Cultura & Società
Grattacieli, le nuove Torri di Babele
Nel giro di qualche generazione il mondo si è riempito di grattacieli ancora considerati comunemente come stranezze, bizzarrie di nababbi, manie di dittatori, grandezzate pubblicitarie di compagnie industriali o finanziarie, investimenti speculativi di enormi capitali. Non è così: l’accelerazione e le manifestazioni particolari che ha avuto il fenomeno soprattutto in questi ultimi tempi induce a pensare che la mania, la quale attualmente si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il Pianeta, nasconda qualcosa di molto più serio e importante di quello che potrebbe rappresentare la costruzione della macchina, dell’aereo, dell’imbarcazione più veloce del mondo, anche perché l’impiego di capitali in questo caso è immenso, il profitto è stato spesso una chimera, basti pensare che il Dubai dove si è costruito il Burj Dubai o Burj Khalifa, l’ultimo spettacolare edificio, attraversa una grossa crisi finanziaria con un debito di 100 miliardi di dollari.
Il messaggio immediato che manda un grattacielo che si erge su una città è quello di un segnale urbano di dominio su questa da parte di chi vi abita e di chi lo possiede: è quello che si vede oggi nei film dove despoti finanziari decidono i destini della massa abitante nelle minuscole case dal sommo delle vetrate di lussuosi uffici a centinaia di piani d’altezza; è quello che ci fece vedere Fritz Lang in Metropolis dove i dominatori abitano ai vertici di megastrutture.
Considerando vari aspetti siamo indotti a pensare che sul fenomeno agiscano, oltre a forze di ordine pratico, quali prospettive di profitto, pubblicità, rivalità, orgoglio nazionale, competizione, anche elementi quanto meno psicologici, ma particolarmente di natura simbolica e istanze arcaiche stratificate in dimensioni d’inconscio collettivo, che spingono ad identificare il gesto della scalata verso il mondo celeste con l’affermazione dell’io umano, contrapposto all’entità superiore, spirituale e trascendente, che si pone come potere superiore soverchiante e incomprensibile, dal quale tenta di liberarsi o addirittura prevalere. Lo sforzo enorme non nasconde l’intenzione di sostituire la cattedrale con il grattacielo come cattedrale laica.
Aumentando in modo strabiliante l’altezza delle costruzioni si è dovuto catalogare come supergrattacielo quella megastruttura che raggiunge gli 80 piani, ovvero supera i 300 metri. Tale tipo di costruzione, presente in pochi esemplari qualche decina d’anni fa, si sta moltiplicando e le altezze si sono raddoppiate. Supertall il termine inglese vale: super alto, ultragrande, ma tall ha una progressione di significati curiosa: partendo da alto, prosegue per straordinario, incredibile fino a esagerato e infine coincide col termine panzana.
L’idea, il manufatto e il suo sviluppo è tipicamente americano e ne interpreta lo spirito: cercare il bello nello smisurato, colossale, nell’esagerazione, nella grandezza e nella quantità, piuttosto che, come l’architettura ha preferito in passato, nell’armonia, nella misura, nella proporzione. Prendendo le mosse da Chicago, il cuore della fiamma s’insedia nel centro di Manhattan a New York City creando una forte rivalità con Downtown, o Lover Manhattan, il nucleo della borsa valori di Wall Street.
La culla della torre moderna è stato il mondo finanziario: sono le compagnie che iniziano una gara a chi costruisce come propria sede l’edificio più alto e fu la Home Insurance Company a dare il via nel 1885 a Chicago con un edificio di tredici piani che nel giro di cinque anni dovette cedere il primato al Manahattan Building di sedici piani. Da allora negli Stati Uniti fu una continua corsa delle compagnie a scavalcare in altezza la sede delle rivali finché le cose si fecero serie con valore simbolico tra le varie industrie, oggi tra i popoli.
Fin qui la cosa non è molto diversa dal fenomeno delle torri delle città medievali, di cui San Gimignano ci ha conservato un esempio concreto: ogni famiglia, come a Firenze, circondava la propria area di un muro di sicurezza in cui si custodivano le abitazioni e gli opifici della propria attività, ponendo in chiave strategica e in armonia con la propria parte politica la torre, in funzione sia di difesa dalle sommosse e dalle lotte intestine, sia come simbolo della potenza della famiglia e della sua impresa.
La guerra della grandezza prese dimensioni imponenti per una congiuntura favorevole: l’enorme espansione industriale del paese, la meccanizzazione del lavoro, il perfezionamento degli ascensori, l’uso di nuovi materiali come il cemento armato, il vetro, l’acciaio, e altri metalli. Ma sono le molle ideali a dare la spinta più prepotente e decisiva. I francesi, sempre pronti a prendere le imbeccate al volo e a farsene maestri, nel 1900 sentirono il bisogno di una simbolo civile, o laico, dello spirito del tempo e in occasione dell’Esposizione universale di Parigi edificarono, dal 1887 al 1899, in ferro, simbolo dell’industria e del progresso ottocentesco, la Tour Eiffel di 300 metri (ora 320) che fu il manufatto più alto del mondo.
Con la grandiosità si rivela nelle opere americane anche una certa componente infantile della sfida perché almeno nella fase iniziale non è rilevante l’aspetto estetico, limitata l’utilità funzionale e l’edificio elementare consente poco all’originalità, anche se molto alla complicazione: di per sé è una ripetizione ossessiva di elementi sovrapposti, tanto che in Europa fu considerata a lungo un’esercitazione scolastica. Le Torri Gemelle rivelarono poi questa natura innegabile della costruzione, riducendola alla sua essenzialità di prisma, come la pietra dell’intelligenza, il monolite scoperto dagli astronauti in 2001, Odissea nello spazio.
Spostandosi a New York il fenomeno della guerra dei grattacieli si amplia e si formalizza ricevendo regole imposte dalle autorità politiche a salvaguardia dell’ambiente: l’altezza della mole dell’Equitable Building di 164 metri costruito nel 1915 mise al buio in pieno giorno una zona di Manahattan, per cui con i limiti imposti dall’ambiente cittadino si crearono le tipologie del grattacielo: la forma a campanile, la più semplice consentiva di alzare al centro del complesso o dell’edificio, una torre dritta come un campanile; la forma a ziggurat prevedeva che i corpi successivi della costruzione arretrassero progressivamente nell’ascesa come le piramidi della Mesopotamia o delle civiltà precolombiane. La forma a plaza (piazza) ha come presupposto uno spazio molto ampio di cui l’edificio occupa la parte centrale e può salire anche in perfetta verticalità.
Negli anni intorno alla Grande Guerra si scatena la febbre di queste costruzioni che si ornano di pubblicità, di scintillanti insegne luminose che entrano della fantasmagoria notturna della città moderna e tutto si concentra nella cosiddetta isola dei grattacieli, la Midtown di Manahattan. Pian piano New York si riempie di grattacieli che attualmente arrivano quasi al numero di 700.
Insieme a così importanti elementi si ha una rappresentazione della nuova vita nell’ambiente industriale avveniristico che pare molto meno ingenua nella sua realizzazione cinematografica se si considera quello che era il pensiero dominante nel tempo nella gente che concepiva l’esistenza nei grattacieli: strade aeree che corrono a livelli diversi, aerei che passano tra guglie ed edifici immensi, veicoli che vagano come automobili dell’aria, vita che si svolge ad altezze inusitate. Ebbene, i costruttori dell’Empire State la pensavano allo stesso modo: in cima alla torre fu issato un pennone con l’aggiunta di 16 piani per permettere l’attracco dei dirigibili, altro mito del tempo, in modo tale che i passeggeri che sbarcavano a New York potessero scendere con armi e bagagli direttamente nei saloni dell’immensa costruzione. Le cose poi andarono diversamente, ma rimangono l’immensa mole, lo spazio colossale, la gabbia con 6400 finestre, l’immenso sfarzo di pavimenti e scalinate di marmi preziosi, di graniti e di ogni altro arredamento dove trionfava la Banca di New York.
La storia ha ridimensionato certi sogni che tuttavia non sono morti, se mai assopiti e risorgono oggi espandendosi nelle economie di nazioni emergenti, ben lontane, se non ostili al mondo americano. Sopravvive intatta però, anche se combinata con elementi diversi come il campanile gotico, il minareto, e aspirazioni, intenti diversi di altre civiltà la determinazione di staccarsi e superare il limite umano, il che corrisponde per l’uomo ad ergersi come misura assoluta di se e della realtà realizzando, in senso diverso da come l’intendeva Protagora, la superba affermazione: L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono.
Anche l’obiettivo è rimasto quello eterno: la scalata del cielo. Come luogo la scienza lo avrebbe dovuto demitizzare: Dio non abita certo da quelle parti più che altrove, ma come simbolo resta intatto, aggredito sia con i veicoli spaziali che con le guglie vertiginose. Afferma uno studioso di queste architetture: Il grattacielo si configura non come cosa necessaria, neppure utile, ma resta l’incarnazione plastica del progresso positivista e come sfida dell’uomo al metafisico. Ma come?
Viene il sospetto che tutte queste guglie e pinnacoli vogliano chiamare Dio a rivelarsi come avvenne nel racconto biblico (Genesi XI, 1-9): «La terra aveva uno stesso linguaggio… Gli uomini abitarono nella campagna di Sennar… e si valsero di mattoni in cambio di sassi e bitume invece di calcina… E dissero: – Facciamoci una città e una torre, di cui la cima arrivi fino al cielo… Ma il Signore discese a vedere la città e la torre e disse… – Confondiamo il loro linguaggio, sicché l’uno non capisca il parlare dell’altro… e li disperse da quel luogo per tutti i paesi e abbandonarono la fabbrica della città».
Ma la scalata del cielo è una tentazione universale che si trova in ogni tradizione, la materia ha la sua mistica: anche i Titani, figli di Urano e Gea vollero scalare il cielo e sovrapposero le montagne salendo l’Olimpo, finché Zeus li colpì con i fulmini, relegandoli per sempre sotto l’Etna. Che è dunque oggi questa smania diffusa, antica e moderna? Non so trovare risposta migliore di quella che leggo in J. Chevalier: Dictionnaire des Simboles, Laffont 1969): «I Titani simbolizzano anche la tendenza al dominio… ancora più temibile quando si nasconde dietro un desiderio ossessivo di migliorare il mondo. È una tendenza molto diffusa in certi ambienti di alti funzionari, di tecnocrati, soprattutto internazionali, là dove regna quello che certi psicologi hanno chiamato febbre tisica e farneticante, una febbre che non agita, a dire il vero, che una burocrazia kafkiana».
La gara delle altezze
Ce ne sono in arrivo molti a Milano: Il Dritto (220), Lo Storto (190) e Il Curvo (170) e saranno un bel trio con le Torri Garibaldi (215), la Landmark Tower di Rozzano (212); ma anche il Piemonte aspira a una sede della regione altolocata a Torino (183).