracheno di armi proibite, il collegamento del tiranno laico socialista di Baghdad con il terrorismo islamico, man mano che le ispezioni dell’Onu continuavano, erano cause che, seppur in qualche modo esistenti sullo sfondo, stavano perdendo evidenza e vigore. Da qui l’avventurosa decisione di scendere urgentemente in campo con missili, bombe e la più potente armata del mondo, scavalcando le Nazioni Unite e i criteri normali del diritto internazionale.

Molti autentici amici degli Stati Uniti inutilmente sconsigliavano l’impresa. Inascoltato il «mai!» del Papa che supplicava di uscire dalla tenaglia disumana del terrorismo e della logica di guerra. Purtroppo il presidente Bush ha preferito dare ascolto alla cosiddetta «intelligence» dei servizi segreti che gli assicuravano la possibilità di una «guerra lampo» di decapitazione dell’odioso regime di Saddam Hussein per la concomitante rivolta popolare che avrebbe accolto gli anglo-americani come liberatori e portatori di democrazia.

Penso che la parola «intelligenza», in ogni modo pronunciata, andrebbe abolita senz’altro dai vocabolari bellici. Infatti, assistiamo ancora una volta a stragi di civili provocate dalla stupidità delle «bombe intelligenti», anche se gli esperti ci avevano assicurato che la nuova generazione di codesti ordigni era assai meno idiota della precedente. E quel vecchio in lacrime, con i calcinacci sul volto, che si aggirava fra le macerie delle povere case bombardate, ripeteva alle telecamere occidentali: «no democracy, please!».

Mentre gli strateghi discettano sugli esiti prossimi o remoti del duro inizio di questa guerra sciagurata, si rischia di mettere in secondo piano i dolenti protagonisti del conflitto. Va in secondo piano la povera gente investita, senza colpa, da questa ulteriore sconfitta dell’umanità. Invece è l’umanità che deve essere al più presto riscattata. I bambini, le donne, i vecchi che non c’entrano. Ma anche gli altri, i combattenti, quelli convinti di portare nel mondo la propria superiore civiltà e quelli pronti a morire per difendere una patria minacciata anziché un tiranno. Pronti persino a fare gli uomini-bomba. Due volte offesi, anche i prigionieri. I poveracci iracheni con i sandali, stesi per terra come bestie sul ciglio della strada, e i ragazzini americani impauriti mentre sono interrogati in mondovisione per svergognare la superpotenza che li ha mandati a far conquiste sulle rive dell’Eufrate.E, sullo sfondo, come che finisca questo brutto esordio, rimane la prospettiva drammatica di un’estensione del conflitto a livello mondiale. Chi non ha ascoltato i consigli, prima di gettarsi nell’avventura dell’Iraq, già parla, infatti, della necessità di ripulire e punire la Siria e l’Iran. Per non perdersi d’animo è il caso di ricordare quel che scriveva La Pira su «Princìpi» nel 1939, di fronte alla perdita della pace: «E mentre i fatti si svolgono con un rigore tanto logico quanto doloroso, una sola speranza spunta ancora nell’animo. Dio non abbandonerà questa umanità così dolorante che ha per capi più lupi che pastori; e la materna protezione di Maria non lascerà senza aiuto tanti figli oppressi che, oramai, in Lei solamente confidano». Anche oggi capi che sono più lupi che pastori. Anche oggi spunta nell’animo una sola speranza.