Opinioni & Commenti
Guerra al terrorismo: vinta o persa?
di Romanello Cantini
Proprio in questi giorni nel settembre di nove anni fa si proclamò e si dette il via alla cosiddetta «guerra al terrorismo». Da allora sono passati quasi gli anni della guerra di Troia e la gente ha diritto di domandarsi: ma questa «guerra» è finita oppure no? si è vinta o si è persa? E subito ci si accorge che a queste domande è impossibile rispondere.
La «guerra al terrorismo» fu tale solo nella retorica di chi voleva vendere parole grosse a chi chiedeva vendetta per le Torri Gemelle, ma in pratica fu una serie di misure che andavano da quella più vistosa dell’attacco all’Afghanistan, alle precauzioni della prevenzione, alle misure di polizia internazionale, al controllo di capitali sospetti, alle pressioni diplomatiche sui governi, al dialogo con il mondo islamico moderato. Ora lo vediamo abbastanza bene. Questa operazione ha fatto acqua soprattutto all’attacco dove tutti guardavano, mentre invece ha funzionato in difesa dove pochi stavano attenti a quello che succedeva. La guerra in Afghanistan, lasciando da parte anche quella dell’Iraq, non va bene per usare un eufemismo.
Ma per quanto riguarda il mondo occidentale la sicurezza dal terrorismo in sostanza è stata alla fine conquistata e finora mantenuta. Gli Stati Uniti, il principale bersaglio, non hanno avuto ulteriori attentati dopo la tragedia dell’11 settembre e ogni tentativo è stato sventato in tempo dall’uomo bomba sull’aereo Amsterdan-Detroit del dicembre 2009 fino alla minaccia alla metropolitana di New York nell’aprile scorso.
Da quattro anni in Europa non ci sono più stati attentati di rilievo dopo quelli gravissimi del marzo 2004 in Spagna e del luglio 2005 in Gran Bretagna. Dopo il tentativo più importante è stato quello del tentativo di attentato all’areoporto di Glasgow sventato dalla polizia inglese. Ormai in Occidente gli attentatori sono cani sciolti spesso anche abbastanza sprovveduti come il Kamikaze libico che nel dicembre scorso si è fatto esplodere senza colpire nessuno alla caserma Perrucchetti di Milano.
E’ evidente che una Al Qaeda messa sotto controllo non è più capace di compiere grandi azioni organizzate negli Stati Uniti e in Europa con lo spostamento di molti uomini, soldi e materiali. Anche per questo negli ultimi otto anni gli attentati di Al Qaeda hanno bersagliato soprattutto il mondo musulmano con una guerra intestina che era la più eclatante e feroce smentita per chi continua a parlare di «guerra di religione» e di «scontro di civiltà». Anzi: il seguito delle Torri Gemelle è stato girato proprio in terra islamica colpendo dovunque in quegli anni orribili che furono il 2002 e il 2003: duecento morti alla discoteca di Bali in Indonesia, novanta morti nel quartiere centrale di Ryad in Arabia saudita, trentacinque morti al mercato di Algeri, trenta morti a Casablanca. Questa mattanza contro i musulmani ha spinto ad agire contro il terrorismo anche gli stati del mondo islamico che fino ad allora erano stati più tolleranti.
L’Arabia Saudita ad esempio, uno degli stati più integralisti dal punto di vista religioso, ha cominciato a controllare la predicazione nelle moschee, a pretendere la denuncia dei terroristi, ad assistere le persone intellettualmente fragili di fronte al fanatismo. E in genere, se attentati minori di quelli di sette anni fa continuano nei paesi islamici, anche la repressione comincia ormai ad essere efficace e decisa. Nel marzo scorso in Arabia Saudita sono stati arrestati 143 terroristi.
Nell’agosto scorso a Casablanca è stata arrestata una cellula di 18 membri. In Indonesia l’organizzazione terroristica Jemaah Islamiyad è stata praticamente smantellata. L’attacco portato in terra islamica ha in pratica fatto schierare gli stati arabi a fianco della lotta occidentale quale che sia poi la loro posizione politica nei confronti degli Stati Uniti. Ma la presa di distanza nei confronti del terrorismo non riguarda solo i governi, ma in parte anche le istituzioni religiose e la opinione pubblica del mondo islamico.
Fareed Zakaria, il professore di Harvard considerato uno dei maggiori esperti mondiali del mondo islamico, in un lungo articolo apparso su Newsweek nell’aprile scorso ha ricordato che ora anche l’università Al-Azhar del Cairo condanna Al Qaeda ed ha citato i sondaggi analizzati dalla London School of Ecnomics sul mondo islamico per cui, mentre nove anni fa ci fu fra i musulmani una corrente di quasi universale simpatia ed entusiasmo per Bin Laden, oggi, ad esempio, gli attacchi suicidi sono approvati apertamente solo dal 12 per cento della popolazione della Giordania, dal 15 per cento della popolazione dell’Indonesia, dal 10 per cento della popolazione del Pakistan. Forse si potrebbe dire scherzando ma non troppo che, a parte alcune situazioni ancora drammatiche come quella dell’Afghanistan, dello Yemen e della Somalia, alla fin fine la «guerra al terrorismo» la vinceranno più i musulmani che gli americani.