Pisa
GIUSEPPE TONIOLO 90 ANNI DOPO
Fin dalla seconda metà dell’800 il rapporto chiesa-laici ha fortemente risentito dell’esistenza di uno stato pontificio e dei conflitti generati dalla nascita dello stato italiano. Le gerarchie imposero poi, nel 1904, lo scioglimento dell’organizzazione laica più rappresentativa, l’Opera dei Congressi, ed ebbero rapporti talora difficili con l’AC. Sembra un percorso travagliato…
«È indubbio che il cammino del Movimento cattolico sia stato tutt’altro che lineare: né sono mancati i dissensi, come conferma la situazione venutasi a determinare all’interno dell’Opera dei Congressi, che avrebbe dovuto rappresentare il punto di incontro dei cattolici a vario titolo operanti nella società italiana. Al di là della ancora irrisolta questione romana stava il difficile rapporto fra Chiesa e modernità, che intellettuali come Toniolo hanno affrontato con grande impegno ma senza riuscire a sciogliere del tutto i legami che hanno a lungo avvinto il Movimento cattolico a modelli medievalistici. La Rerum novarum ha rappresentato un primo passo in avanti sul terreno sociale, ma restava aperto il problema propriamente politico, quello cioè dell’accettazione (che sarebbe intervenuta molto più tardi, con Pio XII) della democrazia».
Lei ha scritto che comunque «l’ecclesiologia di comunione ha faticato non poco ad affermarsi nella realtà delle cose per una serie di ragioni ricollegabili a una lunga tradizione di gestione quasi monocratica dell’autorità»…
«I ritardi nella piena attuazione di una ecclesiologia di comunione, pur astrattamente riconosciuta come quella meglio corrispondente alla natura della Chiesa, sono derivati dalla mancata distinzione fra il momento della decisione (che, in ambito ecclesiale, spetta da ultimo ai pastori) e il momento della consultazione; né talune impazienze di qualche malaccorto contestatore hanno favorito un sereno dibattito su questo tema. È di grande importanza, prima del momento della decisione, quello della consultazione del popolo di Dio, tanto a livello di chiese locali quanto nell’ambito della Chiesa italiana. Come è stato riconosciuto anche al convegno di Verona, non ovunque i consigli pastorali godono di buona salute e, a livello nazionale, non è stato ancora individuato un organismo realmente rappresentativo del laicato, come ad esempio il Consiglio (nazionale) dei laici, per altro esistente in vari paesi europei».
In termini più prettamente politici il rapporto chiesa-laici ha vissuto il tentativo di Romolo Murri e poi l’altrettanto breve esperienza del Partito popolare. Nel secondo dopoguerra inizia la storia della DC, finita nel 1994. Cosa rimane, oggi, di quelle esperienze?
«Sia il tentativo della Democrazia cristiana di Murri che quello del Partito popolare di Sturzo si sono mossi nella prospettiva del riconoscimento della legittima autonomia dei laici (per altro non, allora, riconosciuta da una Chiesa gerarchica orientata a guidare anche le scelte di campo dei cattolici in ambito politico). Nel mutato clima del secondo dopoguerra, la Chiesa ha almeno in parte riconosciuto la legittimità di spazi autonomi di azione dei laici in materia politica e dunque l’esperienza storica della DC ha potuto esplicarsi in relativa autonomia (nonostante alcuni momenti di tensione, come quelli verificatisi negli anni di De Gasperi). Il tramonto della DC non appare certo imputabile alla Chiesa-istituzione, ma piuttosto al logoramento di un partito di rinnovarsi incapace di rinnovarsi negli uomini e nella prassi di governo».
Alle elezioni politiche del 2006 – le ultime con una presenza «variegata» di partiti – solo il 15% degli elettori ha votato partiti che si definivano di «ispirazione cristiana». Come pensa si orienteranno in futuro le scelte politiche dei cattolici?
«In effetti, mentre nella lunga stagione che va dal Partito popolare alla DC, per i cattolici praticanti è parso normale votare cattolico, con la crisi della DC, nel mutato contesto politico ed ecclesiale, questo collegamento è venuto meno: i cattolici praticanti votano ormai in ordine sparso, prevalentemente sulla base dei loro interessi. Il prevalere del voto di interesse sul voto dei valori è tuttavia legato non soltanto a certi egoismi dei singoli ma anche, e forse soprattutto, ad una mancata formazione delle coscienze. Quale educazione alla politica (di alto profilo, e non banalmente clientelare) fanno oggi le comunità cristiane? Si prospetta il rischio di una dissociazione fra vissuto ecclesiale e scelte politiche, come se tutte le opzioni si ponessero sullo stesso piano. Personalmente ritengo particolarmente preoccupante il fenomeno – rilevato in aree ad alta pratica domenicale e un tempo veri e propri feudi della DC – del passaggio dal voto bianco a forze politiche che si caratterizzano per i loro particolarismi, i loro razzismi, o addirittura per atteggiamenti neo-pagani».