Il governo Berlusconi e la sua maggioranza stanno conducendo un’offensiva a tutto campo sui temi della giustizia, particolarmente penale. La stanno conducendo all’interno, cercando di rivoltare il caso Taormina contro quegli stessi che lo avevano sollevato, rilanciando sulla «vecchia» storia della riforma dell’ordinamento giudiziario; e la stanno altresì conducendo nel contesto dell’Unione Europea (che con sottile intuizione Umberto Bossi ha chiamato in piazza «Forcolandia»…), tenendo in scacco almeno per ora l’evoluzione dello spazio giudiziario europeo verso l’introduzione per una prima lista di trentadue reati tra i più gravi del mandato di arresto comunitario (un magistrato di uno qualsiasi dei quindici Paesi può far arrestare il cittadino di uno qualsiasi dei quindi Paesi, senza passare attraverso le defatiganti procedure dell’estradizione).Nei primi mesi di gestione del potere il governo e la sua maggioranza non avevano posto mano alle riforme del sistema giudiziario, che pur erano uno dei capisaldi del programma elettorale: avevano invece riservato «corsie preferenziali» e rapidissimi tempi di approvazione per norme diverse, ma capaci di incidere con precisione ed efficacia su alcuni dei processi ancora in corso di Tangentopoli e dintorni: un sostanziale svuotamento del reato di falso in bilancio anche come deterrente, ma soprattutto come temibile capo d’accusa nei processi ancora aperti; una rigidissima stretta sulle formalità e sulle caratteristiche burocratiche delle prove e delle attività istruttorie svolte all’estero su richiesta (rogatoria) di nostri magistrati da parte di magistrati stranieri, con la conseguenza di renderle sempre più difficilmente utilizzabili, ma altresì di rendere inutilizzabili quelle già (legittimamente) raccolte, con un uso assai disinvolto (ma assai favorevole agli imputati) della retroattività; un regalo secco sia in termini economici sia in termini legali a quanti negli anni passati avevano illegalmente esportato ingentissimi capitali verso i cosiddetti «paradisi fiscali», e che ora potranno riportarli per investirli in Italia, con la minima imposta/sanzione del 2,5%, che garantirà la sanatoria totale di tutte le pendenze con il fisco; sembra altresì che negli ultimi giorni si stia affermando l’idea di introdurre nel «collegato» alla finanziaria un sostanzioso condono fiscale, riservato a quegli evasori che, colti sul fatto, invece che pagare sono andati in causa con lo Stato.Come si vede, tutti provvedimenti che non riguardano né riguarderanno la gran massa dei cittadini delle fasce sociali medie o medio-basse; così come non riguarderanno, altresì, i cittadini onesti.Ebbene: compiuti questi adempimenti (non certo necessari all’interesse pubblico, anzi), è scoppiato il caso Taormina, l’avvocato penalista che era anche sottosegretario agli Interni, che non era riuscito a tener conto dell’evidente conflitto di interessi fra chi, esponente del governo, difendeva altresì soggetti imputati di gravi e gravissimi reati contro la pubblica amministrazione.Il «prezzo» delle dimissioni di Carlo Taormina sembra essere stata la ripresa in grande stile dell’offensiva di Silvio Berlusconi e dei suoi contro la magistratura (certo: contro alcuni magistrati e, soprattutto, l’amministrazione della giustizia in Italia nel suo complesso). O meglio: anche qui, di fronte ai tanti, gravissimi problemi della giustizia (e non solo penale, ma altresì civile e amministrativa) e della sua amministrazione, sembra che l’unica, vera emergenza sia quella che riguarda la carriera dei pubblici ministeri (ma questa vicenda svela il vero bersaglio che, attraverso l’introduzione di maggiori controlli governativi nei confronti dei pubblici ministeri, è la sopravvivenza dell’obbligatorietà dell’azione penale, e più incisivamente la stessa possibilità di sottoporre chi è in politica alla giurisdizione dei giudici di tutti, con un’estensione avvolgente dell’immunità o impunità parlamentare, che Bossi vorrebbe estendere anche ai consiglieri regionali).La questione dello spazio giudiziario europeo è grave non tanto per un isolamento dell’Italia in Europa che era già maturato con altre scelte fondamentalmente antieuropee del governo solo parzialmente tamponate (come la marcia indietro sul contratto Airbus), o per il ricorso a un metodo (quello del «veto») che in una situazione in cui per le questioni più importanti è necessaria l’unanimità è stato usato innumerevoli volte da tutti gli stati membri. La gravità della posizione assunta dal governo italiano è data, da una parte, dalla caratura dei reati che il ministro Castelli vorrebbe non sottoposti allo spazio giudiziario europeo: sono tutti reati di criminalità organizzata, quei reati di cui le mafie si servono per procurarsi fondi, e sono, poi, reati finanziari e contro la pubblica amministrazione; ed è altresì data, dall’altra parte, dalla durezza antieuropea (oltre alla rudezza diplomatica) della Lega e dei suoi ministri, che è uscita nettamente e che non mancherà di imbarazzare (quanto meno) non solo i rapporti comunitari del nostro Paese, ma altresì i rapporti interni alla maggioranza governativa e anche quelli istituzionali fino ai livelli più alti nello stato. L’accordo raggiunto martedì, se ricuce lo strappo con l’Europa, apre però un percorso di revisione costituzionale che sarà lungo e non facile, che evidenzia però la complessità dei problemi emersi.In tutto questo i problemi della giustizia quelli veri, quelli che ne fanno talvolta un nemico invece che un presidio per i cittadini, specie i più deboli restano sullo sfondo. E si ha l’impressione che sull’interesse pubblico generale prevalgano esigenze di parte, o addirittura personali.