Vita Chiesa

Giubileo sacerdoti, Messa di Papa Francesco: «Il pastore non è l’ispettore del gregge»

Puntare al cuore. «Siamo chiamati – afferma il Pontefice – a puntare al cuore, ovvero all’interiorità, alle radici più robuste della vita, al nucleo degli affetti, in una parola, al centro della persona. E oggi volgiamo lo sguardo a due cuori: il Cuore del Buon Pastore e il nostro cuore di pastori». Il Cuore del Buon Pastore, spiega, «non è soltanto il Cuore che ha misericordia di noi, ma è la misericordia stessa» dove «mi sento sicuro di essere accolto e compreso» con «tutti i miei limiti e i miei peccati» e «gusto la certezza di essere scelto e amato». «Guardando quel Cuore rinnovo il primo amore». Il Cuore del Buon Pastore dice che «il suo amore non ha confini, non si stanca e non si arrende mai. Lì vediamo il suo continuo donarsi, senza limiti; lì troviamo la sorgente dell’amore fedele e mite, che lascia liberi e rende liberi; lì riscopriamo ogni volta che Gesù ci ama ‘fino alla fine’, non si ferma prima, senza mai imporsi». Un Cuore, sottolinea il Papa, «proteso verso di noi, ‘polarizzato’ specialmente verso chi è più distante; lì punta ostinatamente l’ago della sua bussola, lì rivela una debolezza d’amore particolare, perché tutti desidera raggiungere e nessuno perdere».

«Davanti al Cuore di Gesù nasce l’interrogativo fondamentale della nostra vita sacerdotale: dove è orientato il mio cuore?». Questa la domanda che Papa Francesco ha posto ai sacerdoti e seminaristi nell’omelia. «Noi sacerdoti – ha aggiunto a braccio – dobbiamo chiedersi ogni giorno, ogni settimana: dove è orientato il mio cuore?». Il ministero, spiega il Papa, «è spesso pieno di molteplici iniziative, che lo espongono su tanti fronti: dalla catechesi alla liturgia, alla carità, agli impegni pastorali e anche amministrativi. In mezzo a tante attività permane la domanda: dove è fisso il mio cuore, dove punta, qual è il tesoro che cerca? Perché – dice Gesù – ‘dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore’». «Ma ci sono debolezze in tutti noi – osserva Francesco fuori testo, anche peccati, ma andiamo al profondo dove è la radice, quel tesoro che ci allontana dal Signore». Due, secondo il Papa, «i tesori insostituibili» del Cuore di Gesù: «Il Padre e noi. Le sue giornate trascorrevano tra la preghiera al Padre e l’incontro con la gente. Anche il cuore del pastore di Cristo conosce solo due direzioni: il Signore e la gente». Il cuore del sacerdote, scandisce Francesco, «è un cuore trafitto dall’amore del Signore; per questo egli non guarda più a sé stesso, non dovrebbe guardare a se stesso, ma è rivolto a Dio e ai fratelli. Non è più ‘un cuore ballerino’, che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni; è invece un cuore saldo nel Signore, avvinto dallo Spirito Santo, aperto e disponibile ai fratelli». Per aiutare «il nostro cuore ad ardere della carità di Gesù Buon Pastore, possiamo allenarci a fare nostre tre azioni, che le Letture di oggi ci suggeriscono: cercare, includere e gioire».

In cerca della pecora smarrita. Il profeta Ezechiele, ha proseguito il Papa, «ci ha ricordato che Dio stesso cerca le sue pecore», egli, dice il Vangelo, «‘va in cerca di quella perduta’ senza farsi spaventare dai rischi». «Senza remore si avventura fuori dei luoghi del pascolo e fuori degli orari di lavoro» e «non si fa pagare gli straordinari», ha aggiunto Francesco a braccio, commentando il verbo «cercare», la prima delle tre azioni suggerite dalle letture odierne. «Non rimanda la ricerca, non pensa ‘oggi ho già fatto il mio dovere, me ne occuperò domani’, ma si mette subito all’opera; il suo cuore è inquieto finché non ritrova quell’unica pecora smarrita. Trovatala, dimentica la fatica e se la carica sulle spalle tutto contento». «Talvolta – ha detto ancora a braccio – deve uscire a cercarla, parlare, persuaderla, altre volte deve rimanere davanti al tabernacolo lottando con il Signore per quella pecora». Il cuore che cerca «non privatizza i tempi e gli spazi – guai ai pastori che privatizzano  – non è geloso della sua legittima tranquillità, e mai pretende di non essere disturbato. Il pastore secondo il cuore di Dio non difende le proprie comodità, non è preoccupato di tutelare il proprio buon nome, anzi, senza temere le critiche, è disposto a rischiare pur di imitare il suo Signore», ha detto Francesco richiamando le beatitudini. «Il pastore secondo Gesù ha il cuore libero per lasciare le sue cose, non vive rendicontando quello che ha e le ore di servizio: non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano in cerca di chi ha bisogno. È un pastore, non un ispettore del gregge». «Trova perché rischia, se il pastore non rischia non è un buon pastore, non si ferma dopo le delusioni e nelle fatiche non si arrende; è infatti ostinato nel bene, unto della divina ostinazione che nessuno si smarrisca». Per questo «non solo tiene aperte le porte, ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare. Come ogni buon cristiano, e come esempio per ogni cristiano, è sempre in uscita da sé», è «un de-centrato da se stesso», ha aggiunto ancora a braccio.

Il sacerdote di Cristo «è un uomo che sa includere», «il buon pastore si sporca le mani, non conosce i guanti». Questo l’identikit tracciato dal Papa nell’omelia. «Includere», ha spiegato, è la seconda azione ispirata dalle letture del giorno. «Cristo ama e conosce le sue pecore, per loro dà la vita e nessuna gli è estranea. Il suo gregge è la sua famiglia e la sua vita. Non è un capo temuto dalle pecore, ma il Pastore che cammina con loro e le chiama per nome» e  che «desidera radunare le pecore che ancora non dimorano con Lui». Così anche «il sacerdote di Cristo: egli è unto per il popolo, non per scegliere i propri progetti, ma per essere vicino alla gente concreta che Dio, per mezzo della Chiesa, gli ha affidato. Nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua preghiera e dal suo sorriso. Con sguardo amorevole e cuore di padre accoglie, include e, quando deve correggere, è sempre per avvicinare; nessuno disprezza, ma per tutti è pronto a sporcarsi le mani». «Il buon pastore – ha aggiunto a braccio– non conosce i guanti».  Ministro della comunione «che celebra e che vive, non si aspetta i saluti e i complimenti degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i giudizi e i veleni. Con pazienza ascolta i problemi e accompagna i passi delle persone, elargendo il perdono divino con generosa compassione. Non sgrida chi lascia o smarrisce la strada, ma è sempre pronto a reinserire e a ricomporre le liti». «E’ un uomo – ha concluso fuori testo – che sa includere».

Dio è «pieno di gioia», una gioia che «nasce dal perdono, dalla vita che risorge, dal figlio che respira di nuovo l’aria di casa». La gioia «di Gesù Buon Pastore non è una gioia per sé, ma è una gioia per gli altri e con gli altri, la gioia vera dell’amore. Questa è anche la gioia del sacerdote», ha assicurato il Papa. Il sacerdote, ha spiegato Francesco, «viene trasformato dalla misericordia che gratuitamente dona, che gratuitamente dona», ripete due volte. Nella preghiera «scopre la consolazione di Dio e sperimenta che nulla è più forte del suo amore. Per questo è sereno interiormente, ed è felice di essere un canale di misericordia, di avvicinare l’uomo al Cuore di Dio. La tristezza per lui non è normale, ma solo passeggera; la durezza gli è estranea, perché è pastore secondo il Cuore mite di Dio». «Cari sacerdoti – ha proseguito Francesco – nella celebrazione eucaristica ritroviamo ogni giorno questa nostra identità di pastori. Ogni volta possiamo fare veramente nostre le sue parole: ‘Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi’ È il senso della nostra vita, sono le parole con cui, in un certo modo, possiamo rinnovare quotidianamente le promesse della nostra ordinazione». Di qui il ringraziamento del Pontefice «per il vostro ‘sì’ e per i tanti ‘sì’ nascosti di tutti i giorni che solo il Signore conosce a donare la vita uniti a Gesù: sta qui la sorgente pura della nostra gioia».