Opinioni & Commenti

Giuseppe, un nome da Unità d’Italia

di Mario Carrera

Il libro dei Salmi canta che «Dio guarirà i cuori affranti e fascia le loro ferite… e ha posto la pace tra i suoi confini». Espressioni significative all’indomani delle celebrazioni del 150° centenario dell’Unità d’Italia e nella solennità di San Giuseppe, l’umile e «giusto» lavoratore della lontana Galilea. Il nome «Giuseppe» occupa la scena e l’applauso del popolo italiano. Fu imposto a tre grandi artefici dell’Unità d’Italia: le idee, l’intelligenza e la sete di spiritualità di Giuseppe Mazzini; l’estro, la fantasia, il genio dell’autore di musiche immortali di Giuseppe Verdi. Una mamma tanto religiosa e devota di San Giuseppe ha dato il nome all’«eroe dei due mondi», Giuseppe Garibaldi.

In un altro salmo: «Se il Signore non costruisce la città, invano vi faticano i costruttori». Nella stagione risorgimentale la Chiesa avverte un appello alla conversione: deporre la tentazione del potere e rivestire il grembiule del servizio. Alla fantasia, alla creatività e all’energia fisica, la comunità ecclesiale accosta anche un’energia spirituale; e San Giuseppe diventa il modello. Nel 1870, per opera di Pio IX, viene indicato come protettore della Chiesa universale. Erano momenti difficili. L’orgoglio, la presunzione, le ragioni politiche avevano terremotato il tessuto sociale italiano. Troppe ferite, molti gli animi disorientati. Esagerate tensioni sociali invocavano un supplemento di grazia, di quella forza invisibile che amalgama i cuori, indica la direzione di marcia per un traguardo di unità. La semplice firma dell’Unità non risolveva i problemi della fame, delle malattie, dell’ignoranza, del lavoro.

Il patrimonio di umanità, la fedeltà al popolo umile da parte della Chiesa hanno aiutato a pacificare i cuori e a purificare le stesse strutture ecclesiali. Fu proprio in quegli anni che la devozione a San Giuseppe si accrebbe. Egli diventava il modello di virtù e il grande intercessore per le povertà fisiche e morali di un popolo che andava cercando di scrivere una storia più umanamente felice. E ci sono ancora santi, operanti a Torino come San Giuseppe Cottolengo, San Giuseppe Cafasso, e altri santi piemontesi, ispirandosi alla casa di Nazareth, che hanno formato generazioni di giovani come don Bosco, il Murialdo, don Orione hanno risposto a problemi sociali e come non pensare a don Guanella piegato sulle ferite della povera gente. Molti sono stati i preti anonimi e silenziosi che, fuori dei grandi agglomerati, hanno aiutato la gente a mantenere viva la speranza come energia vitale.

San Giuseppe, l’uomo «giusto» si fa ancora modello per apprendere come costruire un mondo secondo il pensiero di Dio, cosicchè ogni persona viva in pienezza la propria esistenza.