Opinioni & Commenti
Guardare al ruolo dei cristiani in politica con lo sguardo rivolto al futuro
Su queste pagine, commentando gli esiti delle elezioni europee, Nicola Graziani denunciava l’irrilevanza del voto dei cattolici: ma al contempo segnalava come «in un Paese in cui si perpetua l’incertezza e fiorisce la demagogia i cattolici avrebbero qualcosa di serio da dire e da testimoniare». Nello stesso numero, forse per coincidenza, Adriano Fabris ricordava la lezione di Maria Eletta Martini, e il suo impegno per una politica quale esperienza che coinvolge la gente, partendo dalla motivazione etica che, sola, spinge i cristiani ad impegnarsi in essa. Se coincidenza è stata, è stata sicuramente felice e istruttiva.
Parlare di cristiani e politica sembra ormai un argomento declinato al passato, più o meno remoto. Ma se ne può parlare anche al presente o addirittura al futuro? Questo mi pare il primo interrogativo che occorre porci. In altri termini, l’irrilevanza segnalata da Graziani è un dato irreversibile o c’è un terreno ancora da esplorare? Certo non esiste più il contesto nel quale ha operato Maria Eletta Martini e molti insieme a lei: e non solo perché non c’è più la Democrazia cristiana, ma perché quel clima culturale e religioso nel quale quell’esperienza è nata e si è sviluppata è profondamente mutato.
Occorre dunque ripensare da capo, con occhi diversi e con idee nuove, le prospettive di impegno: provo a segnalare alcuni dati di partenza. In primo luogo, il papato di Papa Francesco. Con tutte le difficoltà che incontra, il Santo Padre ha indicato ai cattolici la strada di una presenza nel mondo a tutto campo, non più soltanto legata ai «principi non negoziabili» ma aperta e coinvolgente tutti i campi dell’impegno a favore della persona, e di quella più debole in particolare. E ha chiaramente indicato che non basta assistere e «raccogliere i cocci», ma occorre operare perché quei cocci non si producano, operando per eliminare le cause sociali e istituzionali delle ingiustizie. Per usare un’espressione forse abusata, il Papa ci invita a coniugare sociale e politico nella prospettiva di un nuovo umanesimo.
In secondo luogo, l’indirizzo ecclesiale che si va consolidando, grazie anche all’episcopato di nuova generazione, tende a riconoscere e favorire con maggiore convinzione che nel passato il ruolo dei laici nella costruzione della città dell’uomo: sappiamo bene che questa è la linea segnata dal Concilio, ma conosciamo altrettanto bene come quella linea non sia stata sempre seguita con convinzione. Il tempo in cui la Chiesa interloquiva con il governo nazionale attraverso la gerarchia e in particolare la presidenza della Cei, rendendo subordinato il ruolo dei laici, sembra ormai alle spalle, e una fase di smarrimento seguita alla fine di quella stagione era inevitabile: si tratta ora di percorrere altre strade, nella piena comunione ecclesiale ma anche nella convinzione che spetta ai laici «di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati».
In terzo luogo, la società di oggi è particolarmente sensibile a chi testimonia concretamente l’attenzione verso gli altri: non solo con le parole ma con un impegno costante e disinteressato di vita. Il mondo del Terzo settore gode ancora di forte credibilità: il Presidente Mattarella lo ha definito come l’espressione migliore dell’Italia «che ricuce e dà fiducia». In quel mondo, la presenza dei cristiani è forte e riconosciuta: essi hanno perciò l’autorevolezza necessaria a esprimere anche con idee e progetti una visione della società nella quale sia possibile far convivere le diversità e integrare in una prospettiva di bene comune.
Forse ci sono anche altre ragioni che inducono a guardare al ruolo dei cristiani in politica con lo sguardo rivolto al futuro e non solo al passato: ma quelle richiamate mi paiono sufficienti a indicare come l’insegnamento di Maria Eletta Martini e di altri come lei ci costringano a prendere sul serio questo momento storico.