L’Italia è al quarto posto, in Europa, quanto a sovraffollamento delle carceri. Peggio stanno solo in Grecia, Ungheria e Bielorussia. «Ma in Toscana si sta meglio che altrove. Lo dimostrano le richieste di trasferimento che tanti detenuti, da sud e da nord, presentano per essere trasferiti qui da noi». Almeno così la pensa Luisa Prodi, una delle responsabili di «Controluce», un’associazione che da venti anni è attiva all’interno del carcere Don Bosco di Pisa. Quali sono i motivi di questa capacità di «attrazione» da parte delle carceri toscane?«La nostra magistratura di sorveglianza ha una lunga tradizione di attenzione verso le misure detentive alternative alla detenzione intramuraria. In Toscana, poi, è molto forte il «terzo settore» e anche le amministrazioni pubbliche si dimostrano disponibili a collaborare per il reinserimento dei detenuti».Può fare qualche esempio?«A Pisa da diversi anni abbiamo l’esperienza, credo unica in Italia, di Oltre il muro, una residenza per persone che hanno finito di scontare la pena o sono in affidamento. È promossa dalla Conferenza dei sindaci e dalla Società della salute, ha personale pubblico, e offre un letto e un tetto, per almeno tre mesi, a chi non ha una famiglia o una casa. Bisogna solo avere i documenti in regola e non essere tossicodipendenti».Il sistema penitenziario toscano ha altre particolarità?«La Regione Toscana, con una sua legge, ha previsto l’eliminazione della divisione tra la sanità carceraria e la normale sanità pubblica. Non va dimenticato che una carcerazione prolungata produce, di per sé, effetti ben precisi sulla salute e – pur non disponendo di statistiche – posso dire che all’interno del carcere è altissima l’incidenza di certe patologie».Particolare attenzione è data anche alla scolarizzazione e all’istruzione…«Recentemente è stata sottoscritta una convenzione tra le università e le carceri toscane. L’istruzione è anche uno dei settori in cui la nostra associazione è più attiva. Abbiamo iniziato anni fa a organizzare corsi scolastici in collaborazione con alcuni insegnanti del Santoni, e tra mille difficoltà, anche burocratiche, continuiamo a credere in questo progetto. Chi riesce a raggiungere un diploma, una laurea, cambia anche l’immagine che ha di se stesso. Sicuramente non tornerà a rubare, ad esempio. Sono cresciuti, in cultura e formazione, anche gli agenti di polizia penitenziaria. Prima della riforma, negli anni ’90, per partecipare al concorso di agente penitenziario, bastava la licenza di quinta elementare. Ora il personale è profondamente cambiato e la collaborazione con gli agenti di custodia è in molti casi preziosa».Oltre all’istruzione, quali sono i servizi rivolti da «Controluce» ai detenuti?«In generale cerchiamo di assecondare le attitudini di chi chiede di associarsi a noi. L’attenzione al tema dell’istruzione, ad esempio, è dovuta al fatto che molti di noi sono insegnanti. Gestiamo – assieme alla parrocchia di Santa Marta – un appartamento dove ospitiamo detenuti in semilibertà negli spazi che rimangono loro disponibili tra il lavoro o la scuola e il rientro in carcere. O accompagniamo, su indicazione del magistrato, i detenuti stranieri. Abbiamo un centro d’ascolto, aperto una volta alla settimana, dove i detenuti vengono a chiederci una mano per trovare un lavoro, una casa, per mettersi in contatto con la famiglia, o soltanto a scambiare due parole».Controluce ha una sede in via Garibaldi 33 (tel. 050 580005) dove i volontari si ritrovano tutti insieme il giovedì sera ogni quindici giorni. «Chi decide di associarsi a Controluce non verrà subito messo a contatto con i detenuti e il mondo carcerario – avverte Luisa Prodi. Bisogna che prima sia preparato. Per questo ogni anno organizziamo un corso di formazione, sotto la guida di una psicologa esterna all’associazione: perché chi opera come volontario all’interno del carcere corre spesso il rischio di un coinvolgimento eccessivo. Nostro obiettivo deve invece rimanere la salvezza della persona: bisogna stare dalla parte del detenuto, ma nello stesso tempo prendere le distanze da quello che lui ha fatto, dal reato che ha commesso».