Giubileo 2025
Giubileo dei Diaconi, riattivare e donare speranza
La testimonianza di tre diaconi permanenti impegnati in vari settori: lo psichiatra Tonino Cantelmi, il militare Maggiore Generale Vincenzo Orlando e il direttore della Caritas diocesana di Roma, Giustino Trincia

La speranza è caratterizzata, sul piano umano, dalla “consapevolezza cognitiva ed emotivo-affettiva che di fronte ad un problema c’è sempre una via di uscita, grazie alle nostre risorse, grazie a qualcun altro o grazie ad un “Altro” ancora. La speranza ha una dimensione interpersonale. Essa infatti fa si che quando un diacono si china sul problema di una persona, riattiva automaticamente la speranza nella persona soccorsa. I diaconi italiani sono immersi nei crocevia relazionali proprio con questo compito: riattivare la speranza, come fece Davide verso il suo popolo, con i pochi ciottoli contenuti nella sua sacca”. Così parla al Sir il diacono Tonino Cantelmi, specializzato in Psichiatria, Psicoterapeuta e consultore del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, in occasione del Giubileo dei Diaconi in svolgimento a Roma dal 21 al 23 febbraio.

Per Cantelmi il diaconato è un “ministero senza potere, il cui orizzonte è il servizio” e torna a fare riferimento a quando Davide si offre per affrontare Golia: “gli danno l’armatura di Saul da indossare, ma è troppo grande e pesante per lui, e decide di gettarla via, per raccogliere cinque ciottoli dal fiume con cui armare la sua fionda. Ecco, il diaconato è senza armature, non ha mezzi di potere, è un ministero che trova forza nella debolezza di qualche ciottolo”. Parlando del tema del giubileo, Cantelmi spiega che i diaconi possono essere messaggeri di speranza perché “si gettano nella lotta contro il gigante armati solo di speranza”. Domandandosi poi qual’ è il gigante che oggi il diaconato è chiamato ad affrontare, Cantelmi sottolinea che su questo punto il diaconato in Italia “rischia l’insignificanza”, come dimostrato in una ricerca condotta dallo stesso Cantelmi insieme a Maria Esposito ( Il diaconato in Italia. Luci, ombre e prospettive: dall’insignificanza a una nuova intelligenza del diaconato, San Paolo), soprattutto in relazione a un pericoloso fenomeno: il “prevalere della componente ritualistico-liturgica legato alla ‘parrocchiosità’ del ministero che rischia di assimilare il diacono ad un aiutante maggiorato del parroco”. Su questo Cantelmi non ha dubbi e condivide il primo appello di Papa Francesco, quello cioè a “non tenere i diaconi sull’altare; che facciano i lavori fuori, nel servizio … e non si comportino come i sacerdoti mancati”. “In tanti – dice – abbiamo fatto così nostro l’appello di papa Francesco da coniare lo slogan meno parrocchia, più diaconia”. “Se il Golia del nostro tempo è il cambiamento d’epoca – spiega – la vera grande sfida è donare speranza al cambiamento in atto”. Cantelmi ha fondato l’AIPPC (Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici) che ha il compito di portare la speranza in un contesto “disperato” quale quello, a volte, della salute mentale. “Penso alla depressione, che è la patologia legata alla mancanza di speranza. La persona depressa si dispera, sente che nessuno lo può aiutare e che nessuno può davvero rispondere ai suoi bisogni. E’ una patologia reale che necessita di cure adeguate, ma dietro tanta disperazione c’è sempre una profonda richiesta di senso e di significato. Riattivare la speranza quindi, significa restituire senso e significato al caos esistenziale”.
Foto Ordinariato Militare

“Noi diaconi, come ministri ordinati, con la peculiarità della nostra vita di persone che lavorano e vivono in famiglia e tra la gente siamo chiamati a essere segni tangibili di speranza per i tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio”, dice il diacono Vincenzo Orlando, Magg. Generale Medico che opera a Firenze. “Il mio ministero mi ha portato a stare accanto a persone che vivono il disagio della sofferenza e ad ascoltare il loro modo di vivere la malattia con la semplicità del gesto di sedere accanto a loro per portare conforto e annuncio di speranza. Non solo la malattia ma anche il disagio sociale e la divisione delle famiglie deve essere obiettivo del nostro servizio”. Per Orlando “siamo padri e spesso mariti, che cercano di accompagnare i giovani con le loro fragilità e con le loro risorse. Il diacono è il ministro che raccoglie le ricchezze e le sofferenze della comunità e le presenta al Signore”, dicendo loro, con il salmo 27, “Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore”.

Giustino Trincia , direttore Caritas della diocesi di Roma, diacono anche lui, sottolinea che come diaconi “non possiamo suddividere a compartimenti stagni la nostra vita quotidiana o separarla dalla ricerca spirituale più intima e continua della propria conversione, ovunque ci troviamo a vivere, in famiglia, nel mondo del lavoro, nella chiesa, tra le persone che incontriamo tutti i giorni. Senza la conversione del cuore, è impossibile testimoniare e vivere il primato del servizio verso tutti e, nel mio caso, promuovere i molti volti della carità, ovunque e con chiunque ci si trovi”. Per Trincia il diacono “è un servo di tutti; non mette al centro sé stesso; non ricerca visibilità; da spazio e crea spazi ai talenti degli altri; è amico e fratello dei poveri; è concreto e non astratto; unisce e non divide; promuove relazioni di pace; ama la giustizia; coltiva speranza”.