Vita Chiesa

Giuseppe e Maria, l’arte di essere padri e madri che sanno donare fede e umanità

Ogni mattina, di buon’ora, dalla finestra della scuola dell’infanzia Consolata vedo arrivare il piccolo Gabriele col suo babbo. Mentre salgono la scalinata si tengono per mano, poi lo sguardo del padre cerca quello del figlio, tentando di cogliere quale sia il suo stato d’animo. Si avvicinano all’entrata, talvolta saltellando, oppure trascinando i piedi, ancora insonnoliti: entrambi, sulla soglia, guardano la porta che si apre. Il padre allora s’inginocchia, fissa Gabriele intensamente, gli aggiusta il giubbottino, poi lo solleva a sé, lo stringe, lo bacia e con delicatezza lo rimette a terra. È allora che, con un po’ di timore, si rivolge a me per consegnarmi il bambino, ma lo lascia andare solo quando si accorge che il piccolo è sereno. Gabriele, tutto contento e forte di tanto amore ricevuto, con i suoi occhi verdi spalancati, saluta il babbo dandogli il «cinque». E così Michele, Sole, Sofia, Libero… e tanti altri vengono accompagnati a scuola da uomini che donano ai loro figli e alle loro figlie sicurezza e allo stesso tempo la tenerezza e la premura di chi ama senza riserve.Poi, al telegiornale, vedo quei padri, al confine tra la Polonia e la Bielorussia, che tengono stretti fra le braccia, avvolti in coperte fradice e sporche, i loro bambini e le loro bambine nella speranza di non farli morire di freddo. Genitori che hanno lavorato duramente, che hanno camminato senza riposo per cercare di assicurare un futuro dignitoso ai figli. Hanno le lacrime agli occhi, sono trasfigurati dalla stanchezza, ma resistono per portare in salvo i più anziani e i più piccoli. Davanti ai fuochi accesi con legna verde, che più che caldo fa fumo, questi padri tentano, con le madri, di prendersi cura dei più fragili, dei malati, di chi è rimasto solo durante il viaggio. E ancora… vedo quei giovani uomini sui barconi in mezzo al Mar Mediterraneo e nel Canale della Manica tra acque gelide e agitate, che dopo inenarrabili soprusi e violenze hanno preso il largo nel miraggio di poter raggiungere e abbracciare i figli e le mogli…Sono quelle immagini a ricordarmi ogni giorno che questo è l’anno dedicato da papa Francesco a san Giuseppe ed è proprio per quegli uomini, per quelle famiglie che l’ho pregato spesso, chiedendo la sua intercessione. Da come ne parlano i Vangeli di Matteo e di Luca, infatti, comprendiamo bene che la grandezza del falegname di Nazareth, che coincide con la missione che Dio gli ha affidato, sta proprio nell’essere, nella semplicità e nel nascondimento, il padre di Gesù e lo sposo di Maria, e di averli amati con tutto se stesso. San Giuseppe, infatti, è stato un padre premuroso, pieno di coraggio e creativo nel trovare soluzioni nelle difficoltà della vita, ha lavorato per offrire il necessario alla propria famiglia e tutto questo perché era «un uomo giusto» (Mt 1,19), che si è fidato completamente di Dio, obbedendo a ogni Sua parola.Nella nostra società, però, non tutti si comportano come lui. Spesso ci sembra addirittura che i bambini siano orfani: ma, come dice Papa Francesco, «padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui» (Patris Corde, 7). Giuseppe infatti ha saputo amare in modo casto, non cercando il possesso, ma defilandosi e mettendo al centro della propria vita Maria e Gesù. «Essere padri – continua il Papa – significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze». Per questo siamo chiamati sempre più a guardare e a rivolgerci a San Giuseppe quando cerchiamo un sostegno da chi in modo discreto, senza far troppo rumore, si è donato alla propria famiglia, per assolvere pienamente al compito che Dio gli aveva assegnato nella storia della salvezza.Tra pochi giorni, con la Solennità dell’Immacolata, terminerà l’Anno indetto da papa Francesco per celebrare il 150° anniversario della proclamazione di San Giuseppe a Patrono della Chiesa universale, ma più che mai, in questo periodo segnato dalla sofferenza e dall’insicurezza, dovremo continuare a pregare lo sposo di Maria e approfondire la conoscenza della sua vita, che ci attrae per la sua normalità e, contemporaneamente, per la vicinanza al mistero di Dio.Maria e Giuseppe possono essere, come del resto la liturgia c’insegna, le due figure più importanti per accompagnarci nel cammino di Avvento. Maria Immacolata, la donna pura e piena di grazia per eccellenza, è colei che non ha trattenuto nulla e che, libera da ogni condizionamento, ha vissuto la propria esistenza nel dono totale di sé, permettendo a Dio di entrare nella sua vita senza porre ostacoli. Guardare a lei, donna del silenzio, dell’ascolto, dell’attesa, dell’accoglienza della vita, è un’occasione importante per apprendere una modalità nuova di essere e di agire. Divenire donne e uomini di fede, che si fidano di Dio e a Lui si affidano, è quanto mai urgente in questo tempo, in cui l’apparire e la superficialità nei rapporti caratterizzano purtroppo il nostro vissuto, mentre l’umanità sembra gridare, con disagio palese o nascosto, che ha bisogno di persone che fattivamente si facciano prossimo nell’aiuto concreto e nella cura premurosa.Maria e Giuseppe, nel loro cuore, hanno goduto dell’adesione a Dio: nel duplice movimento esistenziale hanno offerto la loro vita al Signore e hanno donato Gesù all’umanità. Nell’incontro dell’offerta e del dono hanno tracciato anche la nostra missione, indicandoci la strada perché possiamo diventare uomini e donne di ascolto, di accoglienza, di tenerezza, di gratuità e soprattutto di speranza, per potere costantemente umanizzare la terra abitata da Dio. Questo è lo stile di vita che forse, oltre a prepararci al Natale, potrà anche aiutarci a compiere i primi passi nel Cammino sinodale che stiamo intraprendendo nella diocesi di Firenze, insieme alla Chiesa universale.*Costanza Pagliai

Sorella Apostola della Consolata