Italia

Giustizia, dalla distinzione delle funzioni a quella delle carriere

L’iter del disegno di legge costituzionale che separa la «giudicante» dalla «requirente» sarà probabilmente lungo

Nel trittico delle grandi riforme voluto dalla maggioranza di destra-centro uscita vincitrice dalle elezioni politiche del 25 settembre 2022, la separazione delle carriere dei magistrati occupa un posto di assoluto rilievo. Al pari naturalmente delle altre due riforme, il premierato e l’autonomia differenziata, è destinata (qualora approvata) a mutare profondamente la fisionomia dello Stato. Il tutto, però, dentro la cornice costituzionale repubblicana. Non è un caso, infatti che due di queste riforme (premierato e separazione delle carriere dei magistrati) necessitino di un percorso legislativo costituzionale.

Proprio questa consapevolezza, unita alla circostanza di un imminente voto per il rinnovo del Parlamento europeo (con inevitabili ripercussioni politiche a livello europeo e nazionale), ci spinge come non mai a una narrazione «sine ira et studio». Ovvero «senza animosità e parzialità», «senza ira né pregiudizi». Ci penseranno il dibattito pubblico e il confronto nelle aule parlamentari (pur con i loro spunti polemici) a chiarire ai cittadini elettori la portata della riforma della giustizia.

Ultima di tempo nella presentazione. Infatti risale solo al 29 maggio scorso il via libera da parte del Consiglio dei ministri al disegno di legge costituzionale sulla riforma della magistratura che reca il titolo «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare». Fra le quali spicca la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente. In altre parole, si tratta della separazione delle carriere tra i giudici che emettono le sentenze e i pubblici ministeri che svolgono le indagini. Procediamo con ordine per esaminare i cardini della riforma.

Dalla distinzione delle funzioni alla separazione delle carriere

Con la riforma si supera la carriera unica dei magistrati che oggi si distinguono soltanto per le diverse funzioni esercitate. Infatti si accede alla magistratura attraverso lo stesso concorso pubblico e si può esercitare indifferentemente una delle due funzioni: giudicante o requirente. Con eventuali passaggi da una funzione all’altra disciplinati sempre dalla legge. Con la riforma Nordio (dal nome del Guardasigilli) il magistrato si troverà nella condizione di effettuare una scelta radicale e definitiva all’inizio. Per tutta la carriera dovrà esercitare o l’azione giudicante o quella requirente.

Va detto che il cambio di funzione, secondo il vecchio ordinamento, era già stato per due volte limitato. Prima con la riforma Castelli del 2006 (dal nome dell’allora ministro della Giustizia), ma soprattutto in tempi recentissimi con la riforma Cartabia del 2022 (dal nome del Guardasigilli del governo guidato da Mario Draghi). Per limitarci alla situazione attuale, quest’ultima riforma ha ridotto la possibilità del passaggio di funzione da quattro a una sola volta in carriera. E soprattutto solo nell’arco dei primi dieci anni di carriera.

Il doppio Consiglio superiore della magistratura e l’Alta Corte disciplinare

Attualmente l’intero corpo della magistratura è sottoposto al Csm che è l’organo preposto dalla Costituzione al suo autogoverno. Il Csm è presieduto dal presidente della Repubblica che ne è il capo effettivo. La riforma Nordio prevede l’istituzione di due distinti Csm, entrambi presieduti sempre dal Capo dello Stato, che sovrintenderebbero rispettivamente alla magistratura giudicante e a quella requirente. Ricordiamo che oggi il Csm ha un ruolo decisivo nel disporre i trasferimenti, le promozioni e le sanzioni a carico dei magistrati. Se passasse la riforma Nordio, la funzione di giudizio e sanzionamento verrebbe attribuita a un nuovo organo: l’Alta Corte disciplinare. Essa verrebbe chiamata a emettere sentenze disciplinari nei confronti dei magistrati di entrambe le carriere, punendo gli illeciti disciplinari e stabilendo le relative sanzioni.

Nella speranza di aver ridotto al minimo i tecnicismi, lasciamo spazio ad alcune brevi considerazioni finali. Innanzitutto va detto che il disegno di legge in discussione interviene sul titolo IV della seconda parte della Costituzione. Per questa ragione il suo iter sarà inevitabilmente lungo. Dopo la doppia lettura di Camera e Senato, e nel caso di mancato raggiungimento della maggioranza dei due terzi favorevole alla riforma, si potrebbe rendere necessario il referendum confermativo.
Infine va ricordato, ma solo a titolo di promemoria per tutti noi, quanto stabilisce la Costituzione: la magistratura è autonoma e indipendente ed è soggetta soltanto alla legge. Che la riforma in discussione soddisfi questo fondamentale requisito spetta ai nostri parlamentari. Altrettanto vale per un altro caposaldo: l’obbligatorietà per il pubblico ministero di esercitare l’azione penale.
Ultimo appunto: le tre riforme presentate dalle forze di destra-centro hanno, in realtà, sponsor principali diversi. Se Fratelli d’Italia sostiene il premierato, la Lega vuole l’autonomia differenziata e Forza Italia preme per la separazione delle carriere dei magistrati. Sarebbe facile dire: «Simul stabunt simul cadent» (insieme staranno oppure insieme cadranno). Ma la politica è il regno dell’imprevedibile. Le disavventure di Berlusconi, D’Alema e Renzi in materia di riforme istituzionali dovrebbero aver insegnato qualcosa… Qualcuno resterà con il cerino in mano?