Molti di noi potrebbero certamente ricordare le diverse sfaccettature della sua ricca personalità.Io ne voglio ricordare una fra le tante. La sua passione per l’ecumenismo, che abbracciò subito dopo il Concilio e che non lo abbandonò più. Quando arrivò a Lucca nel 1973 nominò un delegato diocesano per l’Ecumenismo – non era allora parassi ordinaria – perché introducesse questo tema nel tessuto della pastorale diocesana. Cosa nuova e molto difficile farlo capire ai parroci. Il delegato di allora (don Marcantonio Borghigiani) spesso non veniva preso molto in considerazione e doveva sudare sette camicie per far intendere la novità che portava.A lui succedetti negli anni Ottanta ed ebbi personalmente la possibilità di toccare con mano quanto fosse difficile far capire ai parroci e ai laici, che l’ecumenismo è una dimensione della chiesa e della fede cristiana. Non è un qualcosa in più, non è una opzione a seconda delle sensibilità. Lo spirito ecumenico è suggerito dal mistero della SS. Trinità che si incarna nella chiesa e cioè dalle diversità nell’unità e poi dalle parole di Gesù: «dal bene che vi vorrete sapranno che siete miei discepoli» e ancora: «Prego… perché siano una cosa sola». L’ecumenismo si fa carico di questo mistero, perché si traduca appunto nella dimensione ecclesiale e di fede di ciascun credente.Fu l’Agresti a iniziare personalmente l’insegnamento dell’Ecumenismo e delle religioni non cristiane nello Studio Teologico Interdiocesano che allora aveva un altro nome – a quel tempo mancavano persone in grado di svolgere un tale impegno – Fece questo, perché voleva che i futuri presbiteri avessero una preparazione ecumenica e conoscenza ampia delle religioni.Agresti credeva in una chiesa diversa, in «una chiesa tutta ministeriale», come ricordava spesso, dove ognuno ha un compito specifico da svolgere nella comunità cristiana, a seconda dei doni ricevuti, che devono essere messi a disposizione della chiesa, perché essa diventi sempre più una chiesa aperta e bella, secondo la fantasia di Dio, libera dalle strettoie degli interessi, egoismi personali, dai carrieristi e dal pettegolezzo clericale.Certamente la frequentazione di ambienti ecumenici, come convegni in Italia e all’estero, gli incontri personali con esponenti di altre confessioni, ha dato all’Agresti la possibilità di rendersi conto che è possibile vivere la stessa fede in modi diversi. Fu molto stimato dai rappresentanti delle diverse confessioni che incontrò più volte durante gli anni, in cui fu presidente della Commissione Ecumenica della Cei.Negli anno Ottanta, al consueto convegno annuale dei delegati per l’ecumenismo in Italia invitò il prof. Peter Manns dell’Università di Magonza a parlare di Martin Lutero, della sua vita, della sua esperienza inserita nella storia della chiesa cattolica e delle sue principali opere. Fece questo per aiutare ad allargare la visione della chiesa ai delegati, che poi avrebbero lavorato nelle diverse diocesi italiane.Lutero si conosceva tramite la storia della chiesa della Controriforma, piena di pregiudizi, di accuse e falsità storiche. Si temeva di accostarci a lui. Il card. Karl Lehmann, vescovo di Magonza, eletto diverse volte Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, diceva che il Concilio ha raccolto alcune istanze di Lutero, vissuto oltre quattrocento anni prima.Agresti ha trasmesso lo spirito di comunione e apertura alle diversità con entusiasmo e convinzione alla diocesi di Lucca che non sempre lo ha capito.Di fronte al cambiamento che stiamo vivendo oggi e da lui così spesso preannunciato, ci troviamo in parte impreparati proprio perché siamo stati sordi alla sua predicazione circa la vita di una chiesa che cambiava e che sarebbe cambiata ancora.C’era bisogno di passare dal concetto di una chiesa statica, come era prima del Concilio Vaticano II, a una chiesa in movimento, che vive nel tempo, per cui lo sforzo di vivere i cambiamenti richiesti per poter annunciare con più efficacia la parola di Dio e le verità della chiesa.Alcuni parroci e laici, che non hanno capito e fatto proprio il messaggio della spina dorsale dello spirito ecumenico, sono rimasti chiusi nell’ovile parrocchiale a lisciare e curare le poche pecorelle rimaste, dimentichi di quelle più numerose che vagano fuori dall’ovile (cfr papa Francesco).L’eredità del vescovo Agresti mi sembra sia quella di vivere in una chiesa che cammina e lavorare insieme, mettendo a frutto i propri carismi secondo lo spirito del Concilio.La memoria del trapasso di mons. Agresti alla vera vita il 18 settembre 1990 sproni a continuare in questa direzione, voluta e sostenuta anche dal vescovo Italo.