Vita Chiesa
Giubileo: Zuppi, rimettere debiti ai Paesi poveri
Lo ha detto il presidente della Cei che aprendo il Consiglio permanente dei vescovi italiani ha parlato a lungo dell’appuntamento aperto da papa Francesco che: “ha colto una sete diffusa tra tante persone”

“Il Giubileo può diventare un’occasione per tornare a bussare alla porta dei Paesi ricchi, compresa l’Italia, perché rimettano i debiti dei Paesi poveri, che non hanno modo di ripagarli”. Ne è convinto il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che, introducendo il Consiglio permanente dei vescovi italiani, ha ricordato come nei Paesi poveri “vivono milioni di persone in condizioni di vita prive di dignità”. “Si badi che i debiti degli Stati sono talora contratti con privati: la Chiesa non può non far sentire la sua voce perché si stabilisca un’equità sociale e i pochi straricchi non profittino della loro posizione di vantaggio per influenzare la politica per i propri interessi”, ha aggiunto Zuppi. Senza dimenticare, come ha recentemente ricordato Papa Francesco, che c’è “una nuova forma di iniquità di cui oggi siamo sempre più consapevoli: il debito ecologico”, in particolare tra il Nord e il Sud. Di qui la necessità di “individuare modalità efficaci per convertire il debito estero dei Paesi poveri in politiche e programmi efficaci, creativi e responsabili di sviluppo umano integrale”.
“La scelta, davvero provvidenziale, del Giubileo, del tema giubilare e le parole del Papa hanno colto una sete diffusa tra tante persone, che non trovano o non sanno come cercare risposte”. Zuppi ha dedicato gran parte della sua introduzione al Consiglio episcopale permanente, in corso a Roma fino al 22 gennaio, all’anno giubilare appena iniziato. “L’imprevedibilità del futuro fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio”, l’analisi del cardinale: “Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza”. “Le porte delle nostre chiese sono sempre aperte a tutti, ma l’oggi del Giubileo ha creato un’occasione opportuna”, ha detto Zuppi: “Ci sono segni che hanno una grande capacità di comunicare e rompono il muro dell’indifferenza, del fatalismo, della rassegnazione che genera paura della vita. La vita sociale e la temibile logica del consumismo offrono tanti segni, spesso effimeri e ingannevoli perché facili e senza prezzo. La speranza ha sempre un prezzo di pazienza e di sacrificio. La Chiesa, nei forzieri della sua tradizione e della sua preghiera, conserva tanti segni eloquenti, che non sono logori o d’altri tempi. In essi si esprime un messaggio forte, di cui essere gioiosamente consapevoli e che il Giubileo e il Sinodo ci stimolano a riscoprire”. Tra i “segni” citati dal presidente della Cei, l’inaugurazione della Basilica di Notre Dame a Parigi dopo il terribile incendio, e le chiese dell’ex Unione Sovietica, che “hanno resistito in decenni di terribile persecuzione antireligiosa e di dittatura comunista (con tanti martiri), solo celebrando la liturgia nello spazio delle chiese rimaste aperte”. “Non bisogna pensare che abbiamo poco da dare o da dire, talvolta finendo per celebrare con sciatteria o ricercando modalità da spettacolo, credendo che quel che diamo e diciamo alla fine interessa poco”, il riferimento alle nostre liturgie: “Ci si è riproposta la domanda di speranza, di qualcosa di nuovo in un mondo e in una vita vecchia; di pensarsi insieme, di essere perdonati e non sommersi da banali parole di benessere; di trovare una porta aperta che faccia entrare nella luce uscendo da un buio insopportabile e drammatico come quello della guerra, della solitudine, della violenza, dell’ombra di morte che avvolge l’anima. Nel deserto c’è più sete di senso e di Dio”.